La posizione del presidente è giuridicamente definibile per lo meno sotto tre profili: primo, quanto ai rapporti fra il governo e gli altri organi costituzionali; secondo, quanto ai rapporti fra il presidente stesso ed il consiglio dei ministri; terzo, nei confronti dei ministri individualmente assunti.

Nel primo senso. È sostenibile in linea di principio che spetta al presidente di agire per l’organo del governo complessivamente inteso, assumendo in tal modo la “rappresentanza generale”. Ciò è vero nei rapporti con le Camere. In effetti il presidente può mettere in gioco le sorti dell’intero governo, allo stesso modo che può farlo cadere qualora presenti le sue personali dimissioni. Del pari è il presidente che instaura i giudizi c.d. principali della corte costituzionale sulla legittimità delle leggi regionali.

Ancora, è coerente ritenere che lo stesso presidente della repubblica debba convocare il presidente del consiglio quando voglia essere informato della politica generale del governo. Una volta che il consiglio dei ministri sia stato convocato, nell’ambito di esso il presidente non è dotato di poteri predominanti rispetto a quelli degli altri componenti il collegio; ma egli dispone di poteri specifici nella fase precedente la convocazione.

Per prima cosa, gli spetta di regolare il ritmo delle attività consiliari. Inoltre, egli ha la competenza di redigere l’ordine del giorno, individuando gli argomenti da trattare in ciascuna riunione. Vero è che tutti questi poteri non si esplicano tanto nel sollecitare quanto nel frenare l’attività governativa. Ma in ogni caso, rimane fermo che la principale funzione del presidente del consiglio dei ministri consiste nell’avviare le decisioni dell’intero consiglio.

Ciò che più conta, è tuttora tale il principio che informa sul punto il nuovo ordinamento della presidenza del consiglio. La legge n. 400 riafferma infatti, che il presidente “può sospendere l’adozione di atti da parte dei ministri competenti in ordine a questioni politiche e amministrative, sottoponendoli al consiglio dei ministri nella riunione immediatamente successiva. In vista di siffatte previsioni legislative, trova sostegno la tesi che il consiglio dei ministri disponga di tutte le attribuzioni del governo, cioè sia titolare di una competenza generale.

Ed è a questo fine che si rendono indispensabili tre ordini di poteri presidenziali: quello di esigere l’informazione su qualunque iniziativa ministeriale che possa interferire con la politica generale del governo; quello di disporre la sospensione delle iniziative medesime; quello di stabilire la conseguente avocazione o rimessione delle relative decisioni al Consiglio dei ministri.

A questo punto è necessario però chiedersi quali possano essere le conseguenze di un’eventuale inosservanza dell’obbligo di dare informazioni e di sospendere l’esecuzione delle proprie proposte. Non essendo stato organizzato alcun procedimento tipico, le richieste e gli inviti provenienti dal presidente non hanno che un valore politico. D’altra parte anche nell’ipotesi che si pervenga ad una deliberazione consiliare, provocata dal presidente per mezzo del suo potere di avocazione, la delibera può essere contraddetta o frustata dal ministro interessato.

Malgrado non si possa considerarli inconsistenti dal punto di vista del diritto costituzionale, i poteri del presidente hanno un carattere negativo e compromissorio piuttosto che positivamente direttivo. Ne segue che quella del governo finisce per essere una struttura policentrica, tendente al cosiddetto: “ministerialismo”. Tutto ciò determina una notevolissima deroga rispetto al classico schema dei sistemi parlamentari. Secondo la loro peculiare logica, infatti, il governo dovrebbe essere sempre concepito come un potere unitario. Nel nostro sistema invece risulta spesso difficile parlare di unità del governo, di responsabilità collegiale, di solidarietà governativa, di indirizzi politici omogenei.

 

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