Il governo suole venire definito come un organo complesso ineguale, poiché le sue componenti non si trovano su un piano di parità, né quanto alla loro struttura, né quanto ai rapporti reciproci, né quanto ai compiti da esse esercitati. Gli elementi costitutivi previsti sono infatti rappresentati da due tipi di organi individuali (il presidente del consiglio ed i singoli ministri) e da un organo collegiale (il consiglio dei ministri). Ma sia le posizioni sia le funzioni non sono in nessun modo assimilabili le une alle altre.

Tra le varie contrastanti tesi dottrinali, vanno ricordate tre tipi di ricostruzioni. La prima di esse è stata ed è sostenuta da quanti esaltano l’importanza dei poteri esercitabili dal presidente del consiglio, affermando che si dovrebbe parlare di un primo ministro o di un capo del governo. La seconda corrente fa invece perno sulla posizione centrale del consiglio dei ministri, teorizzando la necessaria collegialità della politica governativa. La terza linea svaluta del tutto le indicazioni costituzionali, ritenendo che ciascun centro di potere interno al governo sia giuridicamente scollegato dagli altri e che l’unità dell’indirizzo sia realizzabile soltanto in chiave politica.

Fin dal quando è stato stipulato in “patto di Salerno” non si sono avuti in Italia se non governi di coalizione: tale essendo stati gli stessi gabinetti monocolori, nei quali l’accordo fra le varie correnti democristiane ha tenuto il posto dell’intesa fra i vari partiti politici di maggioranza. E questa situazione ha portato inevitabilmente ad un indebolimento del presidente del consiglio dei ministri: il quale non ha mai potuto assumere quella posizione di leader della maggioranza che caratterizza i sistemi parlamentari bipartitici.

In un quadro del genere, non è realistico enfatizzare il rapporto di direzione fra il presidente del consiglio ed i singoli ministri, poiché questi non rispondono tanto nei confronti del presidente stesso, quanto verso i partiti dai quali provengono.

Un’ulteriore e decisiva conferma sta in ciò che da parte di singoli ministri si sono avute più volte manifestazioni di pubblico dissenso dall’indirizzo politico governativo; senza che mai ne sia derivata la revoca dei dissenzienti non dimissionari. Giuridicamente poi è significativo che la costituzione non menzioni affatto le revoche ministeriali; anche perché il potere di revoca non è certamente implicito nel potere di nomina.

Allo stesso modo, non sono normalmente ipotizzabili quelle sfiducie individuali mediante le quali una certa dottrina suggerisce di risolvere il problema.

 

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