La configurazione di varie specie di potestà legislative regionali, variamente attribuite alle Regioni ordinarie e differenziate. L’attribuzione di potestà legislative a favore di tutte le amministrazioni regionali è stata in effetti concepita come il momento fondamentale e caratterizzante della loro autonomia. Quanto alle regioni ordinarie, la Commissione dei 75 aveva progettato un assetto tripartito, per cui certe materie di competenza regionale avrebbero dovuto venire disciplinate mediante una legislazione locale di carattere primario o pieno od esclusivo, altre materie avrebbero invece formato l’oggetto di una legislazione locale concorrente con quella dello Stato, altre ancora sarebbero infine ricadute nell’ambito d’una competenza legislativa di tipo integrativo od attuativo delle leggi statali. Ma le successive delibere dell’Assemblea costituente hanno fatto cadere la prima e la terza di tali figure.

Al contrario la tripartizione testè ricordata continua a contraddistinguere l’ordinamento di varie Regioni differenziate, quali la Sardegna, il Trentino-Alto Adige, il Friuli-Venezia Giulia. Le regioni stesse dispongono di una potestà legislativa più importante e più ampia “in armonia con la Costituzione, con i principi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato”.

E per ulteriori settori dell’ordinamento, esse hanno la “facoltà di adeguare” alle proprie esigenze “le disposizioni delle leggi della Repubblica, emanando norme d’integrazione e di attuazione”. Le materie rispettivamente assegnate dalle varie norme statutarie alle varie specie della potestà legislativa regionale sono diverse. In secondo luogo, è ancor più rilevante il fatto che in Sicilia e nella Valle d’Aosta la tipologia della potestà legislative regionali si dimostra semplificata ed anche alterata.

 

I limiti comuni a tutte le specie della potestà legislativa regionale

Malgrado la loro varietà, tutte le potestà legislative regionali sottostanno ad una vasta serie di limiti comuni. Ciò rende possibile conglobare diverse specie in un unico genere: con tanto maggiore evidenza in quanto la giurisprudenza costituzionale ha determinato una progressiva riduzione del distacco intercorrente fra i diversi tipi di legislazione locale.

In effetti qualsiasi legge regionale, a qualsiasi specie appartenga, rappresenta in primo luogo il frutto di una competenza legislativa specializzata, gli oggetti della quale sono tassativamente attribuiti dalla Costituzione o dagli statuti speciali. In ciò consiste il cosiddetto limite delle materie, che la corte costituzionale ha rigorosamente inteso alla stregua di un criterio normativo di definizione: cioè sostenendo che le formule in questione “si debbono interpretare secondo il significato che hanno nel comune linguaggio legislativo e nel vigente ordinamento giuridico”. Per altro la Corte ha variamente ritagliato particolari settori, sottraendoli alla potestà legislativa regionale. Valga per tutti l’esempio dei rapporti di diritto privato, che in nome della necessaria unità dell’ordinamento giuridico sono stati riservati alla legislazione statale.

In secondo luogo, ogni potestà legislativa regionale è naturalmente soggetta ad un limite territoriale. È infatti evidente che le leggi locali non possono disciplinare oggetti non localizzati nei territori delle corrispondenti Regioni. Ed ove gli oggetti in questione trascendano anche in parte il territorio regionale, come ad esempio si verifica per le linee di trasporto o per i bacini fluviali collocati in più Regioni, la competenza regionale è di regola esclusa, a meno che norme legislative statali non prevedano intese fra le varie amministrazioni cointeressate. Senonché il tema dei riflessi che le scelte legislative regionali possono determinare al di là dei rispettivi territori investe in realtà, oltre al limite territoriale, altri limiti della legislazione locale, da quello degli interessi nazionali fino allo stesso limite della materie.

In terzo luogo, per tutte le leggi regionali si può ragionare di un limite costituzionale, da non confondere con i restanti limiti costituzionalmente o statutariamente previsti. Allorché gli statuti speciali ragionano della necessaria armonia con la costituzione, essi intendono anzitutto evidenziare che varie prescrizioni costituzionali, vincolano le regioni stesse: con particolare rigore nel caso delle sanzioni penali, su cui le regioni non possono comunque incidere, ostando il principio di legalità dei reati e delle pene.

In quarto luogo vanno sempre rispettati gli obblighi internazionali dello Stato. Ciò implica che sono di regola riservati alle autorità centrali “gli apprezzamenti di politica estera e la formulazione di accordi con soggetti propri di altri ordinamenti”, fatto soltanto eccezione per le “attività promozionali” e per gli “atti di mero rilievo internazionale”. Non a caso per derogare al rigore di questo principio, quanto all’adempimento degli obblighi comunitari interessanti le materie medesime, sono occorse apposite leggi statali attributive di specifici poteri alle regioni.

Ancora tutte le leggi regionali debbono attenersi, in quinto luogo, alle grandi riforme economico-sociali della Repubblica. Con questo fondamento è accaduto più volte che tali riforme abbiano prodotto rilevanti compressioni delle potestà legislative già spettanti alle regioni, tanto ordinarie quanto differenziate.

In sesto luogo, nessuna disciplina legislativa locale può legittimamente derogare ai principi generali dell’ordinamento. Sul piano concettuale si tratta di un limite dotato d’una notevole importanza, giacché ne risulta definitivamente confermata la fondamentale unità del sistema normativo vigente sull’intero territorio nazionale: con la conseguenza che gli ordinamenti delle singole regioni non sono tali nel senso pieno del termine, ma rappresentano altrettante parti dell’ordinamento giuridico statale.

Del tutto a sé stante parrebbe il settimi ed ultimo limite costituzionale, formato dagli interessi nazionali. Secondo il testo costituzionale dovrebbe infatti trattarsi d’uno straordinario limite politico, non riguardante la legittimità delle leggi regionali. Malgrado le critiche subite la giurisprudenza costituzionale è tuttora così ferma, da generare sul punto una sorta di diritto vivente. Sicché l’interesse nazionale si è trasformato da “limite negativo… in presupposto positivo di competenza statale”, dando corpo all’idea che nei rapporti fra stato e regioni spetti al potere centrale una posizione di “supremazia”.

In difesa di tale giurisprudenza va tuttavia rilevato che la cosiddetta conversione del limite di merito in limite di legittimità fa si che gli interessi nazionali non vengano quasi mai utilizzati da soli; bensì concorrano ora con il limite territoriale, ora con il limite delle materie. In altre parole, i vari limiti della potestà legislativa regionale non sono concepiti isolatamente bensì interpretati ed applicati in maniera combinata e sistematica.

 

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