Nelle materie assegnate alla potestà legislativa concorrente, le regioni subiscono il limite dei principi assai più gravemente di quanto non avvenga per la legislazione primaria od esclusiva. Le leggi locali in questione sono infatti assoggettate ai “principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato”. Ne segue che in tali materie la competenza legislativa è costituzionalmente bipartita, spettando appunto allo stato la normazione di principio, mentre alle regioni è generalmente riservata la normazione di dettaglio.

L’espressione stabiliti ha fatto anzi pensare che occorressero allo scopo apposite leggi-cornice: in mancanza delle quali le regioni astrattamente competenti non avrebbero affatto potuto esercitare la loro potestà legislativa.

Dal 1970 ad oggi, tuttavia, un’apposita legislazione statale di principio è stata adottata in parecchie materie rientranti nella competenza regionale concorrente. Ciò ha reso concreto l’ulteriore problema della sorte spettante alle leggi regionali già entrate in vigore nelle materie medesime, ma contrastanti con le sopravvenute leggi-cornice. Si era però espressa la legge n. 62 del 1953, disponendo come segue: “le leggi della Repubblica che modificano i principi fondamentali…abrogano le norme regionali in contrasto con esse”.

La corte costituzionale ha ritenuto che quest’ultima impostazione sia pienamente legittima. Ciò spiega, allora, che varie leggi statali del genere accompagnino le norme di principio con una transitoria normativa di attuazione. L’abrogazione di tutta la previdente legislazione regionale diviene in tal modo inevitabile.

Tali circostanze valgono ad illuminare i rapporti fra le leggi statali ordinarie e le leggi regionali, nelle materie in cui si svolge la potestà legislativa concorrente. Malgrado la competenza costituzionalmente attribuita alle regioni, non si può certo affermare che le leggi statali siano comunque escluse dagli ambiti in questione. Lo conferma la prassi consistente nell’inserire nelle leggi-cornice le occorrenti norme statali di attuazione o di integrazione dei nuovi principi: prassi in vista della quale si è ragionato di preferenza e non di riserva della legislazione regionale di dettaglio negli ambiti della competenza bipartita.

Quanto alla stessa legislazione regionale primaria o “esclusiva”, le leggi statali s’impongono al più vario titolo, sia quando dettano i principi dell’ordinamento, sia quando realizzano “grandi riforme”, sia quando eseguono accordi internazionali, sia quando perseguono interessi nazionali od ultraregionali. In tutte queste ipotesi, la legislazione della Repubblica può ben abrogare le leggi regionali incompatibili, pretendendo immediata applicazione anche nei territori delle Regioni ad autonomia differenziata.

Ciò basta per contestare la pur diffusa opinione che le leggi regionali siano parificate alle leggi dello Stato, nel senso che a ciascuno dei due tipi di fonti spetterebbero ambiti “rigorosamente distinti”. Ma la separazione delle rispettive competenze non è poi così netta, come per esempio nei rapporti fra leggi statali ordinarie e regolamenti parlamentari. Sicché i relativi conflitti si risolvono presupponendo che, almeno a questi effetti, il criterio gerarchico interferisca con il criterio della competenza e la legge statale ordinaria sia dunque dotata di una forza prevalente.

 

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