Nella realtà giuridica, anche all’interno di un dato ordinamento storicamente riguardato, può ben accadere che fonti diverse da quelle legali o atti comunque scaturenti da procedure anomale riescano a modificare stabilmente il sistema normativo, senza che vengano fatti valere efficaci rimedi da parte delle autorità competenti e senza che siano applicate sanzioni di sorta.

Di qui, precisamente, le fonti extra ordinem, che si aggiungono alle fonti originariamente previste. La gravità e l’incidenza di simili fenomeni possono risultare profondamente dissimili secondo le diverse ipotesi; tanto che in vari casi non è dato ragionare di fonti extra ordinem nel senso più stretto e preciso del termine, giacché si tratta di produzioni normative implicanti specifiche, singole o addirittura episodiche rotture del sistema.

In altri casi per contro, la sistematica utilizzazione di fonti extra-ordinem coincide con l’instaurarsi di nuove forme di governo e di Stato, sebbene permanga la complessiva continuità dell’ordinamento giuridico. S’intende, però, che fonti siffatte non si sono imposte alla stessa maniera delle leggi, dei regolamenti e degli altri atti normativi già previsti dall’ordinamento statale italiano, ma si sono rese obbligatorie per forza propria.

È per questo motivo che la produzione del diritto effettuata extra ordinem può considerarsi alla stregua di un fatto normativo, pur quando essa assuma la veste di un atto o di una serie di atti, promananti da soggetti dotati di autorità dallo Stato. In certe ipotesi, a fondamento di ciò, vari autori fanno anzi ricorso alla necessità riguardata come fonte autonoma ed “invocata al fine di sovvertire la struttura dell’ordinamento”.

Ma non appena si formano quelle che un’altra corrente dottrinale definisce “consuetudini normative” delle fonti extra-ordinem, accade che il generale sistema delle fonti ne risulta modificato; sicché non è più dato ragionare di fatti normativi, ma ne scaturiscono senz’altro nuove specie di atti produttivi di diritto.

 

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