Le disposizioni concernenti la corte costituzionale precedono immediatamente quelle relative alla revisione della costituzione. E non senza ragione, tanto le prime quanto le seconde concorrono a formare ciò che la stessa costituente ha definito “garanzie costituzionali”. Essenziale è che le forze politiche organizzate nel paese rimangano fedeli ai valori che informano la costituzione. Ma la previsione di un’apposita giustizia costituzionale fornisce pur sempre un’effettiva garanzia.

Non basta, ad assicurare la rigidità della costituzione, distinguere il procedimento legislativo ordinario dell’iter formativo delle leggi costituzionali e di revisione costituzionale. L’autocontrollo del parlamento non può essere sufficiente allo scopo; ma si rende invece necessario l’eterocontrollo di un organo o di organi diversi da quelli politicamente rappresentativi.

Solo a questo modo, cioè, si rafforza il principio di legalità, imponendolo al legislatore stesso sotto forma di “principio di costituzionalità”; così da perfezionare lo stato di diritto, nel quale la legittimità costituzionale viene ad integrare la legittimità amministrativa e giurisdizionale. I critici delle corti costituzionali obiettano che esse, proprio perché irresponsabili nei confronti del corpo elettorale, menomerebbero il basilare principio democratico. Ma è stato già detto che una compiuta democrazia esige che la maggioranza sia limitata, in nome degli stessi valori costituzionali.

Perché la forma di governo e la forma di stato non siano sovvertite, occorre che la giustizia costituzionale non debordi nel merito, scambiando il sindacato di costituzionalità con un controllo allargato alla complessiva “ingiustizia delle leggi”. Deve dunque indurre le corti stesse all’auto-limitazione, evitando di dar vita a quello che in dottrina è stato polemicamente denominato governo dei giudici. Ma l’immanente pericolo di abusi non toglie che la giustizia costituzionale rimanga il coronamento necessario dei sistemi sul tipo di quello vigente in Italia.

La prima e fondamentale suddivisione è quella che suole tracciarsi fra i sindacati aventi natura giurisdizionale, in quanto affidati ad uno o più giudici in forme processuali, ed i controlli di natura politica, spettanti ad autorità affatto diverse da quelle giudiziarie.

Più netta è la linea divisoria fra i sistemi accentrati e quelli diffusi. I primi comportano che il sindacato in questione sia riservato ad un organo apposito, avente il nome di corte o di tribunale costituzionale. I secondi trovano il loro prototipo negli Stati Uniti d’America, dove i giudizi sulla legittimità costituzionale possono considerarsi come una “irradiazione delle stesse funzioni attribuite alla competenza istituzionale degli organi giudiziari”; sicché ad ogni giudice spetta far prevalere la costituzione, disapplicando le leggi ordinarie ritenute illegittime. Così definito, il divario intercorrente fra i due ordini di sistemi risulta a prima vista profondissimo. Per contro, la ratio dei sistemi accentrati vien fatta risiedere nella certezza del diritto, non più esposta ai contrasti delle giurisprudenze dovute a diversi e molteplici giudici.

Nella letteratura giuridica di lingua tedesca è poi abituale la contrapposizione fra il sindacato di natura astratta e quello di natura concreta, secondo che il giudizio prescinda o meno dalle puntuali applicazioni delle leggi o degli altri atti in discussione. La dottrina italiana distingue, piuttosto, il sindacato instaurato in via principale o diretta e quello promosso in via incidentale o indiretta. N

el primo caso la corte può essere adita da determinati organi o soggetti, dei quali può ben dirsi che essi propongono un’astratta questione di legittimità. Nel secondo caso a monte del sindacato di legittimità vi è sempre un giudizio nel quale si tratta di applicare un certo atto o una certa norma, sicché la questione non può porsi che in termini concreti.

A ciò si collega la distinzione fra i giudizi instaurabili in via preventiva e quelli destinati a svolgersi in via successiva. Gli uni assumono ad oggetto una legge od eventualmente un altro atto non ancora entrato in vigore. Gli altri attengono a leggi o ad altri atti già vigenti, poco importa se impugnati in via principale od incidentale.

Quanto invece all’efficacia propria delle decisioni concernenti occorre anzitutto distinguere fra le pronunce produttive di effetti erga omnes e quelle efficaci soltanto inter partes. Ma le distinzioni più fondamentali concernono le sentenze che dichiarino l’illegittimità costituzionale dell’atto o della norma in esame. In alcune ipotesi esse ne accertano l’originaria nullità.

In altre ipotesi, invece, esse producono l’annullamento della norma o dell’atto stesso. In altre ipotesi ancora, esse danno luogo ad un effetto abrogativo oppure precludono l’entrata in vigore dell’atto. E di qui discendono le ulteriori distinzioni intercorrenti fra i sistemi nei quali le dichiarazioni d’illegittimità costituzionale operano ex tunc, sin dal momento dell’entrata in vigore delle norme in esame o comunque in modo retroattivo, quelli che circoscrivono la loro efficacia ex nunc, a partire dalla pronuncia del giudice in questione, e quelli che addirittura prevedono un’operatività de futuro.

Cioè può dirsi che da un lato stanno i sistemi diffusi, concreti, a sindacato successivo, con decisioni efficaci inter partes. D’altro lato, si rinvengono invece i sistemi accentrati, astratti, con decisioni efficaci erga omnes, produttive dell’annullamento o dell’abrogazione ex nunc dell’atto impugnato.

 

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