Quanto alle strutture del governo, l’art. 92 primo comma Cost. si limita a ricordarne le componenti necessarie (consiglio dei ministri, Presidente del consiglio e singoli ministri), tacendo invece dei vice-presidenti del consiglio, dei ministri senza portafoglio, degli alti commissari, dei sottosegretari. Nello sforzo di integrare il testo costituzionale, la dottrina s’è allora rifatta ad una serie di fonti legislative preesistenti.

Ma il ricorso a queste fonti non è risultato conclusivo. L’unica via per colmare le lacune riscontrabili tanto al livello costituzionale quanto al livello legislativo ordinario consiste tuttora nel ricorso alle regole non scritte sulle quali si è fondato il funzionamento del governo dal 1948 in poi. Ma in questo senso il problema non è completamente risolto: giacché tali regole sono solo in parte costituite da norme giuridiche, vale a dire da consuetudini costituzionali; mentre in altra parte si tratta di canoni convenzionali.

Come le convenzioni possono dare vita a consuetudini, così le consuetudini stesse sono soggette a degradarsi e svanire, per il prevalere di tendenze desuetudinarie. E in entrambi i sensi, dunque, il quadro delle fonti che regolano le strutture e le funzioni del governo non è fisso ma continuamente mobile.

La carta costituzionale disciplina la formazione del governo: “il presidente della repubblica nomina il presidente del consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri”.

Come già si accennava, la fase preparatoria consiste essenzialmente nelle consultazione del presidente della repubblica. L’ordine delle consultazioni attiene certamente al mero “galateo” costituzionale. Tuttavia, non sarebbe esatto desumerne che tutta la fase in questione si fondi su regole di correttezza: se non i dettagli, per lo meno il nucleo delle consultazioni presenta un notevole rilievo e deve ormai ritenersi giuridicamente indispensabile in vista dello stesso testo costituzionale. Su questa base, è molto agevole concludere che le sole consultazioni realmente necessarie sono quelle riguardanti i capigruppo.

Neanche nella fase dell’incarico, che pure rappresenta il momento centrale e determinante nella formazione del governo, viene come tale considerata dalla costituzionale. Si può sostenere fin d’ora che l’incarico abbia un fondamento consuetudinario e risponda a precise esigenze di ordine costituzionale; che la scelta dell’incaricato e gli atti che egli compie in collaborazione con il capo dello stato siano costitutivi ad ogni effetto; e che l’incaricato non si ponga alle dipendenze del presidente della repubblica, ma sia titolare di un organo costituzionale per sé stante.

Ed effettivamente che quella dell’incarico rappresenti una strada giuridicamente obbligata, risulta dal fatto che in tale direzione concorrono i tre fondamentali principi di ordine costituzionale, concernenti la formazione e l’organizzazione del governo: quello di unità, quello di continuità e quello che esige la permanente fiducia delle camere. Tuttavia, non si può nemmeno ritenere che la fase dell’incarico sia preparatoria al pari di quella delle consultazioni.

Al contrario, proprio perché il governo deve nascere nella sua interezza e non per segmenti, sulla base di contemporanei atti di nomina del presidente del consiglio e dei singoli ministri, occorre che il presidente incaricato predisponga tutto ciò che è necessario a questo scopo, precostituendo il programma governativo e la compagine ministeriale; dopo di che le nomine non fanno che formalizzare e perfezionare decisioni che nella sostanza sono già state prese.

Da queste premesse deriva necessariamente che la predisposizione della lista dei ministri da parte del presidente del consiglio incaricato costituisce una proposta vincolante per il capo dello stato, il quale non potrebbe rifiutare alcuna nomina, se non nel caso estremo di un soggetto palesemente privo dei requisiti giuridicamente richiesti.

 

 

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