Nel disporre che “la corte costituzionale giudica sulle controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi, l’art. 134 Cost. determina due grandi ordini di questioni: primo, a quali tipi di leggi e a quali altri atti si riferisca il citato disposto; secondo, che cosa debba intendersi per “legittimità costituzionale”. Pur fermo restando che nella iniziale previsione dell’art. 134 rientrano anzitutto le leggi ordinarie dello stato, un problema insorto fino agli anni cinquanta riguarda il sindacato sulle leggi anteriori alla costituzione.

S’intende che i contrasti ipotizzabili fra le previsioni costituzionali e la legislazione entrata in vigore antecedentemente al 1° gennaio 1948 non attengono ai procedimenti di formazione delle leggi stesse: sotto questo profilo s’impone, infatti, il principio tempus regit actum; sicché gli atti legislativi in esame sono comunque validi, se ed in quanto posti in essere secondo le norme che in quel momento disciplinavano l’iter formativo di esse. L’incompatibilità con la costituzione può invece concernere i contenuti normativi delle leggi anteriori.

Ora, due sono le soluzioni estreme, astrattamente sostenibili. Da un lato si può immaginare che, in presenza di totale incompatibilità, si applichi l’art. 15 disp. Cod. civ., quanto all’abrogazione delle leggi per effetto di leggi posteriori. D’altro lato, per contro, è sostenibile che il sindacato debba comunque venire accentrato: con la conseguenza che non si dovrebbe mai ragionare di abrogazione delle norme legislative anteriori, ma d’incostituzionalità sopravvenuta.

L’organo di giustizia spagnola ha affermato la propria competenza, ogniqualvolta investito da parte di un giudice che non ritenesse di sentenziare l’avvenuta abrogazione di norme precostituzionali. Di quest’ultimo genere è stato l’orientamento adottato dalla costituzione italiana. Questa affermazione di competenza è stata però interpretata, a sua volta, in due modi assai diversi.

Vari autori hanno sostenuto che si dovesse trattare di una “competenza esclusiva”, tale da non lasciare alcuno spazio al sindacato dei giudici comuni. Ma altri autori hanno invece ipotizzato una sorta di concorso, per cui ogni giudice avrebbe mantenuto il potere di considerare abrogata la norma del suo giudizio, sia pure ad opera della sopravvenuta carta costituzionale.

La corte stessa lasciava spazio alla illegittimità costituzionale, là dove argomentava che “i due istituti dell’abrogazione e dell’illegittimità costituzionale non sono identici fra loro, si muovono su piani diversi, con effetti diversi e con competenze diverse”; e la corte di cassazione si affrettava a dichiarare ancora l’avvenuta abrogazione, quanto alle ipotesi di più evidente contrasto fra la costituzione e le leggi anteriori.

Il sindacato svolto dalla corte costituzionale è stato di gran lunga preponderante, anche perché le dichiarazioni di sopravvenuta illegittimità sono efficaci erga omnes, diversamente dalle concorrenti decisioni dei giudici comuni. Ma ciò non toglie che, nella visione della corte, “il riconoscimento dell’avvenuta abrogazione rientri nella competenza del giudice ordinario”.

Per un altro verso, a prima vista potrebbe parere che sottratte al sindacato della corte siano le leggi costituzionali e di revisione costituzionale. Ma non è così, per lo meno sotto un duplice profilo. In primo luogo, il legislatore costituzionale è pur sempre tenuto a seguire il procedimento prescritto dall’art. 138 Cost. In secondo luogo, s’impone comunque la norma fondamentale dall’art. 139 Cost., quanto all’assoluta immodificabilità della “forma repubblicana”.

 

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