La destinazione di un patrimonio ad uno specifico affare viene normalmente deliberata (art. 2447 ter co. 2) dall’organo amministrativo a maggioranza assoluta dei suoi componenti. Agli amministratori, comunque, spetta anche la gestione del patrimonio stesso, così che essi si trovano a portare aventi in parallelo più gestioni separate.
Secondo l’art. 2447 bis co. 2, i patrimoni destinati non possono essere costituiti per un valore complessivamente superiore al dieci per cento del patrimonio netto della società. Non è chiaro se, con riferimento al patrimonio destinato, il limite quantitativo così espresso si riferisca alle sole entità patrimoniali destinate dalla società o ricomprenda anche gli eventuali apporti dei terzi, consentiti dall’art. 2447 ter lettera d. L’avverbio complessivamente potrebbe far protendere per quest’ultima soluzione, ma non si comprende come e perché un tale limite dovrebbe operare.
La costituzione di un patrimonio destinato, fatta in via esclusiva per lo specifico affare (art. 2447 bis lettera a), comporta un’autonomia patrimoniale rispetto al patrimonio sociale, con la conseguenza che:
- i creditori della società non possono far valere alcun diritto sul patrimonio stesso.
- i creditori nascenti dalle obbligazioni contratte per l’affare possono rivalersi soltanto sui beni costituenti il patrimonio in questione, salvo che si tratti di obbligazioni per fatto illecito (art. 2447 quinquies co. 3) o che la deliberazione di costituzione del patrimonio preveda una concorrente responsabilità della società stessa (co. 4).
Se si tiene conto del fatto che alla costituzione del patrimonio separato possono partecipare anche i terzi, è facile comprendere come dalla convergenza di più interessi nasca una disciplina assai complessa, tesa a garantire gli aspetti dell’informazione, della rendicontazione e dei controlli.