Con la dichiarazione di fallimento l’attività d’impresa s’interrompe e i beni aziendali sono destinati ad essere liquidati per soddisfare i creditori; tuttavia ci sono dei casi in cui è preferibile attivare un esercizio provvisorio o

una continuazione temporanea. Nel primo caso si ha con la dichiarazione di fallimento. Il tribunale che lo dichiara nella sentenza può disporre l’esercizio provvisorio dell’impresa, anche limitatamente ad un solo ramo dell’azienda, se dall’interruzione può derivare un danno grave, purché non arrechi pregiudizio ai creditori. In questa fase tutti i contratti pendenti proseguono salvo che il curatore non intenda sospenderli o scioglierli.

La seconda interviene dopo che è stato nominato il comitato dei creditori che deve pronunziarsi sull’opportunità di continuare o di riprendere, in tutto o in parte, l’esercizio dell’impresa, fissandone anche la durata. La continuazione dell’attività può però comportare l’assorbimento di larga parte dell’attivo dei nuovi creditori.

(Affitto d’azienda). La riforma del 2006 ha introdotto una disciplina speciale dell’affitto d’azienda nel fallimento: l’affitto d’azienda o di specifici rami di essa è autorizzato dal giudice delegato, su proposta del curatore e previo parere favorevole del comitato dei creditori quando appaia utile al fine della più proficua vendita dell’azienda o di parti di essa.

L’affittuario è scelto dal curatore che tiene conto non solo dell’ammontare del canone offerto, ma anche delle garanzie sulla prosecuzione dell’attività dell’impresa compresa anche la conservazione dei livelli occupazionali.  Da questo “contratto d’affitto”, per non ostacolare la liquidazione, il curatore ha diritto di recesso, previo compenso all’affittuario di un giusto indennizzo. Dei debiti sorti durante l’affitto il fallimento non assume nessuna responsabilità, neanche per quelli di lavoro.

 

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