Il codice prevede una particolare categoria di società per azioni, le società di interesse nazionale, che sono società che pur non assumendo la struttura di enti pubblici investono interessi nazionali rilevanti, Per esse il codice prevede una regolamentazione effettuata dalla legislazione speciale, in mancanza della quale tuttavia, rimane applicabile la disciplina generale delle società per azioni. La qualificazione di una società come società di interesse nazionale è determinata da un decreto presidenziale o da una legge, legge che generalmente contiene una previsione di limitazioni circa il possesso azionario, il trasferimento delle azioni, la nomina degli amministratori, sindaci o dirigenti e al condizionamento delle norme statutarie e delle loro modificazioni all’approvazione della pubblica autorità.

La società impresa pubblica e la sua privatizzazione

Un fenomeno che si è presentato con molta frequenza nel nostro sistema è quello dell’assunzione da parte dello stato o degli enti pubblici di una partecipazione nell’ambito delle società per azioni, partecipazione che può riguardare l’intero patrimonio della società, o una parte prevalente o minoritaria di esso. In un primo momento il legislatore, muovendo dal fatto che in una società per azioni la persona dell’azionista è irrilevante, aveva considerato la partecipazione dello stato in una società per azioni come un motivo giuridicamente irrilevante per cui alle società con partecipazione dello stato o di enti pubblici doveva essere applicata la disciplina generale della società per azioni a meno che leggi speciali non disponessero diversamente.

Le sole norme speciali contenute nel codice prevedevano che anche quando la partecipazione dello stato era minoritaria doveva essere ad esso riservata la possibilità di nominare uno o più amministratori o sindaci che non potevano essere revocati dalla assemblea dei soci ma solo dallo stato o dall’ente pubblico che li aveva nominati. Successivamente, con la creazione del sistema delle partecipazioni statali la prospettiva del legislatore si è modificata in quanto l’interesse pubblico che induceva lo stato a partecipare alla società (qualora tale partecipazione fosse totalitaria o prevalente) non poteva essere relegato tra i motivi giuridicamente irrilevanti ma si poneva come motivo aggiuntivo rispetto a quello imprenditoriale incidendo anche sulla posizione degli azionisti privati.

Pertanto il fatto che l’interesse pubblico perseguito dallo stato non poteva essere spinto oltre certi limiti senza provocare il dissenso degli azionisti privati ha portato ad un nuovo orientamento verso la privatizzazione. In tal modo è stato eliminato il sistema delle partecipazioni statali trasformando i principali enti di gestione (ENI E IRI) in società per azioni. Tuttavia però si è creato un regime speciale che ha finito con l’assoggettare la società che si privatizza ad uno statuto di forte impronta pubblicistica. In particolare si è previsto per le società operanti in settori particolarmente rilevanti per l’interesse pubblico di attribuire, prima della dismissione del controllo da parte dello stato, particolari poteri all’autorità governativa.

Tali poteri speciali (golden share) fortemente criticati in ambito europeo prevedono tra l’altro la possibilità per il ministro di un potere di veto (motivato in relazione al concreto pregiudizio arrecato agli interessi dello stato) circa l’adozione di deliberazioni quali quelle di scioglimento, cessione dell’azienda, fusione, scissione, trasferimento della sede all’estero o cambiamento dell’oggetto sociale. L’impronta pubblicistica è ancora più marcata nella disciplina della concessionaria del servizio pubblico generale radiotelevisivo (Rai) dove sono riconosciuti significativi poteri alla commissione parlamentare per l’indirizzo e la vigilanza dell’attività della concessionaria riguardo alla nomina del presidente o della maggioranza dei componenti del cda.

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