Le società a partecipazione pubblica sono soggette alla disciplina codicistica che si differenzia a seconda se si tratta di società chiuse o aperte.

In particolare per le società chiuse, l’art. 2449 c.c. Prevede che se lo Stato e gli enti pubblici detengono partecipazioni in una società che non fa ricorso al mercato del capitale di rischio, lo Statuto della società può ad essi conferire la facoltà di nominare amministratori o sindaci, ovvero componenti del servizio di sorveglianza, nonché di revocarli.

Per le società aperte, cioè che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, si applicano, invece due insiemi di regole:

– il primo è costituito dalle disposizioni del comma 6 art. 2346 c.c. Che si riferisce agli strumenti finanziari partecipativi.

– il secondo insieme di regole prevede che il C.d.A. Possa proporre all’assemblea che i diritti amministrativi previsti dallo Statuto a favore dello Stato o degli enti pubblici siano rappresentati da una speciale categoria di azioni.

La scarna disciplina del c.c. Sulle società a partecipazione pubblica viene compensata da molte norme speciali. In particolare è molto frequente il caso di società istituite direttamente ed unilateralmente dalla legge o di società a costituzione obbligatoria.

Ci sono anche norme, sempre esterne al codice, che impongono alle società pubbliche di assumere una particolare fisionomia (spesso queste norme derivano dalla pressione dell’Unione Europea che indica i caratteri che le società devono avere per essere compatibili con l’ordinamento europeo).

In particolare sono da ricordare le società a totale partecipazione pubblica, regolate da leggi speciali e affidatarie di compiti in house cioè senza necessità di una previa gara (come Cassa depositi e Prestiti) e anche le società miste di servizi pubblici locali.

Va anche detto che molte norme estendono alle società l’applicazione di regole pubblicistiche. In altri termini la costituzione della società non può tradursi in una via di fuga dal regime pubblicistico. Pensiamo all’obbligo per queste società di rispettare la legge 141/90, le limitazioni in tema di assunzione del personale, la disciplina per la lotta alla corruzione ecc…

Un altro aspetto interessante attiene al regime applicabile agli amministratori, che si avvicina a quello tipico dei dipendenti pubblici. Inoltre l’art. 1 della legge 141 del 1990 stabilisce che i soggetti privati preposti all’esercizio di attività amministrativa devono assicurare il rispetto dei criteri e dei principi stabiliti dalla legge stessa, con un livello di garanzia non inferiore a quello a cui sono tenute le pubbliche amministrazioni.

Vanno anche ricordate le disposizioni che prevedono obblighi di pubblicità, tetti ai compensi degli amministratori, limiti al numero dei componenti del C.d.A., e di inconferibilità degli incarichi. Si tratta per lo più di norme che perseguono il fine del contenimento della spesa e della moralizzazione.

Alla luce di quanto detto si qui emerge chiaramente che il legislatore persegue diversi e numerosi interessi quando interviene in materia di società pubbliche: tutela della concorrenza, buon uso delle risorse, trasparenza ecc…

Inoltre il legislatore è intervenuto anche per ridurre gli ambiti di esistenza e operatività di queste società, sempre perchè le ritiene soggetti che possono condizionare il libero gioco della concorrenza. Inoltre queste norme sono previste anche per ridurre i costi degli apparati pubblici.

In questo ambito è da segnalare l’art. 3 della L. 244/2007 che ha chiarito che le amministrazioni pubbliche non sono libere di usare lo strumento societario.

Inoltre la legge 147/2013 ha introdotto una logica di efficienza economica stabilendo che a partire del 2017, in caso di risultato negativo per 4 dei 5 esercizi precedenti, le società a partecipazione di maggioranza delle pubbliche amministrazioni locali titolari di affidamento diretto da parte di soggetti pubblici per una quota superiore all’80% del valore di produzione, sono poste in liquidazione entro 6 mesi dalla data di approvazione del bilancio o rendiconto relativo all’ultimo esercizio.

Infine va detto che sono previsti anche limiti che le società costituite devono rispettare nell’esercizio della propria attività. In particolare si tratta di limiti diretti alla tutela della concorrenza. In questo ambito si segnala l’art. 13 del d.l. 223/2006 (c.d. Decreto Bersani) che sancisce con la nullità i contratti che violano il divieto in tale legge enunciato. Oggi questo articolo è stato abrogato!!!

Ci si interroga sulla natura sostanziale di molte società pubbliche. La Corte costituzionale fa una distinzione tra attività che svolgono vera attività di impresa e società attraverso le quali viene svolta attività amministrativa. Solo in questo ultimo caso si avrebbe la natura di società pubbliche e quindi si potrebbe derogare alla disciplina contenuta nel codice civile.

Ci si è chiesti se le società per azioni a partecipazione pubblica possano essere qualificate come organismi di diritto pubblico al fine di assoggettarli alla normativa comunitaria sugli appalti.

La giurisprudenza è sul punto divisa, in quanto accanto alla soluzione negativa che si basa sul fatto che la società ha scopo di lucro, laddove l’organismo di diritto pubblico è istituito per soddisfare bisogni di interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale, esistono infatti posizioni favorevoli a considerare compatibile la natura di impresa con la configurazione del soggetto in termini di organismo di diritto pubblico.

Questione diversa e controversa è poi se la società per azioni in mano pubblica possa porre in essere atti amministrativi o comunque atti ad essi equiparati, problema strettamente legato a quello dell’individuazione del giudice competente a conoscere delle controversie che possano sorgere con i terzi contraenti.( La Cass. prima negava la competenza del G.a. , in alcuni casi l’ha riconosciuta).

Problemi analoghi si sono posti per un’altra categoria di soggetti che, pur essendo privati, presentano profili di carattere pubblicistico, quali i concessionari di opere e degli affidatari di servizi pubblici, i quali, nella misura in cui abbiano ad oggetto la produzione di beni o servizi non destinati ad essere collocati sul mercato in regime di libera concorrenza, sono tenuti ad applicare la normativa sugli appalti pubblici dettata per i settori c.d. esclusi allorché agiscano “ in virtù di diritti speciali o esclusivi.”.

In ordine alla qualificabilità dei loro atti come amministrativi, il problema è stato affrontato direttamente dalla giurisprudenza, la quale ha stabilito la giurisdizione del Giudice amministrativo nelle controversie relative alle procedure di appalto effettuate dai concessionari di opere pubbliche .

Inoltre l’art. 2451 c.c. si occupa delle società di interesse nazionale estendendo ad esse la normativa di cui agli artt. 2449 e 2450 c.c., compatibilmente con le disposizioni delle leggi speciali che stabiliscono per tali società una particolare disciplina circa la gestione sociale, la trasferibilità delle azioni, il diritto di voto e la nomina degli amministratori, dei sindaci. Tra queste la più importante è la RAI TV, concessionaria del servizio pubblico, la quale è stata riconosciuta come una persona giuridica privata nonostante la partecipazione pubblica (Cass. n. 28239/2011).

Infine le fondazioni che costituiscono un modello in via di diffusione nell’ambito dell’attività dell’amministrazione. Caratterizzate dalla indisponibilità dello scopo, esse, anche per l’assenza dello scopo di lucro, svolgono spesso attività in settori contigui a quelli delle amministrazioni.

In alcuni casi vengono in evidenza fondazioni considerate come soggetti privati e costituenti momento finale di percorsi di privatizzazione di soggetti pubblici ( es. le fondazioni bancarie).

 

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