La crisi dell’ impresa commerciale non è un fatto patologico, bensì fisiologico del mercato concorrenziale. Anche per la crisi la legge prevede discipline molto complesse. La premessa che è sottesa alle discipline sulla crisi è la consapevolezza del normale ricorso al credito da parte dell’ impresa, sicchè l’ impresa in crisi si vedrà oberata da debiti e verso un gran numero di creditori. Ab origine una articolazione della disciplina in tema di crisi d’ impresa era fondata sulla tutela delle istanze dei creditori. Il modello ha tuttavia subito deviazioni. Altre istanze sono sembrate meritevoli di tutela: accanto alla riattivazione del mercato finanziario, ha assunto significato la pluralità d’ interessi coinvolti nell’ impresa.

Tali istanze sono a monte delle principali caratteristiche delle procedure che adesso si commentano. La prima è la par condicio creditorum, cioè il complesso di regole con cui si assicura una soddisfazione tendenzialmente eguale o quanto meno per percentuali proporzionali di tutti i debiti dell’ impresa fallita: da cui la def delle procedure in parola come procedure concorsuali, nelle quali è garantito appunto il concorso dei creditori. La seconda è il carattere necessariamente collettivo delle discipline di crisi, le quali sono mirate ad assicurare la soddisfazione di tutti i creditori, e che si svolgono sotto il controllo di un’ autorità pubblica, finendo per assumere una connotazione autoritaria.

Per vero, il concorso dei creditori e la liquidazione dell’ impresa possono ottenersi anche altrimenti, e cioè sulla base dell’ es dell’ autonomia negoziale. Gli artt. 1997 ss. regolano la cessione dei beni ai creditori. La cessione però, stante la sua natura negoziale, esige il consenso di tutte le controparti, dunque di tutti i creditori. Da qui difficoltà concrete e conflitti, e la congruenza della cessione dei beni ai creditori ex art. 1997 a crisi economiche del privato che dell’ impresa. La terza istanza si esprime nella particolare attenzione posta dalla riforma alla conservazione e alla valorizzazione dell’ impresa intesa come going concern.

Anche nell’ ambito di siffatte procedure l’ ordinamento non solo ammette in via generalizzata, ma addirittura favorisce soluzioni della crisi secondo modalità concordate coi creditori. La liquidazione dell’ impresa non sempre consente di ottenere risultati positivi. Talora le capacità dell’ impresa non sono azzerate, ma necessitano se mai solo di nuova finanza e di rinnovata gestione. Ne è seguita l’ intro della amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi. Soggette alle procedure concorsuali sono solo le imprese commerciali.

Ne sono esclusi, oltre alle imprese agricole, gli enti pubblici e i piccoli imprenditori, come pure le imprese commerciali che dimostrino di aver un attivo patrimoniale complessivo non superiore a 300mila euro, di aver realizzato, nel medesimo periodo, ricavi lordi annui complessivamente non superiori a 200mila euro, e di avere un passivo non superiore a 500mila euro. Il costo della procedura in questi casi sarebbe maggiore dei vantaggi che possono ricavarsene. Ciascuno risponde dei suoi debiti con tutto il suo patrimonio (universalità della resp). La crisi può colpire sia imprenditori individuali che collettivi. Problemi si pongono soprattutto quando si tratti di srl, perchè il loro fallimento determina il fallimento anche dei soci.

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