Si è molto discusso sulla natura giuridica dell’azienda, da cui è derivato il contrasto fra teorie unitarie e teorie atomistiche.

La teoria unitaria considera l’azienda come un bene unico, un bene nuovo e distinto rispetto ai singoli beni che la compongono. Si è così affermato che l’azienda è un bene immateriale, rappresentato dall’organizzazione stessa. In questa prospettiva l’azienda è stata qualificata come una universalità di beni.

Si ritiene perciò che il titolare dell’azienda abbia sulla stessa un vero e proprio diritto di proprietà unitario, destinato a coesistere con i diritti che vanta sui singoli beni.

La teoria atomistica concepisce invece l’azienda come una semplice pluralità di beni tra loro funzionalmente collegati e sui quali l’imprenditore può vantare diritti diversi. Si esclude perciò che esista un “bene” azienda formante oggetto di autonomo diritto di proprietà o di altro diritto reale unitario.

La possibilità di concepire l’azienda come un nuovo bene sotto ogni profilo e a tutti gli effetti trova ostacolo nei dati normativi. Da questi emerge con chiarezza che l’unificazione giuridica dei beni aziendali è solo relativa e funzionale, dato che secondo l’art. 2556 , il trasferimento dell’azienda dovrà necessariamente osservare le forme stabilite dalla legge per il trasferimento dei singoli beni che compongono l’azienda.

L’assenza di una legge di circolazione propria dell’azienda è sufficiente a negare la piena unità giuridica e la natura di nuovo bene della stessa, lasciando preferire la teoria atomistica.

L’unità funzionale dell’azienda trova significativo riconoscimento nella relativa disciplina e costituisce il principio di molte disposizioni ed in particolare dell’art. 2561, 2° comma , secondo cui l’usufruttuario deve gestire l’azienda senza modificarne la destinazione e in modo da conservare l’efficienza dell’organizzazione e degli impianti e le normali dotazioni di scorte. L’azienda resta perciò la stessa nonostante il mutare dei suoi elementi costitutivi.

La salvaguardia dell’unità funzionale dell’azienda deve fungere da criterio interpretativo della relativa disciplina nei punti in cui essa non risulti chiara e debba ispirare la soluzione dei problemi pratici della stessa lasciati aperti.

In questa prospettiva deve essere valutata la definizione dell’azienda in termini di universalità di beni, proposta dalla giurisprudenza e da una parte della dottrina.

Anche se l’azienda è espressamente equiparata alle universalità di beni dall’art. 670 c.p.c. , (che prevede il sequestro giudiziario di aziende e di altre universalità di beni), il considerare l’azienda un’universalità di beni non offre argomenti per concepire la stessa come un bene nuovo ed unitario. Oltre all’art. 670 c.p.c. non esistono altre norme che disciplinino direttamente le universalità di beni.

Norme specifiche  sono  dettate  per  le universalità di beni mobili, definite dall’ art. 816  come la pluralità di cose che appartengono alla stessa persona e hanno una destinazione unitaria. Questi aggregati di cose mobili hanno un regime normativo parzialmente coincidente con quello previsto per i beni mobili, ma non totalmente coincidente. Infatti, l’art. 2784  dispone che le universalità di mobili, al pari dei singoli beni mobili, possono costituire oggetto di pegno.

Ma la disciplina delle universalità di mobili non si può applicare all’azienda, visto che l’azienda può comprendere dei beni che non siano di proprietà dell’ imprenditore.

È fuori dubbio che la fattispecie prevista dall’art. 816 (universalità di mobili) e soprattutto la disciplina degli artt. 1156 , 1160 e 2784  presuppongono sia l’esclusiva composizione mobiliare del complesso, sia la proprietà dei singoli beni costituiti in universalità. Infatti, questi articoli non sono applicabili ai beni mobili che non siano di proprietà del titolare dell’universalità.

Tali problemi non si risolvono nemmeno considerando l’azienda come universalità mista, dato che la disciplina delle universalità mobiliari non è applicabile direttamente ad altre forme di universalità.

Le diversità strutturali fra azienda ed universalità di mobili non implicano però che si debba escludere l’applicazione per analogia, dato che sia l’azienda sia le universalità di mobili costituiscono aggregati di cose a destinazione unitaria e finalizzati alla produzione di un’utilità complessiva nuova e diversa rispetto a quella offerta dalla semplice somma dei singoli beni.

Così può ammettersi che, al pari delle universalità di beni mobili:

  1. l’insieme dei beni mobili aziendali di proprietà dell’imprenditore sia sottratto all’applicazione della regola “possesso vale titolo” valida per i singoli beni mobili, art. 1156, mentre il problema non si pone nemmeno per gli immobili aziendali e i beni mobili registrati;
  2. il complesso mobiliare aziendale può essere acquistato per usucapione solo in virtù del possesso continuato per 20 anni, art. 1160, in luogo dei 10 anni previsti per i singoli beni mobili, art. 1161 ;
  3. il titolare di un’azienda può avvalersi dell’azione di manutenzione, oltre che per gli immobili, anche per tutelare il possesso dell’insieme dei beni mobili aziendali, art. 1170.

 

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