La libertà di iniziativa economica e la competizione fra imprese non possono tradursi in atti e comportamenti che pregiudicano in modo rilevante e durevole la struttura concorrenziale del mercato.

Questo principio è il cardine della legislazione antimonopolistica dell’UE, dettata dal Trattato Ce artt. 81-82 e dai Regolamenti Ce n. 1 del 16-12-1993 e n. 139 del 20-01-2004. Questa disciplina, applicabile direttamente alle imprese italiane, è volta a preservare il regime concorrenziale del mercato comunitario e a reprimere le pratiche anticoncorrenziali che pregiudicano il commercio fra stati membri.

La Commissione della CE:

vigila sul rispetto di tali normative,

adotta i provvedimenti necessari per reprimere i comportamenti anticoncorrenziali vietati

irroga le sanzioni pecuniarie previste dalla legislazione comunitaria.

Questo principio è stato recepito anche dalla legislazione antimonopolistica italiana, legge n. 287 del 10-10-1990, volta a preservare il regime concorrenziale del mercato nazionale e a reprimere i comportamenti anticoncorrenziali che incidono solo sul mercato nazionale.

Per le imprese che opera nel campo dell’editoria e radiotelevisivo, trova applicazione la specifica disciplina volta a garantire il pluralismo dell’informazione di massa impedendo posizioni monopolistiche.

Da qui l’esigenza di coordinare le due normative, visto che il legislatore italiano ha riconosciuto posizione preminente e sovraordinata alla disciplina comunitaria.

Infatti, la normativa nazionale ha carattere residuale , cioè è applicabile solo se la fattispecie non è prevista dalla normativa comunitaria, art. 1 legge 287/1993 e, si applica alle pratiche anticoncorrenziali che hanno rilievo esclusivamente locale e che non incidono sulla concorrenza nel mercato comunitario.

Mentre, per le fattispecie che incidono sul mercato comunitario è applicabile solo il diritto comunitario della concorrenza, cd principio della barriera unica, anche se la Commissione Ce sta decentrando l’applicazione della disciplina comunitaria da parte dell’Autorità nazionale, art. 54 legge 52/1996.

I principi del diritto comunitario prevalgono anche sull’interpretazione dell’art. 8 della legge 287/1990 che definisce l’ambito soggettivo di applicazione della disciplina antimonopolistica italiana: imprese private, imprese pubbliche e a partecipazione statale, escluse le imprese in monopolio legale e quelle che gestiscono servizi di interesse economico generale.

Nella nozione comunitaria di impresa sono ricomprese anche gli esercenti professioni intellettuali, che per il nostro ordinamento non sono imprenditori.

Quindi, anche ad essi si applica la disciplina antimonopolistica italiana e comunitaria.

La legge n. 287/1990 ha istituito un apposito organo pubblico indipendente, Autorità garante della concorrenza e del mercato[1], che vigila sul rispetto della normativa antimonopolistica in tutti i settori economici, tranne qualche eccezione:

per il settore assicurativo, l’Autorità deve sentire l’Isvap;

per il settore dell’editoria e radiotelevisivo vi è l’apposita Autorità.

L’Autorità garante:

ha ampi poteri di indagine ed ispettivi,

adotta i provvedimenti antimonopolistici necessari

irroga le sanzioni amministrative pecuniarie previste dalla legge.

Contro i provvedimenti amministrativi dell’Autorità può essere proposto ricorso giudiziario, per il quale è competente il Tar del Lazio, art. 33.

Le azioni di nullità e di risarcimento dei danni, nonché i ricorsi diretti ad ottenere provvedimenti di urgenza, vanno promossi alla Corte dei appello competente per territorio. Si omette, perciò, il primo grado di giudizio davanti al Tribunale.



[1] L’Autorità è un organo collegiale composto da un presidente e da 4 membri, nominati dai Presidenti di Camera e Senato, che restano in carica per 7 anni e non possono essere confermati. L’Autorità ha sede in Roma ed ha autonomia organizzativa e decisionale e, dispone di proprio personale. Ogni anno presenta al Parlamento una relazione sull’attività svolta.

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