La partecipazione del socio alla società in nome collettivo viene usualmente chiamata QUOTA. Si tratta di una figura relazionale. La quota esprime semplicemente il contratto di società considerato dal lato del socio, sicché deve ravvisarsi una nozione riflessa. Concettualmente, commisura la partecipazione del socio all’ organizzazione; in termini empirici, si traduce nel fascio di situazioni soggettive attive e passive che fanno capo al socio in quanto parte del contratto e componente dell’ organizzazione, patrimoniale ed operativa, che ne deriva.

La quota ha evidentemente un valore; ma anche questo è relazionale al valore della società perchè si calcola in funzione della percentuale di partecipazione del socio, in tutti i suoi profili. Il codice non prevede il trasferimento della quota di società in nome collettivo; a rigore non lo esclude nemmeno. La sostituzione della parte in un contratto di scambio è ammessa dall’ art. 1406 con il consenso dell’ altra parte, e che la sostituzione del socio di società in nome collettivo defunto con l’ erede è ammessa dall’ art. 2284 ove si consentano erede e consoci.

Vi sono dunque sufficienti basi argomentative per sostenere che anche il trasferimento negoziale della quota rientri nell’ ordinamento. Quel trasferimento comporta tuttavia modifica dell’ atto costitutivo. E’ fattibile perciò (solo) con il consenso di tutti gli altri soci. Ci si può chiedere se l’ atto costitutivo possa legittimare la libera trasferibilità della quota.

Due circostanze confortano la risposta positiva: nell’ esplicazione dell’ autonomia privata i soci ben dovrebbero poter regolare a priori i loro rapporti anche in funzione di un nuovo entrante; inoltre, la quota si sostanzia nella partecipazione ad un’ attività d’ impresa esercitata collettivamente, che è da principio aperta a tutti: sicché nulla si oppone per una libertà dei soci di organizzare a loro scelta l’ esercizio collettivo della attività d’ impresa anche quanto a chi possa in futuro partecipare alla società sostituendosi a chi dapprima sia intervenuto.

Chi entra nella società in nome collettivo per acquisizione di una sua quota ne diventa socio a tutti gli effetti: risponde perciò illimitatamente e solidamente per tutte le obbligazioni sociali, anche di quelle anteriori al suo ingresso in società. Il socio uscente si conserva invece responsabile per le obbligazioni sociali anteriori allo scioglimento del suo rapporto con la società. Le situazioni soggettive attive facenti capo al socio si distinguono, a rigore, in diritti quando hanno contenuto patrimoniale e in poteri quando hanno contenuto organizzativo.

A) I DIRITTI PATRIMONIALI riconosciuti dalla legge ai soci sono il diritto agli utili, il diritto alla quota di liquidazione e, a rigore, anche il diritto di recesso. La percentuale di partecipazione agli utili del socio è di regola proporzionale alla sua quota di conferimento, cioè quanto ha investito nella società, e corrisponde alla sua percentuale di partecipazione alle perdite.

Nel silenzio dell’ atto costitutivo, si presume anzi che la regola organizzativa sia quella ora enunciata (art. 2263, co. 1 e 3). Ne è ammessa però la deroga, e dunque il disequilibrio fra la partecipazione agli utili e la partecipazione alle perdite, e di entrambe rispetto ai conferimenti. Il limite è il divieto di patto leonino (art. 2265: “è nullo il patto con il quale uno o più soci sono esclusi da ogni partecipazione agli utili o alle perdite).

Si assume l’ esistenza di un patto leonino anche quando non ci si trovi davanti a una sua espressione in termini assoluti, ma la partecipazione agli utili o alle perdite sia però prevista in termini così irrisori da rappresentare elusione della norma nel giudizio di valore dell’ organo giudicante. L’ art. 2264 legittima la determinazione da parte di un terzo della percentuale di utili spettante al socio e di perdite di cui egli debba farsi carico. In tal caso, il rinvio è all’ art. 1349.

Il socio di società in nome collettivo può conferire anche solo una sua prestazione. Si avrà allora il cosiddetto SOCIO D’ OPERA. Se l’ atto costitutivo non precisa la sua partecipazione negli utili e nelle perdite, questa è fissata dal giudice (art. 2263.2). Ai sensi dell’ art. 2262, ogni socio ha diritto a percepire la sua parte di utili dopo l’ APPROVAZIONE del RENDICONTO che si chiude con un bilancio e con un conto dei profitti e delle perdite. Cioè, la pretesa del socio si perfeziona tout court davanti al rendiconto, rectius al bilancio.

Resta però fermo che senza un rendiconto non si perfeziona la fattispecie costitutiva della pretesa concreta del socio a percepire l’ utile: si è perciò parlato di un dir astratto e di un dir concreto all’ utile a seconda che la formazione per fasi successive della fattispecie si sia conclusa o meno.

B) Il dir alla QUOTA DI LIQUIDAZIONE sta a significare che una volta (sciolta la società) dismesso tutto l’ attivo e pagati tutti i debiti, il residuo attivo compete ai soci di regola in via proporzionale alla quota di conferimento. Il dir di credito del socio si perfeziona con l’ approvazione del bilancio finale di liquidazione e del piano di riparto (art. 2311).

Fanno carico al socio di società in nome collettivo anche situazioni soggettive passive. Il socio è tenuto al conferimento, il quale, se non si traduce in consegna contestuale all’ atto di costituzione, la pretesa nei confronti del socio verrà esercitata dagli amministratori o dai liquidatori. Il socio inadempiente potrà essere escluso. Una pretesa che trova ragione nella responsabilità illimitata del socio non può essere promossa dagli amministratori della società; è a rigore tipica dei creditori sociali.

Il socio di società in nome collettivo è sottoposto al DIVIETO DI CONCORRENZA (art. 2301.1): egli non è legittimato infatti ad esercitare un’ attività concorrente a quella della società, nè per conto proprio nè per conto altrui, nè direttamente nè partecipando come socio illimitatamente responsabile a società concorrente. La violazione del divieto legittima la società a pretendere il risarcimento del danno dal socio inadempiente: nè giustifica altresì l’ esclusione dalla società. E’ ammessa la rimozione del divieto per consenso degli altri soci.

L’ atto costitutivo può anche prevedere che la decisione sia presa, nel caso concreto, a maggioranza. E il consenso addirittura si presume se la situazione concorrenziale preesisteva all’ atto costitutivo e i consoci ne erano a conoscenza, cosicché l’ accettazione del socio concorrente nell’ atto costitutivo viene equiparata a consenso a che continui nell’ esercizio di quell’ attività.

Più complessa è la vicenda dei poteri organizzativi. Sotto il profilo pratico, può osservarsi che il socio cogestisce l’ impresa, atteso che in mancanza di diversa pattuizione, “l’ amministrazione della società spetta a ciascuno dei soci disgiuntamente dagli altri” (art. 2257). Sotto il profilo giuridico, la constatazione adesso ricordata ha tuttavia mero carattere empirico: il potere d’ iniziativa, che comprende il potere di porre le norme che regolano l’ organizzazione, non è il potere d’ amministrazione (Ferri), che anche nella società in nome collettivo ha sempre carattere derivato, in coerenza al modello organizzativo convenuto (e non per nulla l’ art. 2257 trova carattere residuale).

Vero è invece che il potere tipico dei soci è di organizzare la gestione come vogliono, e ancora di controllarla; e in questo contesto, compete loro anche il potere di stabilire, nell’ atto costitutivo anzitutto, e in difetto con decisione presa con le modalità ivi fissate, i criteri di amministrazione della società e di nominare gli amministratori.

A) Il POTERE D’ INIZIATIVA dei soci si sostanzia soprattutto nella fissazione delle regole dell’ organizzazione in sede di formazione del contratto sociale, nella modifica di quelle regole, nello scioglimento della società e nella proroga della durata della stessa, nella esclusione della parte inadempiente dal gruppo. Ai soci compete inoltre il potere di controllo dell’ amministrazione, nonchè il diritto di recedere dalla società.

Qui conviene ricordare che le regole di organizzazione contenute nell’ atto costitutivo possono incidere anche sulle modalità di esplicazione collettiva del potere di iniziativa. In buona sostanza, una volta conclusosi fra i soci il contratto sociale, si tratta sempre di modifiche dello stesso quanto al contenuto e alla durata della sua efficacia, per le quali occorre in principio il corrisporre una organizzazione a carattere più incisivo, ammettendo, per alcune o per tutte le decisioni, la delibera a maggioranza, semplice o qualificata, ed eventualmente stabilendo anche le modalità procedimentali di formazione della delibera (art. 2252.2).

Nel provvedimento deliberativo l’ espressione di consenso o dissenso del socio viene poi chiamata VOTO, favorevole o contrario. La DICHIARAZIONE DI VOTO ha natura NEGOZIALE. Soggiace dunque alle regole, anzitutto di validità o invalidità, del negozio giuridico. Non richiede in principio forme particolari, ma le modalità organizzative stabilite nell’ atto costitutivo potranno prescriverne. Non è nemmeno a rigore dovuta, ma la sua astensione, di regola, equivale a voto contrario. La procedura di raccolta dei voti non risulta procedimentalizzata; la società in nome collettivo non conosce tassative sequenze di convocazione, riunione, discussione e votazione come è stabilito invece per le spa.

Trattandosi peraltro di un opportuno criterio di ordine e di tutela del singolo là dove non occorra unanimità di consensi, gli atti costitutivi di regola vi provvedono quando ammettono il principio maggioritario. La MODIFICA dello statuto può riguardare ogni clausola, anche l’ oggetto sociale, cioè il settore commerciale o industriale o finanziario nel quale i soci intendono svolgere attività d’ impresa, o il tipo di società.

B) Passando adesso alla ORGANIZZAZIONE AMMINISTRATIVA della società, i modelli richiamabili sono diversi, anche qui trovando applicazione l’ autonomia negoziale dei soci. L’ atto costitutivo potrà così stabilire:

i) la nomina di un UNICO amministratore, oppure

ii) di un consiglio di amministrazione che deliberi a maggioranza; oppure

iii) che l’ amministrazione sia attribuita a due o a più o tutti i soci CONGIUNTAMENTE, nel quale caso occorrerà il consenso di tutti i soci coamministratori per il compimento di ogni operazione (art. 2258.3); oppure

iv) che su ogni operazione decidano tutti i soci a maggioranza, nel qual caso la maggioranza si determina avendo attenzione alla parte di utili spettante a ciascun socio (art. 2258.2), a meno che l’ atto costitutivo non precisi un diverso criterio di calcolo; oppure infine

v) ciascun socio godendo del potere di amministrare DISGIUNTAMENTE dagli altri (art. 2257.1).

I modelli sono anche combinabili. Unica ipotesi che si usa dire esclusa è la nomina di un NON socio ad amministratore, in ciò volendosi fare emergere il vincolo di intervento e di competenza personale dei soci, e di questi soltanto, nella gestione. Quando socio sia una SOCIETA’, il rappresentante legale di questa può rivestire la carica di amministratore o amministrare congiuntamente o disgiuntamente con altri.

Nell’ ipotesi di amministrazione DISGIUNTIVA, non è improbabile il disaccordo fra soci coamministratori. Ogni socio è allora legittimato ad opporsi all’ operazione promossa da altri prima che sia compiuta (art. 2257.2), e sul conflitto deliberano i soci con le maggioranze poc’ anzi indicate (art. 2257.3). Il conflitto può essere anche ETERORISOLTO.

L’ art. 37 del d.lgs. 5/2007, ammette che l’ atto costitutivo di società in nome collettivo deferisca alla decisione di uno o più terzi eventualmente organizzati collegialmente la soluzione dei contrasti fra amministratori su questioni attinenti alla gestione della società.

Il terzo o i terzi possono dare anche indicazioni vincolanti su questioni collegate con quelle espressamente deferite, in una sorta di estensione a macchia d’ olio della eterogestione. La decisione del terzo o dei terzi è impugnabile a norma dell’ art. 1349.2 (cosiddetta determinazione rimessa al mero arbitrio del terzo) solo provando la sua o loro mala fede.

C) L’ amministratore può essere REVOCATO (art. 2259). Se nominato con l’ atto costitutivo, occorre giusta causa, altrimenti la revoca restando priva di effetti. Se nominato con atto separato, la revoca invece è libera, ma quando nell’ atto di nomina era pattuita l’ irrevocabilità o all’ amministratore era attribuito un emolumento (compenso percepito per prestazioni professionali), l’ amministratore revocato può pretendere il risarcimento dei danni, a meno che non ricorra a suo carico (inadempimento che comporti) giusta causa di revoca.

La disciplina alla quale l’ art. 2259 rinvia è quella del mandato. La revoca deve essere decisa da tutti o a maggioranza dei soci, a seconda del criterio applicato per la nomina. La revoca per giusta causa può essere invece (anche) chiesta giudizialmente da ogni socio (art. 2259.3).

D) Quanto ai DIRITTI e agli OBBLIGHI degli amministratori l’ art. 2260.1 rinvia alla disciplina del mandato. Il rinvio esprime e sottolinea il carattere DERIVATO dei poteri dell’ amministratore, ma va costruito avendo attenzione alla differenza fra il contenuto tipico del mandato (compimento di uno o più atti giuridici) e quello dell’ incarico conferito ad un amministratore di società (gestione dell’ attività d’ impresa), il secondo essendo certamente più vasto e con potenzialità ben più variegate.

La norma secondo cui “il mandato comprende non solo gli atti per i quali è stato conferito, ma anche quelli necessari al loro compimento” (art. 1708) va quindi applicata avendo come obiettivo appunto la GESTIONE DELL’ IMPRESA e come portata la legittimazione a compiere ogni atto che alla gestione dell’ impresa sia strumentale, se si vuole anche a titolo gratuito.

La norma secondo cui “ il mandato generale non comprende gli atti che eccedono l’ ordinaria amministrazione, se non sono indicati espressamente” (art. 1708.2) va inoltre interpretata tenendo conto della natura dell’ attività per la cui gestione è dato incarico, sicché la straordinaria amministrazione nel caso si traduce nel divieto di atti ESTRANEI all’ OGGETTO SOCIALE e ancora di più di atti che nella sostanza modifichino il tipo di attività previsto nell’ atto costitutivo.

Dalla disciplina dettata per le società in nome collettivo, com’è ovvio, si ricavano ATTI DOVUTI dall’ amministratore, che per converso ne indicano i poteri: ad esempio il potere/dovere di tenere le scritture contabili, di redigere il rendiconto e il bilancio dell’ es, così fornendo ai soci info completa dei risultati di ciò che si è fatto; il potere/dovere di curare gli adempimenti pubblicitari prescritti al fine soprattutto di rendere le regole di organizzazione societaria opponibili ai terzi.

Conseguenze del rinvio alla disciplina del mandato sono anche:

i) il diritto a compenso degli amministratori, a meno di patto contrario;

ii) il dovere di esercizio personale delle funzioni, stante anche il rapporto fiduciario che si instaura fra amministratori e soci;

iii) il dir dell’ amministratore a rinunziare all’ incarico, rispondendo dei danni ma restando efficace la rinunzia quando il rapporto è a tempo determinato, oppure rispondendo dei danni se non abbia dato congruo preavviso se il rapporto è a tempo indeterminato (art. 1727).

E) La RESPONSABILITA’ dell’ amministratore nell’ espletamento del suo incarico è quella (del mandato e quindi) del buon padre di famiglia (art. 1710.1). Va interpretata soprattutto avendo attenzione alla particolare cura e tensione in cui si traduce la DILIGENZA dovuta dal pater familias e dell’ agente che è tipica di ogni figura di interposizione gestoria. L’ art. 2260.2 precisa comunque che vi è responsabilità solidale degli amministratori verso la società “per l’ adempimento degli obblighi ad essi imposti dalla legge e dal contratto sociale”. La responsabilità tipica dell’ amministratore non si estende a chi provi di essere esente da colpa.

F) Potere di GESTIONE e di RAPPRESENTANZA non sono figure coincidenti. Il primo attiene alle scelte e alla decisione degli atti di cui si compone l’ azione della società; il secondo concerne l’ efficacia esecuzione di quegli atti nei confronti dei terzi. Possono perciò coesistere in capo alla stessa persona e possono soggiacere a regolazione diversa.

Il CONFERIMENTO del potere di rappresentanza deve peraltro coincidere (temporalmente) con quello del potere di gestione. L’ atto costitutivo della società in nome collettivo deve perciò indicare vuoi a chi sia delegata la rappresentanza della società (art. 2295.1, n.3). Così anche quando la nomina avvenga per atto separato. In difetto, si applica la norma a carattere residuale per la cui rappresentanza spetta a ciascun amministratore. Anche le MODALITA’ DI ESERCIZIO dei poteri di rappresentanza sono lasciate all’ iniziativa dei soci.

La rappresentanza potrà perciò essere attribuita ad un solo o a più di un amministratore. Potrà essere anche ripartita con riguardo all’ oggetto e/o al valore degli atti da compiere, anche in contemporanea ad un richiamo graduato dell’ esercizio disgiunto o congiunto. Le LIMITAZIONI al potere di rappresentanza devono ovviamente essere iscritte nel registro delle imprese per essere opponibili ai terzi, altrimenti essendo onere della società provare che questi ne sono a conoscenza.

Nell’ ipotesi in cui l’ atto costitutivo o l’ atto separato di nomina nulla dicano su limiti ai poteri di rappresentanza, la prospettiva funzionale nella quale tali poteri si articolano fa sì che la rappresentanza si estenda a tutti gli atti ricompresi nell’ oggetto sociale (art. 2266.2). L’ atto compiuto in mancanza di poteri rappresentativi, o anche in eccesso ai poteri rappresentativi conferiti e regolarmente pubblicati, NON PRODUCE EFFETTI nei confronti della società.

G) Sembra naturale che i soci abbiano modo di essere INFORMATI su ciò che viene fatto e ancora di esercitare un controllo sull’ azione di chi gestisce per loro conto. La prima istanza viene soddisfatta con la redazione di un BILANCIO ANNUALE da parte degli amministratori. La comunicazione del bilancio non è procedimentalizzata. L’ atto costitutivo, o anche l’ atto di nomina degli amministratori possono intervenire al riguardo, disponendo la data entro cui il bilancio dell’ esercizio precedente deve essere comunicato ai soci e/o le modalità di comunicazione.

La legge non prevede la pubblicazione del bilancio della società in nome collettivo. A rigore non ne richiede nemmeno l’ approvazione da parte dei soci. Il bilancio resta atto degli amministratori. L’ atto costitutivo può stabilire ovviamente regola diversa. La responsabilità degli amministratori non è cancellata dalla clausola statuaria che procedimentalizza redazione e approvazione del bilancio.

L’ APPROVAZIONE del bilancio NON LIBERA dunque gli amministratori, a rigore, nemmeno dalle responsabilità a loro carico per la correttezza nella redazione del rendiconto e del bilancio. L’ art. 1713.2 consente di dispensare il mandatario dall’ obbligo di rendiconto. Non è così nella società in nome collettivo, perchè rendiconto e bilancio sono OBBLIGATORI per l’ impresa.

Più penetrante è il POTERE DI CONTROLLO al cui esercizio ogni socio è INDIVIDUALMENTE legittimato. Il socio potrà prendere visione di ogni documento relativo all’ organizzazione e all’ amministrazione dell’ attività sociale oltre che delle scritture contabili, e chiedere notizie agli amministratori sullo svolgimento degli affari sociali, con obbligo di corretta risposta degli stessi.

H) Si è parlato finora di poteri organizzativi dei soci. Non sembra invece che sussistano OBBLIGHI O DOVERI O ONERI organizzativi dei soci, salvo, se si vuole, il loro dovere di comportamento corretto e in buona fede, la cui violazione potrà dar luogo solo a risarcimento del danno e, se del caso, ad esclusione dalla società.

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