Il procedimento di liquidazione. L’estinzione della società
Il procedimento di liquidazione inizia con la nomina di uno o più liquidatori, che richiede il consenso di tutti i soci se nell’atto costitutivo non è diversamente previsto. In caso di disaccordo tra i soci, i liquidatori sono nominati dal presidente del tribunale. I liquidatori possono essere revocati per volontà di tutti i soci ed in ogni caso dal tribunale per giusta causa, su domanda di uno o più soci.
Con l’accettazione della nomina i liquidatori, prendono il posto degli amministratori. Essi devono consegnare ai liquidatori i beni e i documenti sociali e presentare loro il conto della gestione relativo al periodo successivo all’ultimo rendiconto. Gli amministratori e i liquidatori devono poi redigere insieme l’inventario, dal quale risulta lo stato attivo e passivo del patrimonio sociale. In tal modo vengono fissate nel tempo le eventuali responsabilità degli amministratori per la gestione di loro competenza e l’attività degli stessi si esaurisce.
Entrano così in funzione i liquidatori che hanno il compito di convertire in denaro i beni, pagare i creditori, ripartire tra i soci l’eventuale residuo attivo. I liquidatori possono quindi compiere tutti gli atti necessari per la liquidazione e se i soci non hanno disposto diversamente, possono vendere anche in blocco i beni aziendali. Per procedere al pagamento dei creditori sociali, i liquidatori possono chiedere ai soci i versamenti ancora dovuti, ma solo se i fondi disponibili risultano insufficienti. Sui liquidatori incombono i seguenti divieti:
– Non possono intraprendere nuove operazioni, cioè che non sono in rapporto di mezzo a fine rispetto all’attività di liquidazione.
– Non possono ripartire fra i soci i beni sociali, finché i creditori sociali non siano stati pagati
Estinti tutti i debiti sociali avviene la ripartizione tra i soci dell’eventuale attivo patrimoniale residuo convertito in denaro, se i soci non hanno convenuto che la ripartizione dei beni sia fatta in natura.
Il saldo attivo di liquidazione è destinato innanzitutto al rimborso del valore nominale dei conferimenti. L’eccedenza viene ripartita tra tutti i soci in proporzione della partecipazione di ciascuno nei guadagni.
Nella società in nome collettivo, invece, i liquidatori devono redigere il bilancio finale di liquidazione ed il piano di riparto. Il primo è il rendiconto della gestione dei liquidatori, il secondo è una proposta di divisione fra i soci dell’attivo residuo. Con l’approvazione del bilancio, i liquidatori sono liberati di fronte ai soci e il procedimento di liquidazione ha termine. Non è necessario, diversamente dalle società di capitali, che i liquidatori procedano all’effettiva ripartizione dell’attivo residuo fra i soci.
Nella società semplice e collettiva irregolare, la chiusura del procedimento di liquidazione determina l’estinzione della società. Per la società in nome collettivo registrata, approvato il bilancio finale di liquidazione, i liquidatori devono chiedere la cancellazione della società dal registro delle imprese. Con la cancellazione dal registro delle imprese la società si estingue, quand’anche non tutti i creditori sociali non siano stati soddisfatti.
I creditori insoddisfatti, non restano senza tutela, essi possono agire sia nei confronti dei soci, sia nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è imputabile a colpa o dolo di questi ultimi. I creditori possono chiedere anche il fallimento della società e dei soci entro un anno dalla cancellazione della società nel registro delle imprese. Questo diritto, di recente instaurato dalla corte costituzionale, pone fine al precedente orientamento della giurisprudenza, secondo cui, nonostante la cancellazione dal registro delle imprese, la società doveva ritenersi ancora in vita ed esposta al fallimento, fin quanto non era stato pagato l’ultimo debito.
Il fallimento della società
La versione originaria dell’art. 10 legge fallimentare disponeva che l’imprenditore poteva essere dichiarato fallito entro un anno dalla cessazione dell’impresa.
Il termine annuale decorreva dall’effettiva cessazione dell’attività d’impresa, principio di effettività, e non dalla cancellazione dal registro.
La Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionale tale art. 10 legge fallimentare, nella parte in cui non prevedeva che il termine di un anno per la dichiarazione di fallimento della società decorresse dalla cancellazione della società stessa dal registro delle imprese.
L’attuale d.lgs. n. 5/2006 ha adeguato il diritto fallimentare alle indicazioni della Corte Costituzionale. Infatti, il nuovo art. 10 dispone che gli imprenditori individuali e collettivi possono essere dichiarati falliti entro un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese, se l’insolvenza si e’ manifestata anteriormente alla medesima o entro l’anno successivo. In caso di impresa individuale o di cancellazione di ufficio degli imprenditori collettivi, e’ fatta salva la facoltà di dimostrare il momento dell’effettiva cessazione dell’attività da cui decorre il termine del primo comma.
Il nuovo art. 147, 2° comma, estende la regola dell’art. 10 anche al fallimento in estensione dei soci illimitatamente responsabili. La norma stabilisce infatti che il fallimento della società non produce anche il fallimento del socio, decorso un anno dallo scioglimento del rapporto sociale o dalla cessazione della responsabilità illimitata, anche in caso di trasformazione, fusione o scissione, se sono state osservate le formalità per rendere noti ai terzi i fatti indicati. Le nuove regole chiariscono che le società irregolari possono essere dichiarati fallite senza limiti di tempo dopo la cessazione dell’attività di impresa.