Deviazione dai principi comuni

Problemi particolari si pongono quando l’imprenditore fallito è una società. In primo luogo la legge fallimentare pone a carico degli amministratori e dei liquidatori alcuni obblighi e responsabilità, che in conseguenza del fallimento, incombono sul fallito. Così gli amministratori e i liquidatori sono tenuti all’obbligo di comunicare al curatore ogni cambiamento della residenza o del domicilio e a presentarsi personalmente agli organi del fallimento, devono essere sentiti ogni volta che la legge dispone che debba essere sentito il fallito, e così su di loro ricadono responsabilità penali nel caso di bancarotta semplice o fraudolenta o nel caso degli altri reati fallimentari.

Un problema particolare è stato posto dall’applicabilità alle società dell’art. 10 della legge fallimentare che dispone la possibilità di una dichiarazione di fallimento dopo la cessazione dell’impresa, entro un anno dal verificarsi della cessazione. A tale proposito la corte costituzionale ha identificato la cessazione dell’impresa con la cancellazione dal registro delle imprese stabilendo che il termine annuale debba decorrere, nel caso delle società, dalla cancellazione dal registro delle imprese.

La corte ha anche differenziato tra imprenditori individuali e società stabilendo che per i primi la cancellazione dal registro ha solo valore presuntivo in quanto è consentito al creditore e al pubblico ministero di dimostrare che l’effettiva cessazione è avvenuta dopo la cancellazione, mentre per le società tale dimostrazione può essere fornita solo nel caso di cancellazione d’ufficio e solo per le società di persone, dal momento che per le società per azioni la cancellazione dal registro delle imprese ha valore costitutivo e quindi nessuna attività successiva può essere riferita ad una società di capitali dopo il momento della cancellazione.

La dichiarazione di fallimento non comporta il venir meno degli organi societari solo che, in conseguenza dello spossessamento dei beni e dell’amministrazione, gli organi societari possono compiere solo quegli atti processuali che durante il fallimento spettano al fallito. Così gli amministratori e i liquidatori possono proporre reclamo contro la sentenza dichiarativa di fallimento, possono proporre al tribunale proposta di concordato o le istanze ritenute opportune nell’interesse della società. Al di fuori di ciò l’attività degli organi sociali è sostituita dall’attività del curatore che, senza necessità di deliberazione dei soci, con la sola autorizzazione del giudice delegato sentito il parere del comitato dei creditori, può proporre azione di responsabilità contro gli amministratori, i liquidatori e i sindaci e può far valere l’azione di responsabilità spettante ai creditori sociali per l’esercizio scorretto della attività di direzione e coordinamento della società.

Gli atti che la società può compiere dopo la dichiarazione di fallimento sono compiuti dai legali rappresentanti secondo le norme statutarie e per quanto riguarda il concordato, esso può essere proposto dai legali rappresentanti solo previa approvazione della maggioranza dei soci nelle società di persone o degli amministratori nelle società di capitali. Altro principio particolare applicabile alle società e quello che per effetto del fallimento i versamenti delle quote non ancora effettuati dai soci diventano immediatamente esigibili anche se non è scaduto il termine stabilito per il pagamento. Al di là di queste integrazione gli altri principi della procedura fallimentare si applicano integralmente in caso di fallimento della società.

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