Emersione del principio

Nella Costituzione il diritto privato viene indicato sotto la voce “ordinamento civile” dall’art.117 comma 2 lettera l) come una delle materie in cui lo Stato ha competenza legislativa esclusiva. Il principio di sussidiarietà orizzontale (o sociale) è esplicitamente enunciato dall’art. 118 comma 4 della Costituzione.

Il riconoscimento dell’autonomia privata è l’archetipo della sussidiarietà perché esprime la funzione vicaria del diritto rispetto alle determinazioni dei privati: del resto, come ha confermato il Consiglio di Stato, il nocciolo della sussidiarietà sta in nel fatto che gli interventi pubblici siano svolti al livello più appropriato.

Ai privati, normalmente, non è precluso discostarsi da schemi predisposti per dare vira a rapporti che essi ritengano più funzionali ai propri interessi, sicché si può dire che il diritto opera in due ambiti: in uno, pur potendo autoregolarsi, i privati tacciono; nell’altro, in ragione del particolare e preminente interesse specificamente presidiato dall’ordinamento, la disciplina è stata dettata con norme inderogabili.

Del resto, di fronte alla pluralità degli ordinamenti giuridici ed al fenomeno, ormai consistente, delle organizzazioni private con vocazione normativa, si può ravvisare un principio di parità tra pubblico e privato che l’emersione del principio di sussidiarietà sociale ha sugellato.

 

Portata

L’art.118 è collocato bel titolo V della Costituzione, dunque non tra i principi fondamentali. Ad ogni modo, un’implicita affermazione della sussidiarietà orizzontale può rinvenirsi negli articoli 2 e 3 della Costituzione. Peraltro va ricordato che il principio si trova formulato anche negli art. 1 e 5 TUE.

Quanto all’ambito soggettivo della sussidiarietà orizzontale, si può ritenere che “cittadini” non debbano essere considerati solo coloro che hanno la cittadinanza: non vi sarebbe, infatti, ragione di riservare la promozione di attività di interesse generale a coloro che invece posseggano tale status.

Il termine “favoriscono”, nell’art.118, vuol significare che la norma è programmatica. Da un lato la p.a. ammette di ritirarsi di fronte all’iniziativa di un privato, limitando la propria iniziativa; dall’altro il privato può essere chiamato dalla prima all’intervento, ove ciò sia necessario, alla luce degli interessi di volta in volta implicati.

Ciò parifica il privato al pubblico, ed il quarto comma dell’art.118 vi dà il sugello costituzionale.

Che l’esercizio privato di attività di interesse generale debba essere favorito dai pubblici poteri rappresenta la grande innovazione: ne consegue, sul piano dell’azione amministrativa, un ritirarsi dall’iniziativa pubblica ove l’esercizio dell’attività di interesse generale è segnato da un confine per definizione assai mobile in quanto indicato solo da un criterio connesso alle istanze che vanno affiorando via via nella collettività.

Esso senz’altro ricomprende: scuola, ambiente, teatro, iniziative culturali, circolazione di dati bancari e sport. Il modello di base è sicuramente dato dal volontariato, bacino variegato di realtà ove si manifesta al massimo grado quella vicinanza dei soggetti interessati con coloro che, senza intento lucrativo, intendono prendersene cura.

Molte delle attività di interesse generale hanno una valenza pubblicistica, nel senso che costituiscono, fisiologicamente, materia di munera amministrativi.

All’azione che si caratterizza per il “contenuto amministrativo” consegue l’applicazione della disciplina sul procedimento, che è rivolta, infatti, anche ai privati preposti all’esercizio di attività amministrative.

Ci si è chiesti se ne resti fuori l’attività di impresa perché retta dagli articoli 41 e 43 Cost, ovvero quale rapporto debba intercorrere tra il principio di sussidiarietà e l’iniziativa economica privata.

In ogni caso è preminente l’art.41 comma 3 Cost. là dove stabilisce che l’attività economica privata può essere indirizzata e coordinata a fini sociali.

Anche lo scopo di lucro è, dunque, compatibile con l’interesse generale dell’attività e non esclude quindi a priori che i privati, i quali possono invocare l’art.118 comma 4, perlomeno sino a quando il settore pubblico non ritenga di avocare a sé l’attività ove riesca a fornire alla collettività la stessa utilità ad un costo inferiore.

E’ poi, ormai, pacifico che l’impresa possa essere orientata a realizzare finalità di interesse generale a seguito dell’emersione positiva del multiforme ambito del cosiddetto terzo settore, dell’impresa sociale, dove, emblematicamente, si eleva il

fine sociale a criterio distintivo di un’attività prescindendo dalla veste giuridica assunta da chi intende svolgerla per perseguirlo.

Viene infine da chiedersi se tra le attività rette dal principio di sussidiarietà possa essere inserita anche la normazione di diritto privato. La materia dei codici di autoregolamentazione, deontologici o di condotta, è un esempio eloquente.

Indubbio è che la giurisdizione sia attività di interesse generale: ne è un esempio il riconoscimento dell’arbitrato quale modello decisorio e di definizione delle controversie alternativo alla giurisdizione statale (art.806 c.p.c.).

Infine Del Prato ritiene assimilabili alle attività di interesse generale anche quelle ad esse strumentali: tra queste, soprattutto, il sovvenzionamento. In altri termini il mecenatismo, che alimenta la sussidiarietà, dovrebbe fruire di un trattamento fiscale adeguato a favorirne lo sviluppo.

 

Rapporto con l’autonomia privata

Il principio di sussidiarietà incrementa la regola della tendenziale non interferenza della legge sugli atti di autonomia privata, che si ricava dall’articolo 1322 del codice civile. Ciò trova riscontro nella preferenza per la giustizia privata, nei codici deontologici, nei codici di autodisciplina e negli statuti degli enti privati in generale, in particolare delle fondazioni bancarie.

Occorre, inoltre, chiedersi se il principio di sussidiarietà possa essere applicato per stabilire la portata delle norme inderogabili. Del Prato è incline alla risposta affermativa. L’inderogabilità di una norma, infatti, non va concepita secondo una rigida geometria di fattispecie “gabbia”, ma va letta in funzione dell’interesse che essa presidia. E’ necessario tendere all’adeguamento delle disposizioni inderogabili agli interessi a cui esse sono rivolte.

L’applicazione pratica del principio di sussidiarietà può dar luogo, dunque, alla disapplicazione della norma imperativa in relazione all’esigenza di operare una riduzione teleologica. La copertura costituzionale suggellata dall’art.118 potrebbe conferire un senso ad operazioni simili, saldando la sussidiarietà con la ragionevolezza, l’adeguatezza e la proporzionalità, con il risultato ulteriore di favorire l’operatività di questi parametri anche tra privati.

 

Sussidiarietà e fonti

La materia degli usi è stata erosa da un moto di delegificazione (l. 400/88) e cioè di una diffusione e frammentazione della potestà normativa a favore delle autorità indipendenti; è questo un moto opposto alla sussidiarietà, perché le autorità indipendenti sono lo Stato. Con tale processo, tuttavia, non si è inteso valorizzare l’autonomia dei privati, ma piuttosto ridurre l’ambito di operatività della legge ordinaria per ampliare quello della normazione di secondo livello.

Si potrebbe dire che quella delle autorità indipendenti è un altro tipo di sussidiarietà, né sociale né istituzionale: un tertium genus in cui si realizza la devoluzione del potere normativo ad un ente svincolato dal potere esecutivo e dagli enti territoriali.

Certamente, però, la sussidiarietà serve, quale vincolo, per censurare l’attività di normazione delle autorità amministrative indipendenti, dinanzi al giudice amministrativo. Potrebbe servire per censurare la stessa istituzione dell’autorità amministrativa se l’attività è sufficientemente svolta dai privati.

E’ la legge a sussidiare l’autonomia privata là dove lo Stato ritiene che la materia debba ricevere una disciplina di rango normativo, e che, dunque, la potestà dei privati di autoregolamentarsi debba arretrare.

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