Passiamo ora ad osservare più da vicino il principio di sussidiarietà sociale (art.118 comma 4 Cost.).

Occorre collegare questo articolo con l’art.2 Cost: l’obbligo di favorire

l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli ed associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale descrive un diritto pubblico soggettivo del privato nei confronti dello Stato e degli altri enti pubblici territoriali, il cui contento è di ammettere ingerenze ed iniziative dell’autorità solo se necessitate.

In sostanza, il pubblico deve favorire l’intervento privato sussidiandolo, ma deve intervenire là dove l’iniziativa privata non si concretizzi.

La prima novità della sussidiarietà sociale si coglie sul piano dell’azione amministrativa: le attività di interesse generale non sono monopolio dei pubblici poteri, ma possono essere svolte anche da privati; e che i pubblici poteri debbano favorirne l’esercizio costituisce l’innovazione.

L’impostazione “paritaria” del rapporto privato-pubblico ce deriva dalla sussidiarietà sociale tende infatti, ad impedire momenti autoritativi generali e normativi al di fuori di una legge che la rispecchi.

Ma quali sono le attività di interesse generale a cui si riferisce la sussidiarietà sociale? Il richiamo è a quelle attività in cui si esprime l’azione amministrativa: ad esempio, assistenza e servizi sociali, tutela dell’ambiente…

Un indice del fatto che il principio operi per le attività proprie della funzione amministrativa si trae anche dal fatto che destinatari delle attribuzioni rette dalla sussidiarietà sociale sono i cittadini.

Le attività a cui si riferisce il principio di sussidiarietà sociale, sebbene iscritte costituzionalmente nel contesto nel contesto delle funzioni amministrative, sono altrettante attività private, che si espletano mediante strumenti privatistici. Ma il fatto che si tratti di attività a contenuto amministrativo determina l’applicazione della disciplina sul procedimento amministrativo, e dunque dei criteri di economicità di efficacia, di pubblicità e di trasparenza (legge n.241/1990, art.1).

Si tratta, in definitiva, di autonomia privata funzionalizzata, e perciò suscettibile di controllo amministrativo.

 

Principio di sussidiarietà sociale e iniziativa economica privata

Si ritiene che siano escluse dalla sussidiarietà sociale quelle attività attribuite allo Stato e quelle che, sebbene costituenti servizi pubblici o comunque aventi interesse generale, hanno esclusivamente carattere industriale o commerciale.

In sintesi, secondo questa idea, l’attività d’impresa sarebbe estranea alla sussidiarietà sociale.

La questione ha ragione di porsi per quelle iniziative economiche private che si risolvono in attività di interesse generale. Queste possono anche essere esercitate per scopo di lucro, ma la carenza di tale scopo non esclude il carattere economico dell’attività. Ne consegue che la lucratività non impedisce di comprendere un’attività nell’area del principio di sussidiarietà sociale e che l’avocazione dell’attività al settore pubblico potrà intendersi giustificata solo là dove consenta di fornire i servizi o comunque le utilità in cui essa si traduce ad un costo inferiore per la collettività.

 

Precettività del principio e sindacato giurisdizionale

Dunque il principio di sussidiarietà sociale delinea una norma di sfondo anche là dove interferisce con materie già regolate a livello costituzionale.

Sebbene supponga leggi ordinarie di attuazione, esso contiene un nocciolo di immediata precettività, che porta a privilegiare, tra possibili opzioni interpretative, quella che ne appare espressione, ed a questa stregua consente il sindacato di atti amministrativi.

Anche nella giurisdizione amministrativa così come in quella ordinaria, il sindacato dovrà commisurare sul principio di sussidiarietà i criteri di ragionevolezza e razionalità delle determinazioni.