I negozi traslativi della proprietà sono generalmente ritenuti tipici, visto che il risultato che con essi si intende raggiungere riguarda il trasferimento della proprietà, che è un diritto tipico. E’ da chiarire che se l’effetto traslativo assurge a comune denominatore di una vasta area di tipi negoziali (compravendita, permuta, donazione etc.), esso tuttavia non è destinato da solo a designare l’esito finale delle singole vicende alle quali inerisce. Si sa che gli effetti sono la risposta dell’ordinamento giuridico al negozio perfezionato, mediante articolati criteri di selezione e valutazione del contenuto dell’atto. La produzione degli effetti rappresenta l’esito finale e globale del contratto e ne esaurisce la funzione.

Nei contratti con efficacia obbligatoria, il rapporto obbligatorio svolge una funzione strumentale che è destinata alla produzione di un risultato definitivo. Nei contratti ad efficacia reale, l’effetto traslativo appare, invece, “scollegato” da situazioni strumentali e “anticipato” rispetto agli obblighi che dal contratto sorgono a carico delle parti [nel diritto romano – e ancora oggi nel diritto tedesco – il trasferimento della proprietà avveniva mediante la combinazione di due negozi: il primo, a contenuto obbligatorio, impegnava le parti a porre in essere il trasferimento; il secondo che realizzava la tradizione della cosa]. Sembra lecito allora chiedersi quale sia la funzione e il ruolo di tale collocazione dell’effetto traslativo. Non è rilevante affrontare tale questione teorica, ma in ogni caso è giusto chiedersi se le parti possano fissare un contenuto del contratto ad effetti reale, nonché le relative modalità esecutive, suscettibili di modificare il regime giuridico del diritto trasferito inserendo precetti in luogo o in aggiunta alle regole legali. In questo caso siamo nel campo dei rapporti tra libertà contrattuale e legge.

Il problema precisamente riguarda il rilievo reale che si vorrebbe attribuire ai precetti negoziali, nel senso della loro iscrizione nello statuto del bene trasferito al fine di assicurarne l’impegnatività anche nei confronti dei terzi.

L’argomento potrebbe restare anche sullo sfondo se si dovesse dare rilievo alla dimensione individuale del contratto sancita dall’art. 1372 co. 1 c.c. secondo il quale il contratto ha effetto solo tra le parti. Non mancano indagini dottrinarie che hanno cercato di ridurre la portata della regola della relatività del negozio in presenza di effetti incrementativi per il terzo. Ma la regola si riespande ogni volta che la direzione del precetto privato riservi al terzo un trattamento deteriore rispetto a quello assicurato dalla legge. In ogni caso sembra ragionevole ritenere che non siano opponibili ai terzi quegli effetti che comportino il diritto di proprietà in una misura non prevista dalla legge.

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