Un sistema di valorismo contrattuale è indubbiamente quello assicurato dalla introduzione nei contratti delle cosiddette clausole di salvaguardia. Tra le clausole di salvaguardia un posto privilegiato ha avuto storicamente la clausola-oro e ciò in relazione al valore più stabile e costante dell’oro rispetto ad altri metalli o a merci, valore riconosciuto in tutti i mercati. Gli autori sogliono anche esprimere una differenza in termini di un diverso uso della moneta, moneta di pagamento e moneta dell’obbligazione. Distinzione che assume rilievo nei periodi di instabilità, potendosi dare l’eventualità che, in regime di corso legale caratterizzato da inconvertibilità della moneta, il creditore sia costretto ad accettare una quantità di moneta legale rispondente all’ammontare nominale del debito, mentre invece, per contrapposto, se la clausola è definitoria della sostanza dell’obbligazione, il creditore potrà pretendere una quantità di monete corrispondente al “tertium comparationis” a cui si fa riferimento nella clausola.

Il vero è che il problema della generale ammissibilità delle c.d. clausole di salvaguardia e cioè di un sistema di valorismo contrattuale ossia di un valorismo in cui siano arbitri i privati non può essere affrontato in termini schematici e riduttivi. Il metodo più appropriato e realistico consiste nel distinguere gli aspetti molteplici del problema. E si dovrà affermare che il problema posto dalle clausole c.d. monetarie non è lo stesso di quello posto da clausole di tipo diverso. Di qui la distinzione tra sistemi che hanno introdotto un regime di corso legale e sistemi che hanno aggiunto al corso legale anche il divieto di ottenere la conversione della moneta (corso forzoso).

Approccio più concreto è poi fornito da una considerazione differenziata delle clausole monetarie rispetto alle clausole di tipo diverso. Approccio concreto alla problematica del controllo delle clausole di salvaguardia è invece offerto da quelle esperienze che prevedono forme di controllo amministrativo delle clausole con cui si faccia dipendere l’entità del debito pecuniario dal corso di valuta diversa da quella nazionale ovvero dal prezzo o dalla quantità di oro o altri beni. L’indirizzo giurisprudenziale è per una interpretazione restrittiva di tale forma di controllo in quanto introduttiva di un limite all’autonomia delle parti.

Dal modello descritto non si distacca, se non per alcuni aspetti, la nostra giurisprudenza. Anche essa è tendenzialmente espressione di un indirizzo liberale con riguardo all’ammissibilità dell’introduzione di clausole con cui le parti si premuniscono contro il deprezzamento della moneta legale. Un indirizzo meno favorevole ai privati e che si può definire più fiscale potrà giustificarsi solo quando lo richiedano le esigenze della difesa economica della Nazione, in armonia del resto con le stesse parole delle Relazione del codice civile. È attorno agli anni ’40 che si colloca un tale indirizzo nell’intento di tutelare, contro le ragioni dei privati, quelle dello stato e riguardanti l’obbiettivo di una più generale stabilizzazione del livello dei prezzi interni.

Il terreno di elezione ideale per l’introduzione di clausole-merci è quello della fissazione del canone di locazione o del corrispettivo di prestazioni di servizi o nella fissazione convenzionale di alimenti, tendendo poi la giurisprudenza ad affermare altresì la validità delle clausole che, pur menzionando direttamente il pagamento in merci, danno al debitore la possibilità di pagare in moneta ragguagliata al valore di un certo quantitativo di merci (canone a riferimento). Si dovrà tenere conto della persistenza di un indirizzo liberale anche con riguardo a regimi di prezzi vincolati e blocco dei canoni (materia di locazione sottoposta a regime vincolistico e a far tempo degli anni ’50), ove da attendersi sarebbe semmai un indirizzo diverso.

Detto indirizzo ha fatto ricorso, a seconda dei casi, a distinzioni concettuali non sempre pienamente comprensibili. La più nota di queste distinzioni concettuali introdotta dalla giurisprudenza degli anni ’40, in materia di locazioni, è tra le clausole di riferimento e di rivedibilità, efficaci le prime e inefficaci le seconde, e sostenendosi l’efficacia delle prime in base al concetto che in esse la volontà iniziale regge automaticamente il succedersi della prestazione corrispettiva che si svolge invariabile nel contenuto economico che è a base del riferimento, solo variando l’espressione monetaria data dal termine del raffronto.

Ma si è sostenuto che una tale distinzione ha scarsa consistenza con riguardo ad un regime di blocco dei canoni, perché il problema posto dalla legislazione vincolistica non è quello della differenza tra la predeterminazione o meno del parametro ma quello dell’efficacia di clausole con cui le parti, in forma più o meno diretta, si sottraggono a quei vincoli o a quei criteri di aumento posti dalla legislazione vincolistica.

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