Nei sistemi di legge scritta dell’Europa continentale la colpa riesce a coprire quasi completamente l’area della responsabilità civile, la quale tende in tal modo a coincidere coi fatti illeciti; ma permangono delle smagliature di responsabilità oggettiva che l’ondata soggettivante dell’800 non riesce a coprire.

Esse tendono però ad allargarsi o al di fuori dei codici, nella legislazione speciale, o attraverso un’applicazione giurisprudenziale che accortamente fa valere il tenore di certe norme della codificazione la cui fattispecie risulti priva di menzione letterale della colpa.

In particolare in Francia sia la norma generale del 1384, al. 1, che le specificazioni di essa, riguardanti il fatto di domestici e commessi, il danno da animali ed il danno da rovina di edifici, sono oggi intese alla stregua di ipotesi di responsabilità senza colpa (per esempio, da Jean Carbonnier, René Savatier e Boris Starck).

E mentre la responsabilità dei padroni e committenti risale immediatamente a Jean Domat (1625-1696) e Robert Joseph Pothier (1699-1772), quella per il danno da animali in custodia e da rovina di edificio si connette direttamente col diritto romano.

Invero il diritto romano prevedeva per il danno da animali in custodia l’actio de pauperie e per il danno da rovina di edificio la cautio damni infecti, ambedue caratterizzate dall’irrilevanza della colpa ai fini della responsabilità.

E Gian Pietro Chironi con precisa intuizione dogmatica, nel commentare gli artt. 1154 e 1155 del Codice civile italiano del 1865, i quali traducevano gli artt. 1385 e 1386 Code Napoléon (riguardanti il danno da animali ed il danno da rovina di edifici), pur restando fedele al principio senza colpa nessuna responsabilità riconosceva l’irrilevanza della colpa nelle fattispecie in questione.

In conseguenza di ciò, riteneva che si dovesse parlare non di responsabilità, ma di garanzia, facendo risaltare a tal fine la differenza tra il 1155 ed il § 836 BGB, che è invece norma di responsabilità del possessore legittimo che non abbia osservato la diligenza necessaria per evitare il pericolo.

Egli trovava il fondamento della responsabilità dei padroni e committenti nella categoria della rappresentanza; idea oggi non più sostenibile, ma il cui risvolto in negativo è ancora una volta la sottrazione di tale responsabilità al dominio della colpa.

Questo tenue baluginìo della responsabilità oggettiva viene gradualmente affievolendosi man mano che ci si avvicina alla codificazione del 1942.

Roberto De Ruggiero, mentre riconosce natura oggettiva alla responsabilità da animali e da rovina di edificio, afferma essere fondamento di quella dei padroni e committenti una culpa in eligendo assolutamente presunta.

E Domenico Barbero riconosce natura oggettiva alla responsabilità ex 2049, 2053, 2054.3-4, rispettivamente riguardanti i padroni e committenti, la rovina di edificio e la circolazione di veicoli; ma riconduce entro il sistema della colpa gli articoli 2051 e 2052, relativi ai danni rispettivamente da cose e da animali, con ciò deviando dalla tradizione romanistica, che a queste ultime fattispecie attribuiva natura oggettiva.

Nella ricostruzione di Domenico Barbero le ipotesi di affermata responsabilità oggettiva vengono inscritte a loro volta nel dominio della colpa, perché il fatto da cui origina la responsabilità è pur sempre un illecito; benché a rispondere non sia colui al quale il fatto in quanto illecito è per definizione imputabile a colpa, ma un altro soggetto al quale la responsabilità, nata da un fatto colposo altrui, si propaga.

In seguito la dottrina è venuta temperando la reductio della responsabilità civile alla colpa.

Così Adriano De Cupis riconosce la natura oggettiva della responsabilità per fatto degli ausiliari.

Analogamente si riconosce da questo autore l’estraneità, rispetto ai profili della colpa, della fattispecie del 2054.3 (Il proprietario del veicolo, o, in sua vece, l’usufruttuario o l’acquirente con patto di riservato dominio, è responsabile in solido col conducente, se non prova che la circolazione del veicolo è avvenuta contro la sua volontà).

Ma rimane significativo che con riguardo all’ipotesi in esame l’autore preferisca l’espressione “responsabilità indiretta”.

{L’espressione “responsabilità indiretta” è allignata in dottrina ed in giurisprudenza, nonostante si tratti di un evidente ossimoro: indiretta può esser solo la garanzia, non la responsabilità, la quale si basa su un criterio di imputazione, che è riferimento (diretto) al soggetto fatto responsabile}.

Vi è un momento di passaggio tra una lettura riduttiva della responsabilità all’insegna della colpa ed una revisione radicale in grado di mettere in luce il principio o i princìpi che in alternativa a quest’ultima possono dare ragione di alcune fattispecie, rappresentato da un orientamento dottrinale descrittivo.

Esso infatti si caratterizza per la sottolineatura, in negativo, dell’assenza del requisito della colpa in alcune fattispecie del Libro IV (Delle obbligazioni), Titolo IX (Dei fatti illeciti); ed in positivo per la semplice parafrasi delle fattispecie medesime.

Tale è l’impostazione di Renato Scognamiglio, il quale per spiegare gli articoli 2050, 2051, 2052, 2053 e 2054.4 si accontenta di rilevare che il responsabile è identificato per un rapporto, in gran parte unitario, in cui si pone con la cosa inanimata o animata che ha dato luogo al danno, mentre Guido Alpa rinuncia addirittura ad un’idea di responsabilità oggettiva come regime della responsabilità fornito di un criterio distintivo proprio, e la inserisce tra i “regimi speciali della responsabilità civile”.

Ma un’interpretazione che spiega la norma in termini di pura descrizione della fattispecie è meramente tautologica se alcuno degli elementi di essa non sia a sua volta in grado di rinviare all’esterno del circolo della descrizione: la spiegazione è sempre funzione di una relazione con altro da ciò che si spiega.

Nella responsabilità fondata sulla colpa non ci si è mai preoccupati di andare oltre la fattispecie per spiegare come mai la colpa stessa sia ragione sufficiente della responsabilità; ma un atteggiamento analogo non è così ovvio con riguardo a quelle fattispecie nelle quali un altro od altri elementi sono stati posti ad esplicare la stessa funzione fondante altrove svolta dalla colpa.

In realtà quest’ultima, una volta evocata, appronta di per sé una spiegazione.

Essa esprime il coinvolgimento più intenso, a parte il dolo, che si possa immaginare nella nostra cultura in funzione del giudizio di responsabilità.

Una responsabilità non più fondata sulla colpa e dunque sprovvista di elementi parimente capaci di evocare il proprio fondamento esige una spiegazione.

Né il rifugio nella storia, che pure serve a dare prospettiva ad ogni tipo di spiegazione, può essere a sua volta sufficiente, non essendo la storia causa dei fenomeni, ma solo il loro stesso verificarsi.

Paolo Forchielli, dopo aver affermato che la configurazione soggettiva del caso fortuito è verosimilmente la più consona alla visione generale del nostro legislatore, ritiene che l’aggiornamento della disciplina contenuta nel titolo dei fatti illeciti possa passare attraverso un’interpretazione evolutiva, cioè oggettiva, del caso fortuito medesimo.

Attribuire valenza obiettiva a quest’ultimo significa ancora poco fin quando non si dica quale criterio soggiace a simile operazione, se cioè l’oggettività naturalistica che identifica il caso fortuito con una accidentalità causale o con la vis cui resisti non potest o un’oggettività giuridica che identifichi il caso fortuito con la serie di eventi di cui non si risponda a prescindere dalla mancanza di colpa.

Marco Comporti ha indicato a suo tempo (nel 1965) la via metodologicamente corretta, individuando dapprima le norme di responsabilità oggettiva, ed in via ulteriore proponendosi di rinvenirne la ratio.

Essa viene da lui riconosciuta nella creazione di una situazione di pericolo in seguito ed in connessione con la quale si sia poi verificato un danno; e le norme che la prevedono sarebbero gli articoli 2051 (Danno cagionato da cose in custodia), 2052 (Danno cagionato da animali), 2053 (Rovina di edificio), 2054 (Circolazione di veicoli) comma 4, nonché gli articoli 965 (Responsabilità dell’esercente per danni a terzi sulla superficie) e 978 (Danni a terzi sulla superficie in seguito ad urto) del Codice della navigazione per i danni cagionati da aeromobili a terzi sulla superficie; le norme della l. 1860/1962 sull’impiego pacifico dell’energia nucleare e del r.d. 1443 n. 1927 (c.d. legge mineraria), il cui 31 dispone che il concessionario è tenuto a risarcire ogni danno derivante dall’esercizio della miniera.

A questa serie di fattispecie si può ora aggiungere quella del danno da prodotti, nella quale alla responsabilità per i danni cagionati da difetti del prodotto fa da sfondo la messa in circolazione del medesimo.

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