La storia della responsabilità oggettiva è una storia di ricerca della propria legittimazione.

La ragione di ciò è da ricercare, in primo luogo, nell’identificazione culturale della responsabilità con la colpa.

L’evoluzione moderna della responsabilità oggettiva è segnata dai reiterati tentativi di fornire un criterio unico ed unitario della responsabilità oggettiva e dal mancato raggiungimento dell’indiscutibilità di ognuna delle teorie che sono state avanzate.

Ricavare però dal mancato reperimento di un criterio unico atto a giustificare la responsabilità oggettiva la conclusione che allora solo la colpa riesce a giustificare la responsabilità è un errore di prospettiva ove lo si intendesse nel senso che, data l’impossibilità di fondazione teorica della responsabilità oggettiva, ne consegua l’impossibilità storica della stessa: la responsabilità oggettiva ricorre negli ordinamenti storici, ha una propria esistenza nel diritto positivo e tale esistenza non data da oggi.

Con queste motivazioni si è accettata e formulata la responsabilità oggettiva in alcuni articoli del libro sulla responsabilità extracontrattuale dei Principi di diritto europeo.

Anzitutto la qualificazione generale delle varie ipotesi è quella puramente negativa di responsabilità senza dolo o colpa, e gli articoli riguardanti la responsabilità dei padroni e committenti, da immobili non sicuri, da animali, da prodotti difettosi, da custodia di autoveicoli e da sostanze ed emissioni pericolose sono stati adottati sulla base dell’idea che alcune di esse hanno per sé la tradizione, altre sembrano giustificabili in sé.

Il diritto romano prevedeva delle fattispecie di responsabilità senza colpa, frutto di retaggio antico che non aveva avuto bisogno di confrontarsi con la questione se e come superare l’idea di una sorta di connaturalità della colpa con la responsabilità.

Ed analogo è stato lo sviluppo dei torts in common law, ove la colpa può dirsi coessenziale soltanto al tort of negligence, il quale in un sistema di illeciti tipici è appunto solo uno di essi.

Pure nell’ordinamento tedesco il legislatore ogni volta che lo ha ritenuto ha introdotto fattispecie di responsabilità oggettiva, in un’unica ipotesi nel BGB ma fuori da esso con leggi speciali ad hoc.

E l’ordinamento italiano conosce fattispecie di responsabilità oggettiva sia fuori dal Codice civile che all’interno di esso.

Le teorie di responsabilità oggettiva che furono avanzate negli anni ‘60 del secolo scorso ebbero la funzione di rendere credibile la responsabilità oggettiva sul piano teorico, ed attendibile la lettura delle norme menzionate come regole di responsabilità oggettiva.

Esse sono servite all’accreditamento culturale della responsabilità oggettiva, ma nessuna di esse ha raggiunto l’indiscutibilità attinta a suo tempo dal jheringhiano “senza colpa, nessuna responsabilità”.

Questo ha innescato il tranello di pensare ad esse come tentativi non riusciti.

Ma il tentativo allora di rilegittimare la colpa anche in ambiti nei quali essa poteva apparire definitivamente sconfitta non è andato a buon fine, perché, una volta aperti gli occhi sulla effettiva portata normativa di certe disposizioni, non è stato più possibile negare esistenza alla responsabilità senza colpa.

Con l’adozione legislativa di fattispecie di responsabilità oggettiva l’autorità della legge colma l’ammanco che si registra ogni volta che il criterio giustificativo della responsabilità oggettiva di volta in volta offerto appaia ragionevole e persuasivo ma non cogente.

La ragionevolezza del criterio serve perciò al legislatore per decidersi alla responsabilità oggettiva e correlativamente è soltanto la legge che riesce a rendere indiscutibile quest’ultima.

Questo non significa però, come invece la intende la dottrina tedesca, ritenere l’adozione legislativa impermeabile ad un trattamento interpretativo che ne giustifichi un’applicazione stretta.

Se relativamente ad una fattispecie la responsabilità oggettiva è stata ritenuta adeguata al punto di indurre il legislatore ad adottarla, la identità di ratio che l’interprete scopra ricorrere relativamente ad ipotesi concrete pure non sussumibili nella norma in termini di applicazione diretta legittima l’interprete all’applicazione analogica per la medesima ragione per la quale un procedimento del genere è consentito dalla legge mediante l’adozione di una regola che più generale non potrebbe essere di quella contenuta nel 12 delle Disposizioni sulla legge in generale (Interpretazione della legge).

Il 14 Preleggi fa divieto di analogia per le norme eccezionali, ma la responsabilità oggettiva può esser considerata eccezione solo se la si consideri in relazione alla responsabilità per colpa.

Sin dalle origini le fattispecie di responsabilità oggettiva si sono venute costituendo come ipotesi originariamente autonome, ma non pensate come isole di esclusione della colpa.

Questa variegatura mostra peraltro che la responsabilità oggettiva non ha una radice unica né viene apprestata in relazione ad un criterio unico che per ogni ipotesi sia in grado di renderne ragione.

L’idea di un criterio unico per tutte le ipotesi di responsabilità oggettiva risulta perciò storicamente ingiustificata e dogmaticamente precostituita.

In questo senso la lettura suggerita a suo tempo da Renato Scognamiglio, benché povera di contenuti, nel momento in cui si limitava a parafrasare le singole norme, può dirsi metodologicamente corretta, come quella che non pretende di avere un criterio unico di spiegazione della responsabilità oggettiva.

Così nel 2050 (Responsabilità per l’esercizio di attività pericolose) è evidente che la pericolosità costituisce il criterio al quale la norma ha inteso fare capo, così come nel 2049 (Responsabilità dei padroni e dei committenti) è impresso il criterio del rischio, laddove quest’ultimo è assorbito nei profili formali della custodia {a proposito di quest’ultima, Cass. 8818/1996 ha correttamente affermato che, ai sensi del 2051 (Danno cagionato da cose in custodia), risponde non il proprietario ma il promittente acquirente in forza di contratto preliminare, al quale la cosa sia stata consegnata prima della stipula del contratto definitivo: ciò perché in seguito alla consegna è ormai il promittente acquirente il custode della cosa} o della proprietà nelle norme relative al danno da cosa o da animali.

Tutte queste ipotesi sembrano a loro volta riconducibili entro il modello teorico elaborato da Guido Calabresi, dotato di una generalità esaustiva.

Solo che con riguardo ad esso riemerge l’antica distinzione tra attività economiche e non, assistite le prime dal calcolo economico, le altre invece tali che ad esse il calcolo economico non può considerarsi coessenziale, quando addirittura non congeniale.

Rispetto a queste ultime l’idea di una cost-benefit analysis che presieda sempre alle scelte che possono risultare foriere di responsabilità risulta altrettanto teorico che pensare che ognuno che assaggi un pezzo di formaggio o addenti una succulenta coscia di pollo debba pensare a quanto gli costi.

Certo è nella situazione per farlo, ma il più delle volte non lo farà, e la regola giuridica non può prescindere dall’aderenza alla realtà.

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