Quella degli intermediari è attività rivolta all’investimento finanziario attraverso l’informazione.
Da questa traggono infatti impulsi e sollecitazioni coloro che, non avendo e non potendo avere cognizione diretta della situazione patrimoniale dei soggetti ai quali è orientabile l’investimento, accedono ad essa o facendo affidamento sulla revisione che l’ordinamento predispone a tal fine, o sull’informazione procurata dallo stesso soggetto per il tramite degli intermediari mobiliari.
La materia originariamente ha potuto essere ricondotta e ridotta entro la responsabilità da prospetto, secondo la terminologia tedesca (Prospekthaftung), come responsabilità per la perdita subita dai risparmiatori sollecitati all’acquisto di valori mobiliari da un’informazione incompleta, fuorviante o falsa, proveniente dalla stessa società emittente e fatta propria dagli intermediari finanziari che si occupano del collocamento dei titoli sul mercato.
La responsabilità delle imprese di servizi di investimento, individuate ora dal d. lgs. 58/1998, va ormai considerata una figura autonoma rispetto alla semplice responsabilità da prospetto.
Nell’àmbito dell’originaria responsabilità da prospetto vi è un problema che riguarda specificamente gli intermediari finanziari
{Significativamente la prima sentenza che in Italia ha affermato la responsabilità da prospetto, Trib. Milano 11.01.1988, ha espressamente accolto la tesi dottrinale della natura contrattuale della responsabilità precontrattuale, nella quale ha ritenuto di inquadrare il danno subìto dal risparmiatore.
Con questo i giudici hanno dato credito alla dottrina che in Italia ha reputato dover essere fondamentalmente precontrattuale la responsabilità degli intermediari (Giuseppe Benedetto Portale, Guido Ferrarini), ma attraverso tale dottrina ha fatto filtrare finalmente l’insegnamento di Luigi Mengoni, che aveva già spiegato perché alla culpa in contrahendo debba attribuirsi natura contrattuale}.
Tale problema nasce dalla qualità di terzi che caratterizza gli intermediari finanziari rispetto al rapporto contrattuale che pure per loro tramite si instaura tra emittente e risparmiatore acquirente.
Da tale qualità nasce la questione se, come la gran parte della dottrina ha sostenuto, la responsabilità per le informazioni contenute nel prospetto del quale gli intermediari si sono serviti per indurre il risparmiatore all’acquisto debba riputarsi extracontrattuale.
Ove si dovesse sostenere questo, si tratterebbe di responsabilità aquiliana per un danno meramente patrimoniale costituito dal valore diminuito o nullo dei titoli acquistati.
Ma l’assenza dell’ingiustizia (consistente nella lesione di una situazione giuridica soggettiva) necessaria a rendere rilevante il danno ai fini della responsabilità aquiliana dovrebbe esser sufficiente a smentire l’affermazione di una responsabilità extracontrattuale degli intermediari.
Non si sono curati di questo aspetto coloro che, convertendo il danno ingiustamente subìto dal risparmiatore in “danno ingiusto” ai sensi del 2043 (Risarcimento per fatto illecito), hanno ritenuto di poter affermare la tutela aquiliana del malcapitato risparmiatore.
Ma ciò supporrebbe da un lato la sicura certezza che il “danno ingiusto” sia, come clausola generale, in grado di assicurare il risarcimento a colui che subisca una perdita patrimoniale solo che quest’ultima si possa considerare ingiusta secondo la valutazione che il giudice ne faccia ex post, dall’altro l’accertata inesistenza di altre vie (tecniche di tutela) in grado di fornire una forma giuridica più propria al conflitto di interessi.
Nelle ricerche più approfondite condotte in Italia, le vie maestre della responsabilità da prospetto sono state individuate lungo il rapporto precontrattuale (da Giuseppe Benedetto Portale e Guido Ferrarini), nell’àmbito del quale gli intermediari svolgono come compito loro precipuo l’attività di informazione necessaria a rendere edotti i risparmiatori delle caratteristiche economiche dei titoli e dell’opportunità dell’investimento.
Dietro questa lettura del fenomeno emerge la consapevolezza che una responsabilità nudamente aquiliana riferita all’attività degli intermediari finanziari è fuori quadro, prima ancora che dal punto di vista giuridico, sul piano del fatto: una forma giuridica vera non può mettere l’intermediario finanziario che conduca per mano il risparmiatore all’investimento suicida sullo stesso piano di un soggetto estraneo.
Abbiamo visto entro quali limiti la responsabilità precontrattuale possa reputarsi modello idoneo a dar forma alla responsabilità degli intermediari: si tratta dell’ipotesi di concorso nella condotta di altri soggetti, in particolare gli emittenti di titoli che mediante gli intermediari facciano giungere al mercato informazioni non veritiere a riguardo di un investimento al quale sollecitano il pubblico.
La questione è diversa quando l’intermediario si limiti alla trasmissione delle notizie contenute in un prospetto altrui o non faccia riferimento ad alcun prospetto ma assuma una posizione autonoma e propria nei confronti dell’investitore: con riguardo a tali ipotesi si conferma l’inadeguatezza della culpa in contrahendo, come riferibile solo alle (eventuali) parti di un futuro contratto.
Allora parlare di responsabilità contrattuale significa usare una categoria giuridica della quale non si rilevano i presupposti sul piano del fatto.
{L’impostazione seguita nel testo risulta rovesciata a quella adottata da Giuseppe Benedetto Portale, secondo il quale la responsabilità degli intermediari sarebbe precontrattuale quando essi partecipano alla redazione del prospetto o comunque lo sottoscrivano, ed extracontrattuale quando si limitano a far da tramite dell’informazione risultante da un prospetto redatto da altri.
Circa la prima ipotesi, la soluzione in chiave precontrattuale, a titolo di partecipazione, è accolta anche da noi.
Quanto alla seconda, però, l’inadeguatezza della responsabilità precontrattuale non comporta necessariamente un rassegnato rifluire nella responsabilità aquiliana.
Anche Christian von Bar si pronuncia per la tesi della responsabilità extracontrattuale.
Invece App. Milano 2 febbraio 1990 ha ribadito la natura contrattuale della responsabilità degli intermediari, sub specie di responsabilità precontrattuale, confermando la natura contrattuale della responsabilità precontrattuale affermata nel primo grado della medesima controversia da Trib. Milano 11 gennaio 1988.
In realtà, se si considera esattamente la ratio decidendi adottata dai giudici di primo e secondo grado, ne risulta che la veste della culpa in contrahendo perde significato rispetto all’affermazione della natura contrattuale della responsabilità, fondata sulla qualificazione professionale dell’intermediario.
Tolto l’orpello della culpa in contrahendo, ne emerge una responsabilità contrattuale fondata sull’affidamento nelle qualità professionali della banca, con un risultato conforme alla tesi sostenuta in queste pagine}.
Simile forzatura è stata invece perseguita dalla giurisprudenza e dalla dottrina tedesche nell’àmbito di un orientamento più generale, tendente ad ampliare al massimo l’area disciplinata dalle regole della responsabilità contrattuale.
La responsabilità civile è venuta a trovarsi nell’ordinamento tedesco in un’angustia causata dalla tipicità delle situazioni soggettive la cui lesione soltanto, a tenore del § 823 BGB, salvo che non ricorra la violazione di una norma di protezione (Schutzgesetz), dà vita all’obbligazione di risarcimento del danno.
La regola generale negativa che la norma richiamata include tacitamente è la non risarcibilità del danno meramente patrimoniale, cioè di quel danno che non rappresenti la valutazione economica della lesione di una situazione giuridica soggettiva, ma si configuri come pura perdita patrimoniale.
Ma una volta detto che per il danno meramente patrimoniale, anche per il diritto italiano, non è competente la responsabilità aquiliana, se è vero che quest’ultima esige l’ingiustizia, a sua volta consistente nella violazione di una situazione giuridica soggettiva, violazione che per definizione non si riscontra nel danno meramente patrimoniale, si tratta di individuare una figura giuridica che ben si attagli alla fattispecie di volta in volta da qualificare giuridicamente.
Ora, il modello della culpa in contrahendo applicato a situazioni che non possono qualificarsi precontrattuali ha avuto il merito di mettere in luce l’irriducibilità della responsabilità di chi si fa tramite di un prospetto falso o fuorviante all’estraneità che caratterizza danneggiante e danneggiato fino all’evento dannoso, ma a sua volta si rivela improprio perché l’affidamento che pur si mette in evidenza nella specie non nasce da trattative fra soggetti che diverranno parti di un contratto.
L’affidamento che però pur si rileva nella situazione che si instaura evoca la stessa buona fede che secondo il 1337 (Trattative e responsabilità precontrattuale) presiede alle trattative.
Dunque la responsabilità, che non può essere aquiliana, rivela la stessa natura contrattuale della culpa in contrahendo, ma non può esser propriamente detta tale.
A meno di non trasformare la culpa in contrahendo in una fattispecie generale (da speciale che è, in quanto riferita solo ai contraenti) di responsabilità per i comportamenti dannosi verificatisi nella fase precontrattuale, ne siano autori le parti od altri soggetti parimente attivi nelle trattative.
{Giuseppe Benedetto Portale sollecita ad abbandonare il pregiudizio […] che il precetto […] del 1337 si rivolga unicamente alle parti del futuro contratto.
Si tratta però di stabilire un criterio formale atto a fissare il limite tra applicabilità e no della disciplina relativa alla culpa in contrahendo.
Ora, pur quando in dottrina si è propugnata un’estensione di essa oltre le parti, lo si è fatto con riguardo a soggetti che per così dire le riproducevano.
In particolare il riferimento era ai rappresentanti, veri e propri sostituti della parte.
Gli intermediari non sono tali: essi formalmente si interpongono tra le due parti del futuro contratto}.
Una simile prospettiva non è da rifiutare a priori.
L’idea che la solidarietà sociale possa esigere comportamenti di correttezza non solo dalle future parti del contratto ma da tutti i soggetti che, pur con ruoli diversi, prendono parte alla trattativa (è questa la prospettiva accolta da Guido Ferrarini) significa però andare oltre la responsabilità precontrattuale, estendendone il modello a situazioni di fatto diverse dalle trattative ma come queste caratterizzate dall’affidamento.
Questi doveri peraltro, con riguardo agli intermediari finanziari, sono ricavabili da una serie di disposizioni sempre più puntuali che l’ordinamento vi ha dedicate.
Così, prima che venisse alla luce una disciplina specifica, gli intermediari ci apparvero naturali destinatari delle regole che la legge detta per la mediazione, che è la figura di genere alla quale appartiene l’intermediazione mobiliare.
In particolare il 1759, disciplinando la “Responsabilità del mediatore”, gli impone l’obbligo di comunicare alle parti le circostanze a lui note, relative alla valutazione e alla sicurezza dell’affare.
Costituisce violazione di tale obbligo ogni comunicazione incompleta, deviante o falsa fornita dal mediatore al quale, ove sia professionale come nel caso degli intermediari finanziari, dovrà altresì imputarsi l’ignoranza incompatibile con la norma generale del 1176 (Diligenza nell’adempimento), comma II, secondo la quale Nell’adempimento delle obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata.
Questa del 1176.2 non è una specie di diligenza, quanto l’assunzione, accanto a quest’ultima, della perizia o capacità professionale ad ulteriore requisito dell’esattezza della prestazione.
La prestazione dell’intermediario professionale, commisurata a tale criterio di valutazione, si rivela non conforme quando sia connotata dall’ignoranza, che da sempre è la negazione della perizia professionale (lo diceva già Robert Joseph Pothier nel suo Traité du contrat de vente).
In questi termini la responsabilità degli intermediari finanziari si configura come contrattuale in quanto conseguenza della violazione, misurata alla luce del 1176.2, di un obbligo integrativo strumentale di conoscenza esauriente e precisa di quanto attiene all’affare.
{Secondo Guido Ferrarini l’intermediario avrebbe un obbligo non tanto di controllare le informazioni relative all’emittente ed ai valori oggetto di collocamento, quanto di dischiudere tali informazioni al pubblico in modo veritiero e completo.
È chiaro che il secondo obbligo senza il primo sarebbe vuoto, e d’altra parte solo una mancata conoscenza che a propria volta costituisca violazione di un obbligo può esser fonte di responsabilità pur quando si sia comunicato ciò di cui si è a conoscenza, ma che si riveli falso od insufficiente.
Lo stesso Guido Ferrarini sostiene che l’intermediario non può ritenersi liberato dagli obblighi di informazione su di lui gravanti per il semplice fatto di non avere, a propria volta, ricevuto dall’emittente rappresentazioni veritiere e complete, ma solo provando che neppure una revisione attenta e professionale dei dati e delle notizie […] avrebbe potuto rilevare i vizi del documento informativo.
Tale onere di prova, poi, non presuppone un’obbligazione di risultato, non foss’altro perché la distinzione tra obbligazioni di risultato ed obbligazioni di mezzi è stata concepita con riguardo all’obbligo principale di prestazione e, se con riguardo a questo è discutibile, ancora meno senso ha per gli obblighi accessori.
D’altra parte la responsabilità contrattuale derivante da obbligazioni di mezzi non può esser letta come responsabilità per colpa, della quale il danneggiato debba allora dare la prova (così Guido Ferrarini, sulla scorta di Giovanni Cattaneo), mentre un onere della prova invertito varrebbe solo per le obbligazioni di risultato.
Per le une e per le altre la regola è una ed è fissata dal 1218 (Responsabilità del debitore), in forza del quale il debitore risponde fino al limite dell’impossibilità che derivi da causa a lui non imputabile.
Anche a voler accedere all’idea che la distinzione non valga soltanto sul piano descrittivo ma abbia valore dogmatico, nel senso che a ciascuna delle due categorie di obbligazione sarebbe da applicare una disciplina diversa relativamente alla responsabilità per inadempimento, questo potrebbe solo significare che alle obbligazioni di risultato si debba applicare il 1218, mentre a quelle di diligenza sarebbe da applicare il 1176 (Diligenza nell’adempimento).
La differenza sarebbe costituita da un diverso criterio di responsabilità, ma questo non implicherebbe un diverso regime di onere della prova.
Nelle obbligazioni di mero comportamento, cioè, il debitore risponderebbe per colpa, ma questo non significa che a provarla dovrebbe essere il creditore.
Dovrebbe essere il debitore a provare la diligenza, essendo questa contenuto del vinculum iuris, rispetto al quale il debitore deve provare di essere stato conforme se vuole evitare la responsabilità.
Altrimenti tra obbligazione e no non vi sarebbe differenza: tutto si ridurrebbe a responsabilità aquiliana, e non avrebbe senso distinguere tra essere obbligati e no}.
E ciò accade senza che, al fine di pervenire ad una responsabilità di natura contrattuale, sia necessario forzare il modello della culpa in contrahendo, e d’altra parte scansando lo scoglio della responsabilità aquiliana, inquadrato nella quale il suo comportamento, sul piano del fatto l’intermediario finanziario risulterebbe equiparato al passante, relativamente al quale resterebbe da giustificare la risarcibilità di un danno meramente patrimoniale.
{Anche in materia di Prospekthaftung Claus-Wilhelm Canaris ripete la sua tesi di fondo, comune, benché del tutto autonoma, al presente lavoro: contro un inquadramento nella responsabilità extracontrattuale depone ancora una volta il fatto che si tratta tipicamente di una lesione colposa del patrimonio}.
Ma l’ordinamento poi ha approntato una disciplina specifica della responsabilità degli intermediari.
Prima fu la l. 1/1991, la quale prevedeva che nei giudizi di risarcimento dei danni derivanti dallo svolgimento delle attività di cui all’art. 1, comma 1 [quelle cioè che caratterizzano l’attività di intermediazione] spetta alla società o soggetto convenuti l’onere della prova di avere agito con la diligenza del mandatario.
Con riguardo a questa norma avevo sostenuto che l’unico significato sicuro che dal riferimento alla disciplina del mandato può ritenersi ricavabile è l’ascrizione della responsabilità degli intermediari all’area della responsabilità contrattuale sotto le specie di quella riguardante il mandatario.
Risultando con questo confortata l’idea secondo la quale una responsabilità aquiliana dell’intermediario per danni derivanti dall’esercizio dell’attività professionale significherebbe equiparare al passante colui al quale il possibile investitore si rivolge per ottenerne assistenza e lumi.
Il riferimento al mandato appariva problematico con riguardo a certi aspetti dell’intermediazione mobiliare, ma il risultato ultimo di esso era l’ascrizione all’area della responsabilità contrattuale di tutte le azioni di risarcimento del danno derivanti dallo svolgimento dell’attività di intermediazione disciplinata dalla legge.
Questo del resto era conseguenza del fatto che la legge individuava una serie di obblighi accessori, che come tali sono fonte di responsabilità contrattuale; poiché essi cominciano a sussistere prima della stipulazione dei contratti relativi a singole operazioni conclusi tra intermediario e cliente, e possono anche riferirsi ad operazioni la prestazione relativa alle quali sia già stata eseguita, la responsabilità che deriva dalla violazione di essi può prescindere da un rapporto di prestazione vigente tra le parti.
Perciò a suo tempo avevo ricostruito il rapporto di intermediazione mobiliare come un rapporto che l’elaborazione successiva dell’obbligazione senza prestazione consente di inquadrare in detta figura.
Tale ricostruzione trova conferma anche nella nuova disciplina introdotta dal d. lgs. 58/1998, che al 21 elenca una serie di obblighi gravanti sui soggetti abilitati alla prestazione dei servizi di investimento:
- comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza, nell’interesse dei clienti e per l’integrità dei mercati;
- acquisire le informazioni necessarie dai clienti e operare in modo che essi siano sempre adeguatamente informati;
- organizzarsi in modo tale da ridurre al minimo il rischio di conflitti di interesse e, in situazioni di conflitto, agire in modo da assicurare comunque ai clienti trasparenza e corretto trattamento;
- assicurare l’efficiente svolgimento dei servizi;
- svolgere una gestione indipendente, sana e prudente e adottare misure idonee a salvaguardare i diritti dei clienti sui beni affidati.
Accanto a questi obblighi vanno annoverati almeno gli obblighi di informazione che devono essere osservati nel prospetto inerente alla sollecitazione all’investimento (94: Obblighi degli offerenti) ed alla sollecitazione al conferimento di deleghe di voto per la parte riguardante gli intermediari (143.2).
{Relativamente a tale prospetto, esso ha contenuto diverso da quello che è previsto per la sollecitazione al risparmio.
Esso accompagna la sollecitazione al conferimento della cosiddetta delega di voto e deve fornire al delegante Le informazioni […] idonee a consentire all’azionista di assumere una decisione consapevole).
Mentre quest’ultima norma prevede espressamente il riferimento agli intermediari, non è così per il 94, ma deve ritenersi che esso valga anche per la sollecitazione all’investimento, la quale anzi costituisce il terreno originario relativamente al quale è stata elaborata la cosiddetta responsabilità da prospetto.
Ora tutti questi obblighi nascono con l’instaurazione del rapporto tra intermediario e cliente, ma prescindono dai singoli contratti relativi alle operazioni che l’intermediario di volta in volta si obbliga a compiere per il cliente (si tratta sempre di contratto, anche se si parla in questo caso di contratto cornice o di contratto normativo, onde la violazione degli obblighi che nascono da essi è definitivamente contrattuale: accettata questa linea ricostruttiva, è incoerente continuare a parlare di responsabilità precontrattuale, come fa Giovanna D’Alfonso: essi costituiscono perciò il rapporto-cornice nel quale si incastonano gli obblighi di prestazione che prendono vita con le singole operazioni che il cliente richiede all’intermediario.
In tal senso depone un’analisi sistematica della disciplina, la quale prevede gli obblighi in questione al 21 (Criteri generali), mentre disciplina i contratti al 23 (Contratti).
Poiché gli obblighi di cui al 21 sono espressivi di una relazione giuridicamente rilevante, la quale deve avere una fonte, occorre ritenere che essi siano frutto di un contratto che dà vita al rapporto-cornice tra banca e cliente, entro il quale si inscrivono i rapporti di prestazione costituiti coi singoli contratti nei quali il rapporto-cornice trova concretizzazione.
Tale contratto-cornice sembra essere quello disciplinato al 23 T.U.
{Qualche dubbio deriva dal fatto che il dato testuale parla di “contratti relativi alla prestazione di servizi”, sembrando riferirsi ai contratti riguardanti le singole operazioni: motivi di opportunità suggeriscono di ritenere che la norma si riferisca ai contratti-cornice.
In questo senso, ora, Trib. Genova 18 aprile 2005; ivi altre pronunce riguardanti i casi Cirio ed Argentina, pronunce nelle quali però la rilevanza del contratto-quadro viene inopinatamente obliterata, inducendo i giudici ad inutili acrobazie per affermare la nullità o risolubilità dei contratti incorniciati}.
Questa ipotesi ricostruttiva risponde alla realtà ed all’esperienza, ove si mette in evidenza che nei rapporti di intermediazione finanziaria così come nei rapporti bancari esiste una relazione base o relazione costante tra il cliente ed il professionista, all’interno della quale si vengono situando le varie richieste di servizi del primo al secondo.
L’obbligazione senza prestazione trova in questo caso conferma nella legge.
{Il riconoscimento positivo che sorgono obblighi accessori tra le parti sin dalla instaurazione della trattativa precontrattuale e comunque prima del sorgere di un obbligo di prestazione, in chiave comparatistica, si rinviene ora nel nuovo § 311 BGB, introdotto dalla riforma delle obbligazioni}.
Si prende atto che è proprio del soggetto professionale uno status diverso da quello del soggetto comune, status caratterizzato dalla necessità di osservanza di obblighi.
Come per i casi classici nei quali la culpa in contrahendo è stata usata nell’esperienza tedesca, la buccia di banana o la foglia di insalata sulla quale scivola un malcapitato cliente, la proposta sufficientemente ragionevole di non richiamarsi alla buona fede precontrattuale per dar fondamento alla responsabilità non ha come conseguenza inevitabile la fuga nella responsabilità aquiliana.
{Perciò dice bene Christian von Bar quando afferma che i casi menzionati, insieme a quello del rotolo di linoleum caduto accidentalmente sul cliente, non riflettono situazioni negoziali.
Ciò vale in particolare per il caso in cui ad infortunarsi su una foglia di insalata in un supermercato non sia la cliente ma sua figlia, in favore della quale il BGH ha riconosciuto l’inclusione sin dalla fase precontrattuale nell’àmbito di protezione del contratto.
Ritenere che gli obblighi di controllo e di vigilanza non siano né azionabili né negozialmente adempibili non significa doverne concludere che allora non si tratta di obblighi.
In questi termini si riduce il rapporto obbligatorio alla sola prestazione, mentre proprio a cominciare dal Linoleumfall il modello della c.i.c. ha ormai mostrato di saper contenere obblighi diversi}.
Infatti la qualifica professionale di colui che risponde rende plausibile la natura contrattuale della sua responsabilità, ovviamente non in termini di inadempimento di un obbligo di prestare (che ancora non esiste e potrà anche non sorgere), bensì per il mancato approntamento di tutte le cautele che un soggetto professionale deve adottare nei confronti di tutti coloro che con esso entrano in contatto.
{Senza bisogno di ipotizzare, come propone invece Karl Larenz, la presunzione-finzione in grado di ribaltare sul negoziante la prova contraria che ognuno che entri nel negozio lo faccia come possibile cliente; e ciò al fine di applicare la disciplina della c.i.c. in luogo della responsabilità aquiliana.
Che il sorgere di obblighi di protezione non necessita di un rapporto precontrattuale in senso proprio risulta ora chiaro positivamente in Germania dalla riforma del diritto delle obbligazioni.
Infatti il § 311 BGB, comma II, prevede il sorgere di obblighi di protezione non solo in quelle che propriamente sono trattative precontrattuali (come pure prevede il comma II n.1 del medesimo paragrafo), ma già nella fase precedente, di cosiddetto “avviamento al contratto”.
Con il comma II n. 3, nel quale si prevede che gli obblighi di protezione nascano in ogni altro caso di “contatto di natura paranegoziale”, il legislatore tedesco completa la gamma dell’obbligazione senza prestazione}.
Esattamente quanto abbiamo ricavato dalla disciplina dell’intermediazione finanziaria.
La ricostruzione ora prospettata consente di dare una lettura non riduttiva del 23.6 del d. lgs. 58/1998, a norma del quale Nei giudizi di risarcimento dei danni cagionati al cliente nello svolgimento dei servizi di investimento e di quelli accessori, spetta ai soggetti abilitati l’onere della prova di aver agito con la specifica diligenza richiesta.
A prescindere dalla forma “processuale”, adoperata in luogo di una di diritto sostanziale, la previsione del 23.6 consente di vedere ricompresa in sé ogni ipotesi di danno che il professionista finanziario od i suoi ausiliari cagionino a chi si rivolge ad essi per ottenerne i servizi di investimento, l’esercizio dei quali è riservato dal 18.1 alle imprese di investimento ed alle banche.
In questo senso è ulteriormente significativa la disposizione del 31.3 d. lgs. 58/1998, che disciplina la responsabilità per i danni cagionati dai promotori finanziari, cioè da coloro che esercitano professionalmente l’offerta fuori sede di strumenti finanziari o di servizi di investimento.
Con un linguaggio legislativo anche in questo caso barbaro, si prevede che Il soggetto abilitato che conferisce l’incarico è responsabile in solido [non viene detto con chi] dei danni arrecati a terzi dal promotore finanziario, anche se tali danni siano conseguenti a responsabilità accertata in sede penale.
Quest’ultima parte della norma significa che il “soggetto abilitato” non può scagionarsi dalla responsabilità facendo valere la responsabilità penale del promotore.
Poiché quest’ultima è personale e può derivare da condotte che il promotore potrebbe aver assunte in assoluta indipendenza rispetto alle direttive impartitegli dal soggetto abilitato, anche quando ciò sia accaduto, il soggetto abilitato risponde in solido col promotore.
Quanto a tale responsabilità civile solidale, la formula adottata dalla legge non potrebbe essere più ampia: essa si riferisce ad ogni ipotesi di perdita patrimoniale cagionata dal promotore finanziario che in tale veste sia accreditato presso il cliente, e cioè come ausiliario del soggetto abilitato nell’offerta fuori sede dei servizi o degli strumenti finanziari, anche quando l’investimento non sia mai pervenuto al soggetto abilitato per il tramite di un promotore rivelatosi infedele e perciò non possa dirsi mai concluso un contratto fra il soggetto abilitato ed il cliente.
Così si è pronunciato recentemente Trib. Verona 1° marzo 2001, sulla base di una domanda di risarcimento del danno da responsabilità extracontrattuale (il giudice invero non si pronuncia sulla natura della responsabilità, limitandosi ad accogliere la domanda).
Sia che si tratti della responsabilità diretta delle imprese di servizi finanziari, disciplinata al 23.6, sia che si tratti di quella dei promotori e, in solido con essi, delle imprese stesse, come previsto dal 31.3 d. lgs. 58/1998, tutto sa di rapporto obbligatorio sin dal momento in cui questi soggetti entrano in contatto col cliente.
Quest’ultimo viene cercato e sollecitato all’investimento dai soggetti abilitati e dai loro promotori; questi si presentano ad esso come persone professionalmente competenti in grado di generare un affidamento funzionale all’investimento.
Acquista così significato la serie di obblighi che il 21 T.U. prevede, nella prestazione dei servizi di investimento e accessori, senza delimitarne il sussistere alle sole ipotesi in cui un contratto col cliente sia già stato stipulato ed anzi prevedendone alcuni che hanno senso solo od almeno già in una fase che precede il sorgere del vincolo contrattuale, come gli obblighi di correttezza e trasparenza, di informazione e quelli relativi al conflitto di interessi.
{Il 31.3 T.U. non consente di distinguere secondo che il danno sia cagionato dal promotore nell’esercizio del compito affidatogli dal soggetto abilitato oppure in violazione delle direttive impartitegli, riputando la responsabilità nella prima ipotesi contrattuale, nella seconda extracontrattuale, come ritiene Andrea Tucci, in nota a Trib. Verona 1° Marzo 2001.
La questione sta nell’accertare se il promotore possa esser considerato tale nello svolgimento dell’attività risultata dannosa; se la risposta è positiva la regola, l’unica che troverà applicazione, è quella appunto del 31.3.
E la natura della responsabilità va ricavata dalla qualifica che spetta al promotore, di ausiliario dell’intermediario, la cui responsabilità è sancita dal 23.6 ed è contrattuale}.
E se la qualifica “contrattuale” evoca ancora l’obbligo di prestazione, che non viene ad esistenza fin quando non si completi il fatto dal quale la legge lo fa derivare (nel nostro caso il contratto), tutto si dipana nel momento in cui si prenda atto, come ha ormai sancito il legislatore tedesco nel nuovo § 311 BGB, che una serie di obblighi minori rispetto a quello di prestazione sorge prima ed a prescindere da quello di prestazione, in funzione di protezione della sfera giuridica della controparte.