Il danno biologico o danno alla salute, creazione di diritto giurisprudenziale, è approdato anch’esso infine ai lidi della legge in senso formale.

L’incipit è costituito dall’unica norma, il 2059, che disciplina il danno non patrimoniale.

L’identificazione storica del danno non patrimoniale col danno morale sempre più è risultata insufficiente e troppo angusta rispetto all’intero della persona ma, più ancora, non in grado di cogliere il punto essenziale della tutela, che è costituito dalla persona stessa, come la Costituzione ha reso evidente.

La tutela della persona come valore portante, o Grundnorm, divenne vaglio di un modello attardato sulla identificazione del danno col danno patrimoniale, e del danno non patrimoniale col danno morale.

Lo sviluppo condotto sotto l’etichetta “danno biologico” è servito a mettere in crisi la riduttività di queste due identificazioni, da un lato accreditando l’idea che la persona nelle sue varie dimensioni ed in primo luogo nella sua integrità fisica entra nel fuoco della tutela di responsabilità civile, dall’altro mettendo in luce che il danno non patrimoniale è categoria più capiente del solo danno morale, risultando comprensiva delle perdite riguardanti ciò che non è patrimonio e perciò, per eccellenza, la persona.

Nel momento in cui il danno non patrimoniale risulta coesteso all’idea di persona, diventa però arbitrario ridurne la portata entro la categoria del danno biologico: perché la salute, alla quale la perdita che viene chiamata danno biologico fa riferimento, è solo uno degli attributi della persona, la quale è l’entità veramente tutelata, ma allora deve esserlo in ciascuno degli attributi che le pertengono.

Si può discutere se ad una tutela così omnicomprensiva sia sufficiente, come a me sembra, il riferimento alla persona come valore diffuso e fondativo dell’intera Carta costituzionale e semmai al 2 di essa, o se invece si debbano far spiccare a seconda del caso le singole norme della Costituzione nelle quali gli attributi salienti della persona trovano puntuale riconoscimento.

Quello che mi pare indiscutibile esito logico è l’approdo al danno alla persona tout court.

Un esito del genere non trova ostacolo nel 2059 (Danni non patrimoniali), che viene anzi recuperato come luogo della tutela della persona ad opera della sentenza 372/1994 della Corte costituzionale.

Il 2059 fu inteso dal legislatore ed interpretato dalla dottrina e dalla giurisprudenza attente alle intenzioni del legislatore come riferito non alla persona come tale, ma esclusivamente al danno morale, al disagio tendenzialmente passeggero che la persona può provare in conseguenza di un fatto illecito.

Tale interpretazione trovò il suo punto culminante nella sentenza 184/1986 della Corte costituzionale.

Il punto di vista costituzionale in materia di danno alla persona è invalso anche nel diritto tedesco.

Sia von Bar che io abbiamo avuto modo di rilevare l’approdo della giurisprudenza più recente del BGH {Bundesgerichtshof: Corte di Cassazione federale tedesca} ad una concezione dello Schmerzensgeld (danno morale) coincidente con quella del danno biologico nel momento in cui ne ha sancito la risarcibilità anche in favore di soggetti completamente privi di capacità di sentire e di percepire.

Se questo è il risultato, chiamare ancora danno morale quello che ormai difetta del presupposto fondamentale, cioè la sofferenza, mette in luce una discrepanza tra significante e significato, rispetto alla quale è più proprio parlare di lesione della salute e di danno all’integrità fisica o psichica della persona.

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