La condizione si dice potestativa quando l’evento in essa dedotto dipende dalla volontà di una delle parti la quale, però, è spinta ad agire sulla base di motivi oggettivi, che rappresentano un giustificato interesse e non un mero capriccio.

In tal senso, la condizione potestativa non va confusa con la condizione meramente potestativa che si ha quando il suo verificarsi è rimesso al mero arbitrio della parte (Esempio tipico può essere: se vorrò, se mi piacerà ti assumerò nel personale).

Pertanto, sebbene in passato siano stati elaborati diversi criteri al fine di differenziare le due figure, ad esempio, un elemento discriminante tra i due tipi di condizione era stato individuato nella presenza di motivi seri che potessero giustificare la scelta della parte tra l’avveramento e il non avveramento della condizione, oppure, sulla indifferenza o meno per il soggetto tra compiere od omettere l’atto; il Bianca, invece, ritiene che al fine di distinguere tra condizione potestativa e condizione meramente potestativa dovrebbe aversi riguardo alla presenza di un interesse meritevole di tutela giuridica in capo alla parte da cui dipende l’avveramento della condizione.

Pilastro della disciplina della condizione meramente potestativa è l’art. 1355 cod. civ. il quale sanziona di nullità la pattuizione la cui efficacia dipende “dalla mera volontà dell’alienante o… del debitore”, cioè è nulla l’assunzione di un obbligo o l’alienazione di un diritto subordinato alla mera

scelta dell’obbligato alla prestazione.

La ratio della norma è evidente, infatti, il fenomeno della regolazione giuridica non può prendere in considerazione, se non per escluderne la validità o la tutela, il mero capriccio o il dominio assoluto della volontà arbitraria e non responsabile. D’altronde, la stessa disciplina della condizione è orientata alla tutela del contraente interessato all’avveramento della condizione (basti pensare alle disposizioni che prevedono una peculiare disciplina in ordine al periodo di pendenza della condizione e, stabiliscono in particolare quale deve essere il comportamento delle parti nello stato di pendenza o la sanzione in caso di mancanza di essa per causa imputabile alla parte che aveva un interesse contrario al suo verificarsi).

La condizione meramente potestativa è dunque quella che fa dipendere l’efficacia o la risoluzione del contratto dal puro arbitrio di una delle parti.

In tal caso bisogna distinguere se la condizione meramente potestativa:

1. Se risolutiva: la dottrina maggioritaria la qualifica non come una vera e propria condizione ma come un potere di revoca o recesso con conseguente validità del relativo patto tutte le volte in cui sia ammissibile la pattuizione di tale potere di revoca o di recesso. Tuttavia, non poche sentenze hanno evidenziato la differenza tra la condizione risolutiva meramente potestativa dal recesso, sottolineando il fatto che quest’ultimo a differenza della prima, non ha effetto retroattivo.

2. Se sospensiva: determina ai sensi dell’art.1355 la nullità del negozio non ravvisandosi in tal caso alcuna serietà all’impegno;

In dottrina si ritiene che se la condizione sospensiva meramente potestativa risponde ad un serio intento negoziale ed è diretta a perseguire un interesse meritevole di tutela, si traduce, in realtà, in un diritto di opzione e ciò in quanto la riserva di esprimere la volontà in ordine all’efficacia o meno del contratto vuol dire in sostanza che la parte si riserva il diritto di accettare la dichiarazione dell’altra.

Condizione mista e Condizione causale

La condizione si dice causale se il fatto in essa dedotto dipende dal caso o dalla volontà di terzi.

La condizione si dice mista se concorrono sia la volontà del soggetto che un elemento estraneo.

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