ARTICOLO 1394 C.C. Conflitto d’interessi
Il contratto concluso dal rappresentante in conflitto d’interessi col rappresentato può essere annullato su domanda del rappresentato, se il conflitto era riconosciuto o riconoscibile dal terzo.
ARTICOLO 1388 C.C. Contratto concluso dal rappresentante
Il contratto concluso dal rappresentante in nome e nell’interesse del rappresentato, nei limiti delle facoltà conferitegli, produce direttamente effetto nei confronti del rappresentato.
ARTICOLO 1390 C.C. Vizi della volontà
Il contratto è annullabile se è viziata la volontà del rappresentante. Quando però il vizio riguarda elementi predeterminati dal rappresentato, il contratto è annullabile solo se era viziata la volontà di questo.
SEZIONE PRIMA
LA RICOSTRUZIONE
La disposizione dell’articolo 1395 c.c. ,nell’affrontare la tematica relativa al cd. contratto con se stesso, finisce con il connettersi alla disposizione dell’articolo 1394 c.c. ,che affronta la tematica relativa al “conflitto d’interessi”: da più parti della dottrina, infatti, si afferma che laddove sussiste contratto con se stesso, quello stesso sarà realizzato in pieno conflitto d’interessi tra il rappresentato ed il rappresentante (dunque è chiara la connessione dei due articoli). Pertanto, se per comprendere la disciplina dell’articolo 1395 è necessario antecedentemente comprendere altresì la disciplina dell’articolo 1394,allora si realizzerà in capo agli studiosi e teorici del diritto l’onere di identificare cosa si voglia intendere con la locuzione “conflitto d’interessi”. Ed è qui che si sono manifestate le più ardue difficoltà:
- parte della dottrina non è stata ancora in grado di verificare cosa debba intendersi per “interesse” (ancora oggi non si è in gradi di determinare quale e cosa sia l’interesse del creditore all’obbligazione);
- altra parte, ancora, non è stata in grado di scindere il concetto di conflitto d’interessi nell’ambito contrattuale, dallo stesso concetto che si riscontra nell’ambito del diritto di famiglia o del diritto delle società (essendo esse nozioni completamente differenti sul piano teorico ed anche pratico);
- ed ancora, la stessa disciplina dell’articolo 1394 c.c. ,a fronte della determinazione del trattamento sanzionatorio previsto per il caso, non è stata in grado di fornirne una esaustiva e competente definizione.
In realtà, la problematica di maggiore rilievo in merito alla determinazione del conflitto d’interessi è quella che vuole che lo stesso debba essere identificato con l’abuso del potere di rappresentanza: si ha abuso del potere di rappresentanza quando il rappresentante, pur legittimato ad agire per conto del rappresentato, si adoperi in modo da realizzare interessi diversi e divergenti da quelli propri del rappresentato.
Come si può facilmente evincere anche dalla definizione che di “abuso di rappresentanza” si è data, tale tipologia patologica del rapporto di rappresentanza concerne la fase esecutiva del rapporto: in altri termini, può affermarsi che esiste abuso della rappresentanza quando il rappresentante, nell’eseguire il suo incarico, realizzi un interesse divergente da quello per il quale è stato autorizzato.
Differente il discorso per il conflitto d’interessi: per affermarsi che tra rappresentante e rappresentato esiste conflitto d’interessi, non è necessario attendere che il rapporto giunga ad esecuzione; qualora gli interessi del rappresentante convergano da quelli del rappresentato, tale situazione è ravvisabile immediatamente al nascere del rapporto, ed ancora prima che lo stesso giunga ad una qualsivoglia esecuzione. E’ chiaro che i due concetti non possono essere confusi, né impiegati come sinonimi, essendo l’uno (il conflitto d’interessi) sostanzialmente statico, e l’altro (l’abuso di rappresentanza) sostanzialmente dinamico.
D’altra parte tra i due concetti non è altresì raffigurabile un rapporto di “genere a specie”: l’abuso di rappresentanza potrebbe essere una specie del conflitto di interessi qualora entrambi operino sullo stesso piano ed allo stesso modo (non dovendosi perciò configurare quella differenza tra staticità dell’una e dinamicità dell’altra); ma poiché ciò, come si è visto, non avviene, non è neppure opportuno escludere che le due situazioni siano in qualche modo collegate, seppure da un rapporto più plausibile di “causa ad effetto”: infatti, deve potersi affermare che, la sussistenza di un conflitto di interessi alla base del rapporto tra rappresentato e rappresentante, può indurre costui ad agire abusando del potere di rappresentanza conferitogli, onde risolvere il suddetto conflitto d’interessi a suo vantaggio.
Stando così le cose sembra opportuno analizzare attentamente l’articolo 1394,e verificare se la nozione di conflitto d’interesse in esso contenuta debba essere valutata sulla base di una considerazione statica della stessa (come fattore esistente fin dall’inizio della sua realizzazione),ovvero debba essere considerata sulla base di una valutazione dinamica (conseguente all’esecuzione del contratto, e raffigurantesi in un abuso).
Se è pur vero che la disposizione dell’articolo 1394 non fornisce alla nostra attenzione una adeguata definizione di “conflitto d’interessi”, è pur vero però che la stessa fornisce il trattamento sanzionatorio previsto per il caso specifico: l’annullabilità del contratto.
Un simile rimedio non può ritenersi operante al solo verificarsi di un potenziale conflitto d’interesse tra rappresentato e rappresentante, non può seriamente pensarsi di operare un rimedio tanto pernicioso (quale l’annullamento del contratto) sulla base di una presunzione, che potrebbe anche non realizzarsi in concreto ma restare nel mero piano teorico; ed allora, il contratto potrà essere annullato solo quando tale conflitto d’interessi si sia effettivamente realizzato in concreto, nella specie dell’abuso del potere di rappresentanza, perché solo in questo caso il conflitto d’interessi potenziale, esistente alla base del contratto, ha effettivamente esplicato le sue conseguenze più perniciose. Ed allora sarà in questo ambito che si potrà evidenziare una certa correlazione tra conflitto d’interessi ed abuso di rappresentanza, seppure sempre nell’ottica di un rapporto di “causa ad effetto”.
La sanzione che viene indicata molto specificamente dall’articolo 1394 c.c. non è intesa a prevenire eventuali lesioni che il rappresentante possa arrecare al rappresentato, ma si riferisce alla necessità di sanare le lesioni che si siano già verificate per il rappresentato: non sarebbe perciò ammissibile un trattamento sanzionatorio che colpisce il mero conflitto d’interessi, quale situazione di dissidio solo potenziale, che esiste tra le parti ma che potrebbe anche non realizzarsi affatto.
E’ infatti pur vero che la posizione giuridica del rappresentato deve essere strenuamente difesa, ma è altrettanto vero che tale difesa non può compromettere gli altrettanti diritti in merito del rappresentante; poniamo, per ipotesi che un rappresentante, pur in conflitto d’interessi con il suo dominus decida di reprimere i suoi istinti sovversivi e di realizzare comunque fedelmente l’incarico conferitogli: sarebbe lecito per l’ordinamento intervenire con la disposizione dell’articolo 1394 ad affermare la nullità dell’atto compiuto dal rappresentante, in piena validità, per il solo fatto che alla base del rapporto sussistesse un conflitto d’interessi?
E’ ovvio che una simile determinazione sarebbe inammissibile; tanto più che la stessa, se perpetrata nell’impiego inficerebbe addirittura la tutela del rappresentato, poiché lo stesso, per ottenere il risarcimento, dovrebbe produrre agli atti la prova dell’esistenza del conflitto d’interessi, pur laddove il rappresentante abbia continuato ad agire correttamente; è chiaro dunque che l’intervento dell’articolo 1394 postula l’avvenuta, effettiva lesione degli interessi del rappresentato da parte del rappresentante.
Alla luce di tale esposizione tutta, deve concludersi in maniera discorde rispetto a quanto inizialmente prospettato: per quanto non possa essere comunque plausibile confondere o rendere sinonimi il concetto di conflitto d’interessi con quello di abuso di rappresentanza (poiché l’uno si presenta statico, l’altro dinamico),deve però concludersi che quando si parla di conflitto d’interessi e della sua esecuzione concreta non può prescindersi dal considerare tale l’abuso di rappresentanza: in altri termine, è sul piano dell’abuso che si realizza concretamente il conflitto d’interessi, inteso in senso solo potenziale.
Il problema del conflitto d’interessi però, pur alla luce di tutte le determinazioni che abbiamo condotte, non è mai riuscito a porsi correttamente sul piano dottrinale e giuridico poiché mai si è colta l’importanza di valutarlo avulso da ogni influenza che provenga dall’ordinamento in merito a situazioni già stabilizzate dallo stesso.
L’unico ambito nel quale sarebbe opportuno ricondurre, e conseguentemente studiare il fenomeno, sarebbe quello relativo al conflitto che pure esiste, e va valutato, tra il rapporto di gestione intercorrente tra il rappresentante ed il rappresentato (a mera rilevanza interna),ed il rapporto di rappresentanza tra il rappresentante ed i terzi (a mera rilevanza esterna): è questo l’unico campo possibile dove analizzare il fenomeno relativo al conflitto d’interessi.
Il conflitto tra rapporto di gestione e rapporto di rappresentanza deve essere inteso come volto a non negare che lo stesso rapporto di gestione non possiede una mera rilevanza interna tra le parti che lo concludono: il rapporto gestorio incide anche all’esterno, ed incide soprattutto sul rapporto rappresentativo, non potendo affermarsi l’esistenza di questo senza che sussista alla sua base un rapporto di gestione tra le parti interessate.
Ed allora, stando così le cose, in quali termini può parlarsi di “indipendenza della procura” con la quale si statuisce il rapporto di rappresentanza? Non potendo essa scindersi dal rapporto di gestione, la stessa sarà indipendente da cosa? La procura, con la quale si assegna la rappresentanza deve considerarsi indipendente su di un piano funzionale: ossia, deve considerarsi che la funzione realizzata dalla procura è assolutamente autonoma rispetto a qualsiasi funzione possa essere realizzata dal rapporto di gestione sottostante.
Tale indipendenza funzionale non esclude comunque che la procura, dando vita al rapporto rappresentativo, possa costituire un elemento strumentale al rapporto di gestione: in altri termini si avrà che la procura risulta necessaria perché tra rappresentato e rappresentante venga a nascere un rapporto giuridico di gestione, della specie del mandato (non si dimentichi che il mandato con rappresentanza postula proprio l’esistenza di una procura tra mandante e mandatario).
Eppure, l’indipendenza del rapporto rappresentativo si esaurisce solo in questa fase: laddove si renda possibile pensare di individuare un rapporto di rappresentanza che non nasce con alla base un rapporto di mandato tra rappresentante e rappresentato, deve poi ammettersi che tale prerogativa è ravvisabile solo sul piano pratico, nel momento in cui il rapporto si esplica in concreto; appena si torni sul piano giuridico e dottrinale si rende necessario collegare la rappresentanza esterna all’esistenza di un rapporto di mandato interno, tra le parti interessate. E ciò sostanzialmente perché entrambe le tipologie di rapporto sono fuse a realizzare un unico risultato utile per il rappresentato,ed allora non possono prescindere l’una dall’altra.
E’ necessario, a questo punto, verificare cosa ed in che modo il mandatario (rappresentante) possa soddisfare il mandante (rappresentato),agendo nel suo interesse. Nel momento in cui il mandatario viene a conoscenza dell’atto costitutivo che gli conferisce il potere di agire in nome e per conto del mandante, lo stesso dovrà valutarlo attentamente e verificare quanto in esso contenuto, soprattutto in ordine alle direttive che il mandante gli impartisce ai fini della corretta esecuzione del rapporto di gestione.
Cosa accade qualora il mandato, nel suo atto costitutivo non si presenta idoneo a fornire tali indicazioni esecutive al mandatario? In questo caso si ricorre a quello che la dottrina identifica come “interesse obiettivo”, ossia si tiene conto di quelle che sono le obiettive esigenze che attraverso un rapporto di gestione si intende realizzare, si tiene conto perciò delle determinazioni in merito che preventivamente realizzi la legge, e si trasportano le stesse nell’ambito del concreto rapporto di gestione.
Si discute, poi sulla patrimonialità o meno dell’interesse che il mandatario deve soddisfare in capo al mandante: deve valutarsi solo un interesse che attiene alla sfera patrimoniale del mandante, ovvero si può fuoriuscire da tali canoni? Si prenda in esame la disposizione dell’articolo 1174 c.c. ,laddove si parli della natura dell’interesse del creditore: accanto alla natura patrimoniale, classica, dell’interesse creditorio, si rende possibile estendere lo stesso anche ad ambiti che non attengono specificamente all’area del patrimonio, ma che possono essere intesi come precipuamente non patrimoniali.
Ad introdurre esplicitamente l’obbligo per il rappresentante di realizzare, nell’esecuzione del suo compito, l’interesse (patrimoniale o meno) del rappresentato è proprio l’articolo 1388 c.c. : tale situazione pone all’attenzione del giurista la commistione tra il rapporto interno di gestione tra rappresentante e rappresentato, ed il rapporto esterno di rappresentanza che ad ogni modo rilega.
Infatti, nel momento in cui il rappresentato concede al rappresentante di spendere il suo nome e di realizzare così un suo specifico interesse, è chiaro che il rapporto di gestione è andato ad incidere anche sul rapporto di rappresentanza esterno, poiché all’interno dello stesso si dà comunque rilevanza alla concreta esecuzione del compito conferito al rappresentante,attraverso il rapporto di gestione.
Ed allora è facile ravvisare uno stretto collegamento tra l’articolo 1388 e l’articolo 1394: il primo statuisce l’obbligo per il rappresentante di agire nell’interesse del rappresentato (dunque fonda il precetto); il secondo statuisce l’annullabilità degli atti compiuti in violazione dell’obbligo suddetto (dunque fonda la sanzione).
La circostanza per la quale, l’articolo 1394 riveste il ruolo di uno strumento sanzionatorio nei confronti dell’articolo 1388 comporta ancora di più la convinzione che l’annullabilità del contratto può conseguire solo nel momento in cui lo stesso venga eseguito, e non quando sussiste uno statico ed eventuale pericolo di conflitto d’interessi (proprio perché, l’articolo 1388 parla di “agire del rappresentante nell’interesse del rappresentato”).
L’ipotesi dell’abuso di rappresentanza come espressione pratica di un conflitto di interessi è stata potuta individuare all’interno del fenomeno della rappresentanza diretta: ci si chiede, cosa accade nell’ambito della rappresentanza cd. indiretta? Una simile violazione degli obblighi impartiti dal mandante deve essere considerata solo uno strumento a seguito del quale richiedere il risarcimento, ovvero la stessa incide sul modo di gestire l’atto di esecuzione dello stesso?
La preliminare considerazione da fare in merito è sicuramente quella che vuole la dottrina in questo ambito impegnata soprattutto a porre l’accento sulla possibilità che il mandatario ecceda dal contratto e da quanto a lui conferito; non sembra ipotizzabile perciò parlare di abuso del mandato, ma solo di eccesso dello stesso. A tali fini di scindere la disciplina del mandato nel modo che segue:
- il mandato generale può essere vittima dell’abuso di rappresentanza ad opera del mandatario;
- il mandato speciale può essere vittima dell’eccesso di rappresentanza ad opera del mandatario;
pur nella considerazione che né il primo può essere facilmente oggetto solo di abuso, né tanto meno il secondo può essere esclusivo oggetto di eccesso.
E’ opportuno poi tenere presente che non si eccede dal mandato solo quando se ne travalichino i limiti in merito a quelli che sono gli obblighi che vi sottostanno; eccedere nel contratto di mandato significa altresì non rispettare, per il mandatario,le istruzioni che il mandante impartisce in merito a come realizzare il suddetto mandato.
Non si può escludere che, su un piano meramente psicologico l’abuso e l’eccesso finiscono con l’essere inscindibilmente collegati: effettivamente, eccedere nell’esecuzione del mandato significa agire concretamente in modo da realizzare un abuso per lo stesso; il mandatario che voglia contravvenire alla realizzazione degli interessi del mandante (abuso) può ben farlo operando concretamente in modo da travalicare i limiti e le istruzioni impartitegli mediante il mandato (eccesso),senza dimenticare ciò che prima si è avuto modo di affermare, e cioè che di abuso risarcibile si può parlare solo nella fase esecutiva del mandato, e non anche qualora allo stesso facciano capo una serie di interessi in conflitto potenziale tra loro.
Nel caso della rappresentanza indiretta, il mandato che sia inficiato dall’eccesso di azione del mandatario non è sottoposto ad annullamento (come accade nella rappresentanza diretta),e ciò per un semplice motivo: nella rappresentanza indiretta non esiste alcuna tipologia di procura, dunque del rapporto che lega rappresentante e rappresentato i terzi, che vengono in contatto con il primo, non sono in debita conoscenza; la loro posizione è di mero affidamento rispetto a ciò che loro appare,ovvero sia rispetto al mandatario che agisce come mandante nei loro confronti (poiché agisce in nome proprio); qualora dovesse verificarsi che il mandatario eccede nel suo incarico, ed il sottostante contratto venga annullato, a soffrire di più tale situazione saranno proprio i terzi, ignari dell’esistenza di un rapporto di gestione tra mandante e mandatario, la cui violazione ha comportato il venir meno dello stesso mandato, e sul quale loro avevano fatto affidamento. E lo stesso accade anche in ipotesi di abuso, sempre nell’ambito di una rappresentanza indiretta, al solo ed esclusivo scopo di difendere nel modo più pregnante possibile la posizione del terzo che viene in rapporto con il mandatario.
E’ chiaro che il rapporto di collegamento che esiste tra il contratto di gestione ed il contratto di rappresentanza, e che si è visto palese nella rappresentanza indiretta, non deve essere escluso dall’ambito della rappresentanza diretta; anzi, è opportuno che anche in tale settore si renda possibile individuare in concreto l’esistenza o meno dell’abuso dei poteri conferiti al rappresentante, solo quando il rapporto di gestione che vi è alla base, e che impone di agire nell’interesse del rappresentato, sia giunto effettivamente ad esecuzione.
In ultimo, qual è la posizione che lo stesso rappresentante assume rispetto all’abuso del suo compito? In quale accezione psicologica egli vi si pone?
Sicuramente da escludere devono essere le teorie che vogliono che il rappresentante manifesti una colpa nei confronti del suo comportamento; ma altrettanto aberranti sono le teorie che vogliono che lo stesso vi partecipi con dolo, e perciò volontariamente: in altri termini, l’atteggiamento del rappresentante è di mero abuso, ed è questa situazione di fatto che la sanzione dell’articolo 1394 vuole sanare, senza andare ad indagare sulla sfera psicologica dello stesso, rispetto a se questi abbia voluto o meno la realizzazione di quell’abuso.
SEZIONE SECONDA
I COROLLARI
Si è dunque avuto modo di verificare che la sanzione prescritta dall’articolo 1394 c.c. si riferisce non già ad una mera potenziale situazione di conflitto d’interessi, bensì ad un abuso vero e proprio che il rappresentante realizzi del potere rappresentativo conferitogli dal dominus.
Tale determinazione deve necessariamente estendersi alla disciplina dell’articolo 1395 in merito al contratto con se stesso: il contratto con se stesso realizza sicuramente una potenziale situazione di conflitto d’interessi, ma esso rileva al punto da rendere annullabile il contratto stesso solo quando si sia realizzato nel concreto un abuso del potere rappresentativo, che ha concretizzato il solo potenziale conflitto esistente.
Il paradigma del “conflitto d’interessi” non concerne soltanto l’ambito della rappresentanza volontaria; il nostro ordinamento giuridico riconosce tale situazione di contrasto anche in altri settori, che ovviamente conferiscono allo stesso problema connotati e significati differenti.
E’ opportuno notare, che in altri ambiti dove è possibile riscontrare il conflitto d’interessi (si pensi al rapporto tra genitori esercenti la patria potestà ed i figli minori),non sussiste una situazione di abuso del potere rappresentativo (che nel più dei casi è assolutamente inesistente); dunque il conflitto d’interessi, stando così le cose, non si modula sul terreno giuridico come una vicenda dinamica, bensì solo come una situazione statica, la quale però non è meramente potenziale, bensì è perfettamente efficiente nel campo del diritto e nella pratica: in altri termini, in questo caso il “conflitto d’interessi” è punito dall’ordinamento per il solo fatto di sussistere quale situazione di contrasto sul piano giuridico, senza attendere che si agisca abusivamente, in modo da attuare nel concreto tale situazione di conflitto (come invece accade solo ed esclusivamente per la rappresentanza volontaria).
Ed alla disciplina della rappresentanza volontaria, in materia di conflitto d’interessi, è stata affiancata anche la medesima disciplina che si riscontra nella rappresentanza sociale, attesi i rapporti tra l’amministratore ed i soci. In particolare, in questo campo, il conflitto d’interessi è ravvisabile nell’esercizio da parte dell’amministratore, dei poteri di deliberazione all’interno della società; dunque si tratta di un mero rapporto a rilevanza interna.
Sicuramente deve escludersi che un conflitto d’interessi intercorrente all’interno della società, possa essere uguagliato alla medesima situazione che possa verificarsi all’esterno della stessa, nell’esercizio dell’effettivo potere rappresentativo che è altresì in capo agli amministratori: eppure, non si esclude, come pure si è fatto per il caso della rappresentanza volontaria,che il conflitto esistente nell’ambito interno del rapporto tra amministratore e società possa inficiare ed incidere sul medesimo rapporto esterno, di natura più schiettamente rappresentativa,di fatti determinando la sua annullabilità.
Nel senso dell’esistenza di un conflitto d’interessi nell’ambito della società si pronuncia la disposizione dell’articolo 2391 c.c. ,la quale effettivamente parla del conflitto d’interesse intercorrente (potenzialmente) tra amministratori e società,ma lo fa limitatamente ai rapporti deliberativi, interni alla stessa, senza tenere conto dell’influenza che essi possano avere all’esterno: in altri termini, il conflitto d’interessi rileva solo in quanto riferente ad una situazione interna alla società, nell’intimo dei rapporti che intercorrono tra la stessa ed i suoi amministratori (ed il rapporto interno, o meramente interno, non può che considerarsi statico, non necessitante di una effettiva esecuzione all’esterno).
Come può allora l’ordinamento conferire al suddetto articolo le medesime conseguenze giuridiche (in ordine all’annullabilità del contratto) che si conferiscono all’articolo 1394,che come si è visto è fortemente puntato sull’effettiva esecuzione di un rapporto rappresentativo con abuso del potere di rappresentanza? Sembrerebbe (e di fatti è) una contraddizione più che palese: eppure, poiché l’ordinamento tale connessione la attua concretamente, deve concludersi che anche in capo agli amministratori di società può riconoscersi esistente il conflitto d’interessi solo quando gli stessi agiscano abusando del loro potere di rappresentanza.
Nel momento in cui un contratto venga realizzato dal rappresentante in conflitto di interessi con il rappresentato, e perciò abusando del suo potere rappresentativo, al fine di rimediare allo stesso non può che essere riconosciuta facoltà in capo al rappresentato di richiedere l’annullamento del contratto così realizzato; ciò sostanzialmente perché si è riconosciuta, seppure con non pochi problemi di carattere dottrinale, l’esistenza di un conflitto d’interessi anche solo potenziale, in luce al rapporto tra rappresentato e rappresentante.
Di fronte alla circostanza dell’esistenza di un pericolo presunto, o meglio di un pericolo di danno di cui potrebbe essere vittima il rappresentato, non sembra possibile richiedere da parte di questi il risarcimento dei danni: un danno può essere risarcito quando, essendosi concretamente realizzato sul piano empirico, abbia assunto un valore economico tale che possa essere ricostituito dal danneggiante nei confronti del danneggiato; ma il rappresentato, nel caso di specie, non è stato vittima di alcun effettivo danno, egli potrebbe esserlo però se il contratto viziato da conflitto d’interessi venisse eseguito: ed allora il suo intervento deve essere preventivo, richiedendo che il contratto potenzialmente pericoloso nei suoi confronti,sia annullato, ossia non produca più alcun effetto.
Differente il discorso quando il contratto sia stato realizzato: in questo caso, il rappresentante ha agito con abuso del potere a lui conferito, quindi ha concretamente realizzato il danno potenziale nei confronti del rappresentato; quest’ultimo oltre ad intervenire contro il terzo, annullando il contratto che lo vede inconsapevolmente coinvolto, può altresì richiedere il risarcimento dei danni al rappresentante, per avere concretamente realizzato gli stessi avverso di lui (il quale ne risponderà sulla base di una responsabilità contrattuale).
E la determinazione che si è data dell’articolo 1394 c.c. non si fa remore nell’agire anche sul rapporto rappresentativo stesso, così come inteso dalla dottrina, ovvero scisso nei suoi due ambiti:
1) il rapporto di gestione tra rappresentante e rappresentato, a mera rilevanza interna (i terzi, infatti, non ne hanno conoscenza);
2) il rapporto di rappresentanza tra rappresentato e rappresentante, a mera rilevanza esterna (mediante l’emanazione dell’atto di procura i terzi ne sono a conoscenza).
Non è ammissibile pensare che la sanzione prevista dall’articolo 1394 possa incidere solo sul rapporto di rappresentanza a rilevanza esterna: qualora si considerasse possibile una eventualità del genere, dovrebbe ammettersi che il conflitto d’interessi sarebbe rilevante su di un piano meramente quantitativo ed esteriore. In effetti, il rapporto di rappresentanza, essendo realizzazione concreta del potere di cui gode il rappresentante, potrebbe essere inficiato da contrasti di interesse solo qualora la procura (quale atto concreto che conferisce poteri al rappresentante, da parte del rappresentato) sia esercitata con abuso o eccesso della stessa: in questo modo, saremmo sempre su di un piano strettamente empirico e concreto.
Ma cosa accade qualora il conflitto d’interesse non sorge al momento in cui si realizza abusivamente o con eccesso la procura che conferisce il diritto, bensì nasce già precedentemente nel rapporto interno tra rappresentante e rappresentato? In questo caso, è ovvio che si dovrebbe ritornare a conferire rilevanza al rapporto di gestione, a rilevanza interna.
E’ opportuno, però, in questo caso non commettere l’errore opposto: non si può pensare che l’articolo 1394 si riferisca al solo rapporto interno tra rappresentante e rappresentato, e tale determinazione è rinvenibile sulla base di una constatazione altamente logica. Se avesse rilevanza il solo rapporto interno tra le parti coinvolte, sarebbe stato più consono conferire al rappresentato la possibilità di rendere inefficace il contratto eventualmente stipulato dal rappresentante, e non semplicemente richiederne l’annullamento: di fatti, un contratto inefficace non produce nel modo più assoluto alcuno effetto giuridico; un contratto annullato ha prodotto perfettamente effetti giuridici fino al momento in cui ne è stata operata l’annullabilità.
Pertanto,se di un contratto stipulato in conflitto di interessi si richiede l’annullabilità ciò sta a significare che lo stesso non rimane nell’ambito del puro rapporto interno tra rappresentante e rappresentato (nel qual caso sarebbe inefficace), ma viene effettivamente eseguito all’esterno (divenendo espressione del potere rappresentativo).
Perciò, la disposizione dell’articolo 1394 non deve privilegiare né l’una né l’altra tipologia di rapporto, ma deve creare un collegamento tra i due ambiti, in modo da poter essere applicata ad entrambi i tipi di rapporto, nello stesso modo.
Si è dunque consapevoli del fatto che, in risposta alla realizzazione di un contratto in conflitto di interessi, il rappresentato può richiedere l’annullabilità dello stesso. In dottrina, va detto, non si è stati ancora capaci di individuare effettivamente quale situazione concreta possa dare vita all’annullamento del contratto: si è detto che esso interviene a seguito della esistenza di un conflitto di interessi tra il rappresentante ed il rappresentato, ma non si è avuto ancora modo di comprendere quale circostanza concreta dia vita a tale conflitto di interessi.
La maggior parte della dottrina continua a porre l’accento sui cd. vizi della volontà, affermando che si realizza conflitto d’interesse, e conseguente annullabilità del contratto, quando il rappresentante agisca (manifestando la sua volontà) con errore, dolo o violenza, oppure agendo in quanto affetto da incapacità. Ed il rilievo non sarebbe del tutto errato, se non fosse per la circostanza che così argomentando si finisce per degradare il ruolo dell’articolo 1394.
Infatti,un contratto affetto da vizi della volontà e nonostante tutto concluso, è reso nullo sulla base di quanto indicato dalla disposizione dell’articolo 1390,che si riferisce esplicitamente ed esclusivamente ai suddetti vizi, ma non fa alcuna menzione del conflitto d’interessi. Menzione di questo ne fa l’articolo 1394,ed allora l’annullabilità che questo articolo riconosce al contratto in conflitto d’interessi, deve essere qualcosa di diverso rispetto a quella predisposta dall’articolo 1390,e deve atteggiarsi in maniera altresì differente.
Pur essendo palese la circostanza per la quale l’annullabilità e la sua dottrina mostrano non poche difficoltà di realizzazione e concepimento teorico della stessa, il nostro ordinamento ha ritenuto più consona questa tipologia di invalidità rispetto ad altre, sulla base della sua migliore capacità di creare un sistema sanzionatorio capace di porsi in posizione di puro equilibrio, e soddisfare così più agevolmente le esigenze di tutti coloro che ne siano coinvolti (non a caso mediante l’annullabilità si realizza che un contratto perfettamente efficace, viene reso inefficace al fine di salvaguardare gli interessi del rappresentato, laddove in precedenza si siano realizzati quelli del rappresentante a che il contratto sia considerato comunque immediatamente efficace). A seconda che del rapporto di rappresentanza si realizzi un abuso, ovvero un eccesso, la situazione relativa alla annullabilità viene così a determinarsi:
- quando il rapporto di rappresentanza viene realizzato con eccesso dell’atto di procura, lo stesso rapporto non può dirsi essere stato realizzato in favore del rappresentante, il quale non avendo di fatti autorizzato il rappresentante, non ne subisce alcun effetto (il rappresentante non è stato manifesto della volontà del rappresentato, perché questa non è mai esistita); ma anche nei confronti del falsus procurator il suddetto contratto non produce effetti, perciò è inefficace (e non annullabile): infatti, lo pseudo – rappresentante nello spendere ( seppure illecitamente) il nome del rappresentato ha posto in evidenza come la sua volontà sia esclusivamente quella di restare puro rappresentante, e non assumere giammai la qualità di parte contrattuale;
- quando il rapporto di rappresentanza viene invece abusato, il rappresentante non ha agito in eccesso dei suoi poteri, ma ha semplicemente esercitato il potere di cui legittimamente gode, in una accezione difforme da quanto a lui indicato. Il contratto che ne nasce perciò non è inefficace, poiché il rappresentante è legittimato ad agire, ma è posto in un modo tale da consentire al rappresentato di richiedere che lo stesso non produca più effetti in suo danno. E l’articolo 1394 è pura espressione di tale circostanza.
Il problema dell’annullabilità che viene conferita al contratto concluso con abuso del potere di rappresentanza è facilmente ravvisabile nella circostanza per la quale, nel novero dell’articolo 1394,non rientra alcuna delle normali cause di annullabilità del contratto: non l’incapacità, non l’errore, il dolo o la violenza. Nel caso del rapporto di rappresentanza la sua annullabilità è il frutto di un esercizio concreto difforme dagli interessi del rappresentato, e che per questo induce alla realizzazione di un abuso perfettamente annullabile.
La differenza tra le due tipologie di cause di annullabilità previste, è sostanzialmente la seguente: l’errore, il dolo, la violenza, ma anche l’incapacità incidono sul contratto, ma relativamente all’atto stesso che lo realizza; è lo strumento contrattuale, inteso come documento cartaceo, ad essere colpito da tali vizi.
Nel caso dell’abuso di rappresentanza, il vizio agisce non sul contratto in quanto documento, ma sul momento esecutivo dello stesso, e dunque sulla funzione rappresentativa (che è suscettibile di essere valutata su di un piano dinamico, nel momento in cui si realizza il contratto). Ed è esattamente in questi termini che deve considerarsi l’annullabilità conferita al contratto concluso in conflitto d’interessi: non si intende sanzionare la circostanza statica di contrasto, ma l’effettivo abuso nell’esercizio del potere di rappresentanza.