Oggi la velocità degli spostamenti, la cancellazione delle distanze, i contratti tra le società e l’avvicinamento delle culture rendono i veicoli giuridici agevolmente fruibili e presuppongono la necessità di creare modelli di espressione e valutazione giuridica dei fenomeni sociali il più possibile comuni. Questa circolazione dei modelli, basata sui fondamenti romanistici del diritto privato, ha rappresentato nei secoli e tuttora resta un fenomeno di notevole importanza.

Il diritto privato, essendo costruito per l’uomo e le sue esigenze, si caratterizza per un nocciolo comune, ovunque uguale.

La globalizzazione riconosce ed accentua la vocazione del diritto privato alla generalità, come strumento uniforme di gestione dei rapporti. Ma il fenomeno non è di oggi. Basti ricordare un contributo di Filippo Vassalli, dal titolo evocativo: “Extratestualità del diritto civile”. Ciò vuole esprimere che le categorie del diritto civile costituiscono un insieme di fenomeni che concorrono a creare una rete uniforme di strumenti impiegabili da tutti.

La globalità impone di ragionare cercando di cogliere ed istituire assonanze piuttosto che demarcazioni, nella consapevolezza che il diritto è per l’uomo, e perciò il suo fondamento è antropologico. Un diritto esprime degnamente la sua funzione quando rivela, in ogni espressione e ad ogni livello, valori antropologicamente apprezzabili.

Nel significato epistemologico la categoria vuol significare uno strumento ordinante dell’esperienza, che caratterizza una figura nella struttura e nella funzione. Ma essa può anche avere un senso meno impegnativo, di argomento al centro dell’attenzione.

La commistione di categorie e significati è connaturata alla dimensione sovranazionale della legislazione in ambito europeo. Possiamo dunque dire che la tassonomia delle figure che formano lo strumentario del giurista è in movimento e delinea un quadro in cui non è agevole fissare punti fermi.

Le categorie non sono un a priori del diritto, dati precostituiti: esse vanno ricavate induttivamente dall’analisi dell’esperienza.

L’era dei diritti fondamentali segna un passo decisivo sul piano globale, ed al contempo pone il diritto civile al centro della fenomenologia giuridica: sebbene i diritti fondamentali siano per lo più disciplinati, nei vari sistemi, al livello costituzionale, essi rappresentano un segmento della normativa legato alla persona umana, che appartiene, perciò, al diritto civile, senza, naturalmente, voler con ciò tracciare confini tra le varie discipline di studio del diritto.

L’antropologia è la premessa e l’asse portante dell’analisi giuridica. Essa ci aiuta a comprendere che il diritto privato ha una funzione omogenea perché serve a risolvere gli stessi problemi ovunque.

La storia del diritto ci trasmette e ci aiuta a comprendere tanti fenomeni, ma ci fa anche rendere conto del loro tramonto e ci può indicare quando sia giunto il momento di leggere in un’ottica diversa l’eredità ricevuta.

Ma il problema di fondo è di stabilire i criteri con cui pervenire al superamento delle diversità e ad una omogeneizzazione del diritto privato. Non ci si può nascondere che il diritto scaturisce da rapporti di forza: e tuttavia un diritto degno di questo nome deve esprimere un’assiologia, non può ridursi a ratificare gli effetti della forza.

Ma anche l’assiologia esprime rapporti di forza, giacché anche l’espressione di valori può derivare dalla prevaricazione dei popoli e delle parti sociali più floridi e meglio organizzati.

La struttura linguistica incide sulla percezione verbale della realtà, sicché la stessa fissazione di un’idea, in determinati contesti, può subire adattamenti fino al rischio dello snaturamento.

Dunque l’analisi giuridica del linguaggio dovrebbe superare le singole esperienze linguistiche per ricercare categorie omogenee racchiuse in espressioni convenzionalmente condivise. Anche la lingua, così come il diritto, non è un a priori della realtà, benché ne condizioni la narrazione e ne plasmi la valutazione: per questo essa non può ridursi ad una gabbia entro cui fissare le categorie giuridiche.

La lettura dei contributi privatistici che i giureconsulti romani ci hanno trasmesso col Digesto, ci aiuta a comprendere come quei giuristi non tendessero alla creazione di categorie del pensiero giuridico, ma alla soluzione dei problemi concreti mediante un’analisi topica e alla costruzione di una fenomenologia, concorrendo così a creare quel superbo sistema affidato al Digesto.

Dallo studio del diritto romano, nel suo sviluppo topico che la moderna dottrina romanistica ci ha consentito di apprezzare, riceviamo che le categorie del pensiero giuridico non sono dogmi, scatole concettuali e tanto meno terminologiche, ma il frutto di una ricerca concreta e indittiva.