Dal punto di vista etimologico il termine “canonico” deriva dal greco “kánon” che significa regola. Inizialmente questo termine veniva utilizzato per indicare le leggi ecclesiastiche destinate a disciplinare la vita del popolo di Dio, in modo da poterle distinguere dalle leggi di diritto secolare, quindi in questo periodo del diritto romano. Fu il concilio di Nicea, nel 325 d.C., in cui si parlò delle norme giuridiche ecclesiastiche come “canones disciplinares” per distinguerle dai “canones fidei” (principi dogmatici) e dai “canones morum” (principi morali).
L’espressione “diritto canonico” iniziò a indicare il diritto della Chiesa solo dal secolo VIII e nel divenire della storia il diritto della Chiesa aveva preso diverse denominazioni: ius sacrum, per distinguerlo da quello profano cioè lo ius civile, ma con questo senso il diritto canonico non è l’unico ius sacrum (quello dell’islam, degli ebrei); ius decretalium, usato nell’età medievale perché il legislatore della Chiesa emanava le leggi nella forma delle “decretali”; ius pontificium, ma il diritto canonico non è posto solo dal Papa (legislatore massimo) ma anche da altri legislatori come il concilio ecumenico, inoltre nel diritto canonico è molto importante la consuetudine; ius ecclesiasticum è un espressione polisemica, in senso proprio indica quella parte di diritto canonico che non è di origine divina quindi le norme di origine umana che possono mutare nel tempo, mentre le norme di origine divina non possono mutare. Infatti una particolarità del diritto canonico è di durare da 2000 anni in modo continuo, ininterrottamente, proprio perché non è un diritto di territorio o di lingua ma si rivolge a vari popoli ed essendo in parte di origine divina non può mutare. Si deve notare, comunque, che dopo il Concilio Vaticano II (1962 – 1965) per indicare il diritto della Chiesa si preferisce l’espressione “diritto ecclesiale” o “ius ecclesiale” al posto di “diritto canonico” perché sembra rispondere meglio alle sue ragioni fondative.
Dal punto di vista terminologico, invece, bisogna fare ulteriori distinzioni basandoci sulle fonti. Si suole parlare infatti di diritto meramente ecclesiastico (ius mere ecclesiasticum) o di diritto umano (ius humanarum) per le norme poste dalla competente autorità ecclesiastica; distinto dal diritto divino naturale o diritto naturale (ius naturale) per l’insieme delle norme poste all’atto della creazione e comuni a tutti gli uomini; distinto ancora dal diritto divino positivo (ius divinum positivum) promulgato per mezzo della Rivelazione e contenuto nella Sacra Scrittura e nella Tradizione. Quindi il diritto della Chiesa ha un duplice elemento: umano e divino.
Nel linguaggio giuridico l’espressione “diritto ecclesiastico” ha un altro significato: le norme poste dal legislatore statale a disciplina del fenomeno religioso e delle confessioni religiose. In questo senso sta a significare una parte del diritto statale, una branca del diritto pubblico inteso come insieme di norme che riguardano il fenomeno religioso e come la relativa scienza che le pone ad oggetto di studio.