In forza di quanto disposto dal d.p.r. n. 1199 del 1971, il ricorso gerarchico deve essere diretto all’organo gerarchicamente sovraordinato a quello che ha emanato l’atto impugnato e deve essere proposto entro trenta giorni dalla notificazione, dalla comunicazione, dalla pubblicazione o comunque dalla piena conoscenza dell’atto da impugnare (art. 2). Entro questo termine il ricorso deve essere notificato all’organo contro cui è diretto o all’organo che ha emesso l’atto impugnato. Il ricorso erroneamente rivolto ad un organo diverso da quello competente, ma appartenente alla stessa amministrazione di quest’ultimo, non è irricevibile: l’organo che lo ha ricevuto, infatti, provvede di ufficio a trasmetterlo all’organo competente. Il ricorso gerarchico non sospende l’efficacia del provvedimento impugnato, ma per gravi motivi l’organo competente per la decisione può sospenderne l’esecuzione (art. 3). Dopo aver acquisito le eventuali deduzioni dei controinteressati e aver effettuato gli adempimento istruttori opportuni, il ricorso viene deciso dall’organo competente, il quale, nel caso di accoglimento, esercita anche poteri rinnovatori.

Meritano di essere considerati con maggiore attenzione i seguenti punti:

  • l’individuazione dell’organo sovraordinato: ai sensi dell’art. 1, il ricorso deve essere diretto all’organo immediatamente sovraordinato (gerarchia esterna) rispetto a quello di primo grado. Se una legge speciale non prevede diversamente, quindi, la competenza a decidere il ricorso gerarchico non spetta all’organo situato al vertice dell’amministrazione;
  • tutela del contraddittorio: il ricorrente non è tenuto a dare notizia del ricorso all’organo che ha emesso l’atto di primo grado, tutelato ontologicamente dall’essere il ricorso diretto all’organo sovraordinato, o ai controinteressati, che devono essere informati dall’organo adito (tutela parziale del contraddittorio);
  • istruttoria: ai sensi dell’art. 4, l’amministrazione può disporre tutti gli accertamenti utili ai fini della decisione. A prescindere dai limiti generali posti all’amministrazione per l’esercizio dei suoi poteri istruttori (es. divieto di mezzi istruttori che incidano su diritti garantiti a livello costituzionale), si ritiene che l’amministrazione possa disporre qualsiasi mezzo istruttorio, a patto che esso sia congruente con le questioni sollevate nel ricorso. Sulle parti non opera alcun onere di prova, dal momento che la verifica dei fatti segnalati dalla parti è a carica esclusivo dell’amministrazione;
  • decisione: l’art. 5 individua i contenuti possibili della decisione del ricorso gerarchico, ponendo in questo modo in evidenza il carattere rinnovatorio del ricorso gerarchico. In passato il ricorso gerarchico era stato configurato come una sorta di strumento preordinato ad ottenere un nuovo esercizio di poteri di amministrazione attiva. La formulazione tassativa dell’art. 5, tuttavia, esclude questo genere di interpretazione: i poteri dell’amministrazione attiva dell’organo adito non sono esclusi, ma deve essere assicurata una chiara distinzione tra poteri di amministrazione attiva e poteri di decisione del ricorso, in modo che quest’ultima non diventi essa stessa un atto di amministrazione attiva;
  • rapporti con il ricorso giurisdizionale: se nei confronti dello stesso atto viene proposto, dal medesimo cittadino, sia il ricorso gerarchico che quello giurisdizionale, secondo la giurisprudenza prevarrebbe il ricorso giurisdizionale. Questa tesi, tuttavia, non sembra considerare l’ipotesi della contemporanea presenza di due ricorsi aventi contenuti diversi. Ritenere che anche in questo caso si abbia un’incompatibilità tra i due ricorsi comporterebbe effetti negativi per il cittadino che abbia proposto ricorso in sede gerarchica;
  • rimedi contro la decisione: la decisione del ricorso costituisce un provvedimento definitivo, impugnabile con ricorso straordinario oppure con ricorso al giudice amministrativo, qualora sussista una lesione di interessi legittimi. La giurisprudenza sostiene che il ricorso proposto contro la decisione di rigetto di un ricorso gerarchico non può contemplare motivi di impugnazione per vizi dell’atto di primo grado non dedotti in sede gerarchica. La dottrina prevalente è contraria a questa impostazione, sottolineando particolarmente gli elementi di diversità fra tutela gerarchica e tutela giurisdizionale.
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