I giudici ordinari sono costituiti dal complesso giurisdizionale denominato ordinamento giudiziario, comprendente il giudice di pace, il tribunale, la corte d’appello, la corte di cassazione; per quanto riguarda la giustizia penale ricordiamo poi anche le corti di assise e le corti di assise d’appello. La figura del pretore è stata soppressa e le sue competenze trasferite al giudice di pace e tribunale, il quale giudica in composizione monocratica ovvero collegiale.

Prima di esaminare i mezzi di giustizia amministrativa che il vigente ordinamento accorda, è opportuno ripercorrere brevemente l’evoluzione storica attraverso la quale si è pervenuti a tale ordinamento.

I Governi assoluti non conoscevano un sistema di giustizia amministrativa. Nell’editto di St. Germain di Luigi XIII, datato 1641, si trova esposto il principio per cui “le corti giudiziarie non sono state istituite che per rendere giustizia ai nostri sudditi”, di conseguenza ad esse è interdetto “di conoscere di qualsiasi affare possa concernere lo Stato, la sua amministrazione o il suo governo”. Quest’ultima materia, infatti, non appartiene che al principe.

Solo più tardi ed eccezionalmente, i principi consentirono la chiamata in giudizio della loro Amministrazione soprattutto per controversie inerenti alla riscossione dei tributi, devolvendo di massima tali controversie a organi contenziosi speciali come la Corte dei Conti. Per la generalità delle questioni, e in particolare per quelle relativa all’esercizio dei pubblici poteri, i sudditi non avevano altro mezzo che quello di rivolgersi allo stesso principe al fine di ottenere una pronuncia in via di grazia.

La rivoluzione francese non offrì ai cittadini maggiori garanzie. Mossa dall’intento di difendere la giovane repubblica, e concependo in modo rigoroso il principio della divisione dei poteri – che cominciava ad avere le prime applicazioni – la legislazione di quegli anni, in quei pochi casi, quasi tutti estranei ai rapporti di diritto pubblico, in cui ammise una procedura contenziosa a tutela dei cittadini nei confronti dell’amministrazione, affidò la soluzione delle controversie agli stessi organi amministrativi.

La prima base di una giustizia amministrativa in senso moderno risale ai primi anni dell’800. Se da un lato, infatti, si devolvevano ai tribunali ordinari le questioni di diritto privato e certe questioni tributarie, dall’altro si attribuì ad alcuni collegi amministrativi locali numerose controversie inerenti all’esercizio dei pubblici poteri, riconoscendo loro, oltre quella amministrativa una vera e propria potestà giurisdizionale. Ad altri collegi si conferirono competenze giurisdizionali in questioni particolari. Si accordò al Consiglio di Stato addirittura una potestà di carattere generale in ordine alla legittimità dei provvedimenti ministeriali, all’impugnative di pronunce dei Consigli di Prefettura e ai conflitti di attribuzioni tra tribunali e P.A.

Sorse così il sistema del contenzioso amministrativo nel quale le controversie di diritto amministrativo venivano attribuite a speciali organi.

Il sistema del contenzioso amministrativo di tipo francese era stato introdotto in Italia dalla legislazione napoleonica e durò fino all’unificazione della legislazione amministrativa operata dalla legge 2248/1865, l’allegato E della quale, in buona parte tuttora in vigore, è dedicato all’abolizione del contenzioso amministrativo.

Ci troviamo dinanzi ad uno dei pilastri fondamentali, sui quali ancora oggi poggia il sistema della giustizia amministrativa.

Il sistema del contenzioso amministrativo aveva avuto la funzione di dare un giudice a questioni di diritto pubblico che sotto i regimi assoluti non ne avevano mai avuto. Tuttavia esso presentava un inconveniente in base a questo sistema, infatti, i giudici provenivano dall’amministrazione ed erano inquadrati nell’amministrazione; essi pertanto erano organi dell’amministrazione, scelti dalla stessa amministrazione e come tali privi del carattere di terzietà, neutralità ed imparzialità che dovrebbe contraddistinguere un organo decidente.

Ciò era stato giustificato, da un lato, con l’intento che i giudici degli affari amministrativi avessero quella preparazione specifica che le loro attribuzioni richiedevano, dall’altro con l’intento di evitare l’ingerenza del Potere giudiziario nel campo d’azione del Potere esecutivo.

Il rafforzamento delle idee liberali maturò nei legislatori dello Stato unificato la convinzione dell’opportunità che l’azione della P.A., pur con le dovute cautele, venisse assoggettata al sindacato dei giudici ordinari, giudici che per la loro posizione di maggiore indipendenza erano in grado di fornire più valide garanzie di obiettività.

Sulla base di questa esigenza venne emanata la legge n. 2248 del 1865, un testo normativo che ebbe la stessa rilevanza che, nell’800, in altri settori del diritto, hanno avuto le costituzioni e le grandi codificazioni: al pari di queste anche la legge del 1865 era diretta ad assicurare le libertà politiche e civili dell’individuo contro le indebite ingerenze del potere.

Con la legge del 1865, denominata anche “legge abolitiva del contenzioso amministrativo” furono aboliti i tribunali del contenzioso amministrativo e fu attribuita la giurisdizione in materia di diritti soggettivi ai tribunali ordinari, prevedendo la possibilità di far valere interessi legittimi solo attraverso i ricorsi amministrativi.

L’art. 2 L.A.C. stabiliva quali erano le controversie attribuite al GIUDICE ORDINARIO ossia tutte le cause per contravvenzioni e tutte le materie nelle quali si faccia questione di un diritto civile o politico, comunque vi fosse interessata la P.A. e ancorché siano emanati provvedimenti del potere esecutivo o dell’autorità amministrativa”.

L’intenzione del legislatore, quindi, era quella di attribuire una tutela giurisdizionale completa e perciò la giurisdizione ordinaria venne individuata comunque potesse essere stata utilizzata la potestà pubblica e cioè anche nei casi in cui fosse stato emanato un provvedimento amministrativo. La norma in realtà garantiva una tutela giurisdizionale piena unicamente ai diritti soggettivi, ma lasciava fuori numerose controversie contro la P.A., controversie che potevano essere risolte solo attraverso lo strumento dei ricorsi amministrativi.

Tuttavia, l’evoluzione successiva della giurisprudenza fu condizionata dal peso attribuito al ruolo del provvedimento amministrativo.

Intorno alla fine dell’800, infatti si fece strada l’idea che il provvedimento amministrativo, nell’ipotesi in cui intervenga e sia espressione di un potere amministrativo che in effetti esiste, sia comunque idoneo ad incidere sulla posizione giuridica di diritto soggettivo, degradandola ad interesse legittimo: così ad es. se interviene un decreto di espropriazione, ancorché in ipotesi emanato da autorità incompetente (il Prefetto in luogo del Ministro), il provvedimento si ritiene comunque idoneo a far perdere al privato il diritto di proprietà e a far sorgere in capo al medesimo soggetto l’interesse legittimo alla regolarità dell’attività della P.A. In questo caso essendo venuto meno il diritto soggettivo, non vi è più la situazione legittimante che consente il ricorso al GIUDICE ORDINARIO

Questa impostazione è stata seguita dalla giurisprudenza con assoluto rigore ad eccezione di quelle ipotesi nelle quali l’attività dell’amministrazione possa considerarsi compiuta in assenza di titolo, e cioè in carenza di potere: se l’amministrazione è carente di potere il provvedimento eventualmente adottato è nullo e come tale inidoneo a provocare una degradazione del diritto soggettivo. Fermo restando che l’emanazione di un provvedimento in carenza di potere non è certo una fattispecie frequente, in quanto, di norma, l’amministrazione allorché interviene, il potere lo possiede.

Questo orientamento comporta che, nella realtà, allorquando è emanato un provvedimento amministrativo, in rare ipotesi si possa individuare come sussistente la giurisdizione ordinaria nei confronti della P.A.

Sulla base del medesimo orientamento poi, la giurisprudenza ha costruito la figura DELL’ATTO AMMINISTRATIVO IN SENSO MATERIALE ossia del comportamento dell’amministrazione che, ancorché non formalizzato in un vero e proprio provvedimento, sia però facilmente riconducibile all’esercizio di un potere esistente nell’ordinamento.

Attraverso il concetto di atto amministrativo materiale, la giurisprudenza ha interpretato in modo estensivo il limite che la LAC poneva in relazione alla possibilità per il GIUDICE ORDINARIO di intervenire sul provvedimento amministrativo: infatti, la LAC, se da un lato attribuiva al GIUDICE ORDINARIO la giurisdizione in caso di lesione di diritti soggettivi pubblici o privati anche nelle ipotesi di emanazione di un provvedimento amministrativo, dall’altro impediva espressamente al giudice ordinario di poter intervenire sul provvedimento annullandolo o modificandolo.

La giurisprudenza ha ritenuto che questo divieto le impedisca di intervenire sull’attività amministrativa vera e propria, in ogni caso in cui questa attività sia comunque riconducibile ad un potere ed abbia perciò le caratteristiche proprie della sovraordinazione.

Tutte queste affermazioni ci portano a concludere che le ipotesi nelle quali la giurisdizione del GIUDICE ORDINARIO è rimasta effettivamente esistente nei confronti della P.A. sono rimaste alquanto limitate. Le interpretazioni giurisprudenziali non hanno fatto altro che determinare un notevole ampliamento della giurisdizione del G.A.

L’unica ipotesi normalmente verificabile di giurisdizione ordinaria nei confronti della P.A. è quella nella quale la controversia coinvolga due privati e richieda soltanto in via incidentale un esame dell’atto amministrativo ovvero l’ipotesi in cui l’azione venga promossa nei confronti della P.A. deducendosi la nullità del provvedimento.

Ricordiamo che vi sono dei casi in cui la degradazione del diritto soggettivo ad interesse legittimo non è in grado di operare. Il riferimento è alle ipotesi in cui il cittadino faccia valere dei diritti fondamentali ossia dei diritti che gli sono riconosciuti dalla Carta costituzionale e rispetto ai quali l’amministrazione non può godere di alcun potere di disposizione: tipico diritto fondamentale azionabile anche nei confronti dell’amministrazione è il diritto alla salute.

Ad es. sarà riconosciuta al cittadino la possibilità di agire nei confronti della P.A. per ottenere la rimozione di una attività o di un’opera pubblica lesiva del suo diritto alla salute, indipendentemente dal fatto che l’amministrazione, per avviare l’attività o per realizzare l’opera pubblica abbia adottato dei provvedimenti.

Il riparto di giurisdizione, così ricostruito sulla base del disposto della LAC, risulta confermato dalla Carta fondamentale che ha attribuito giurisdizione nei confronti dell’amministrazione sia al GIUDICE ORDINARIO che al G.A. ripartendo la giurisdizione sulla base della posizione soggettiva e pertanto riconoscendo l’esistenza:

  • della giurisdizione ordinaria allorché si faccia questione della lesione di un diritto soggettivo;
  • della giurisdizione amministrativa allorché si faccia questione della lesione di un interesse legittimo.

Non mancano peraltro delle eccezioni. Vi sono dei casi in cui la cognizione è attribuita ad altri giudici ancorché la controversia verta in materia di diritti soggettivi in deroga all’art. 2 LAC:

  • i casi di materie attribuite alla giurisdizione di giudici speciali, cioè la giurisdizione della Corte dei Conti in materia di pensioni e la giurisdizione delle Commissioni tributarie;
  • i casi di giurisdizione esclusiva del G.A.;
  • i casi di arbitrati obbligatori.

Spesso sono previste nei contratti conclusi dalla P.A. delle clausole in base alle quali la soluzione delle relative controversie è rimessa obbligatoriamente a collegi arbitrali, in deroga alla competenza del GIUDICE ORDINARIO Tali arbitrati, tuttavia, sono stati ritenuti dalla Corte costituzionale incompatibili con gli artt. 24 e 102 Cost., per cui le disposizioni in materia sono destinate a venire meno.

Così come vi sono dei casi in cui la legge, in deroga all’art. 4 LAC, conferisce al GIUDICE ORDINARIO una “giurisdizione piena” la quale comporta non solo la possibilità di pronunciare su tutti gli aspetti del rapporto giuridico tra P.A. e amministrato, e quindi anche nel campo di eventuali posizioni soggettive diverse dai diritti soggettivi, ma anche quella di intervenire sul provvedimento in modo caducatorio o modificativo.

Derogano al principio dell’art. 4 LAC i poteri attribuiti dalla legge al GIUDICE ORDINARIO in materia di:

  1. trascrizione del matrimonio;
  2. rettifica dei certificati di stato civile;
  3. cancellazione di ipoteca;
  4. provvedimenti dell’autorità per la privacy informatica ex art. 152 d.lgs. 196/2003;
  5. cessazione della condotta mono offensiva, comportante la rimozione da parte del Tribunale dell’atto lesivo degli interessi sindacali (art. 28 Statuto dei lavoratori);
  6. tradizionalmente è affidata al GIUDICE ORDINARIO la tutela giurisdizionale nei confronti degli atti degli ordini professionali che incidono sulla posizione degli iscritti, talvolta mediante l’esercizio di poteri che sarebbero da qualificare come veri e propri poteri pubblicistici, quali ad es. i poteri disciplinari; tale attribuzione trova la sua giustificazione, oltre che in una tradizione storica, nella volontà di riconoscere una particolare autonomia a determinate attività professionali.
  7. analogamente si è attribuita, in modo sempre più esteso, al GIUDICE ORDINARIO la tutela nei confronti delle sanzioni amministrative di carattere pecuniario, considerate di per sé afflittive, che impongono il pagamento di una somma di denaro a seguito dell’accertamento di una responsabilità.

Parte della dottrina, a riguardo, ritiene che per tutte le sanzioni amministrative pecuniarie vi sia, in linea di massima, la sussistenza della giurisdizione ordinaria: il giudice non incontra alcun limite nell’esercizio dei suoi poteri nei confronti della P.A. “facendosi sempre questione di un diritto soggettivo”.

Questo perché l’orientamento in esame dottrina sostiene che nel campo delle sanzioni amministrative pecuniarie – data l’incidenza di queste nella sfera patrimoniale – non esisterebbero interessi legittimi, dovendo la discrezionalità di cui dispone l’’amministrazione, in ordine alla misura della sanzione da applicare, essere considerata del medesimo tipo di quella esercitata dal giudice penale nell’applicazione della pena e non essendo invece correlata con la valutazione di interessi pubblici.

Si rinviene una deroga a questa giurisdizione in materia edilizia e urbanistica, ove sussiste la giurisdizione esclusiva del G.A.

Diverso è il caso delle sanzioni amministrative ripristinatorie ossia di quegli atti che si prefiggono come scopo diretto il ripristino della legalità violata.

La competenza del GIUDICE ORDINARIO nei confronti della P.A. è quindi determinata dall’art. 2 LAC in base al quale sono devolute alla giurisdizione ordinaria tutte le cause per contravvenzioni e tutte le materie nelle quali si faccia questione di un diritto civile o politico, comunque vi possa essere interessata la P.A. e ancorchè siano emanati provvedimenti del potere esecutivo o dell’autorità amministrativa”.

Pertanto, rientrano nella giurisdizione del GIUDICE ORDINARIO:

a) le cause per contravvenzioni: ovvero tutte le violazioni della legge penale;

b) tutte le materie nelle quali si faccia questione di un diritto civile o politico: l’espressione diritto politico va intesa nel senso di diritti pubblico. Di conseguenza la cognizione del GIUDICE ORDINARIO si estende a tutti i diritti soggettivi, siano essi pubblici o privati. Fanno eccezione le materie attribuite alla giurisdizione esclusiva del TAR;

c) comunque vi possa essere interessata la P.A.: ciò significa che il GIUDICE ORDINARIO è competente non solo nell’ipotesi in cui la P.A. sia parte in causa ma anche quando la controversia si svolga tra altri soggetti intorno a questioni che comunque interessano l’azione amministrativa;

d) ancorché siano stati emanati provvedimenti del potere esecutivo o dell’autorità amministrativa: con tale inciso si è voluta sottolineare l’irrilevanza del fatto che ci si trovi dinanzi ad una atto autoritativo della P.A. ovvero dinanzi ad una atto di diritto privato.

E’ assolutamente irrilevante, quindi, che la P.A. abbia agito o meno in veste autoritativa. Il sindacato del GIUDICE ORDINARIO non si ferma, dunque, soltanto agli atti di diritto privato della P.A., ma si estende anche agli atti amministrativi in esecuzione dei quali sia stato leso un diritto soggettivo.

Pertanto, gli artt. 2, 4 e 5 della LAC individuano:

– l’ambito di giurisdizione spettante al giudice ordinario in relazione alle controversie che coinvolgono una pubblica amministrazione

– i poteri del giudice

Con riferimento ai poteri del giudice, l’art. 4, co. P precisa: “quando la contestazione cade sopra un diritto che si pretende leso da un atto dell’autorità amministrativa, i tribunali si limiteranno a conoscere degli effetti dell’atto stesso in relazione all’oggetto dedotto in giudizio” à poteri di cognizione del giudice ordinario.

Art. 4 co. 2: “L’atto amministrativo non potrà essere revocato modificato se non con il ricorso alle competenti autorità amministrative che si conformeranno al giudicato in quanto riguarda il caso deciso” à poteri di decisione,

Con riferimento all’atto, la pronuncia del giudice non ha efficacia erga omnes, ma vale soltanto per il caso deciso ed inter partes, perché il giudice si limita a conoscere degli effetti dell’atto in relazione all’oggetto dedotto in giudizio.

Il giudizio di cui tale norma si occupa, difatti, ha come oggetto la lesione del diritto e non la legittimità dell’atto, che rileva come veicolo di lesione del diritto stesso.

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