Provvedimenti amministrativi e altri enti di pubblici poteri

Gli atti posti in essere da un organo costituzionale nell’esercizio della funzione di governo e, quindi, nell’attuazione dell’indirizzo politico (costituzionale o di maggioranza) sono atti politici, come quelli con cui il governo regola le relazioni internazionali o esercita i poteri conferitigli dai regolamenti parlamentari: non essendo atti di svolgimento di una funzione amministrativa e di esercizio di un potere amministrativo, essi sono sottratti al regime tipico del provvedimento amministrativo.

La nozione, peraltro, è intesa dalla giurisprudenza in modo restrittivo, per ammettere i ricorsi contro atti di autorità politiche che incidano in modo immediato sugli interessi dei privati.

Invece i provvedimenti di nomina o trasferimento di alti dirigenti amministrativi (quali i prefetti e gli ambasciatori) o il decreto di scioglimento di un consiglio comunale sono atti di alta amministrazione. Tali atti sottostanno al regime del provvedimento amministrativo e vengono definiti atti di suprema direzione della pubblica amministrazione, di raccordo della funzione di indirizzo politico con quella amministrativa. La giurisprudenza fa ora riferimento a questa nozione, per marcare l’ampia discrezionalità di alcuni tipi di atto, ora – all’inverso – per negare la natura di atto politico ad atti di altri tipi e, quindi, per ammettere i ricorsi contro di essi.

 

Provvedimenti amministrativi e atti privati

Non sono soggetti al regime del provvedimento gli atti di esercizio di poteri privati (come il recesso da un contratto e la costituzione in mora del debitore) posti in essere dalle pubbliche amministrazioni, non molto diversamente che dai soggetti privati. Ciò vale anche per atti che, fino a tempi molto recenti, erano giustamente considerati provvedimenti, come quelli inerenti al rapporto di lavoro con le pubbliche amministrazioni: a seguito della contrattualizzazione della disciplina e, soprattutto, della devoluzione delle relative controversie alla giurisdizione ordinaria, gli atti delle pubbliche amministrazioni come datori di lavoro non hanno più un regime differenziato rispetto a quelli dei datori di lavoro privati.

Non a caso, da alcuni anni si pone anche il problema di qualificare determinati atti emanati da soggetti privati come provvedimenti e, soprattutto, dell’applicazione a essi del regime tipico del provvedimento. Inoltre, la giurisprudenza ammette la giurisdizione del giudice amministrativo sugli atti emanati dai concessionari di opere pubbliche e di servizi pubblici in sede di scelta dell’altro contraente. Ma anche in altre materie la legge assoggetta alla giurisdizione amministrativa gli atti ”delle amministrazioni pubbliche e dei soggetti alle stesse equiparati” (art. 34, d.lgs. n. 80/1998).

La scienza giuridica tende a rifiutare la qualificazione di questi atti come provvedimenti, ritenendo che un provvedimento amministrativo possa essere emanato solo da un soggetto pubblico.

Occorre però considerare la pluralità di nozioni di pubblica amministrazione: la mobilità dei confini della pubblica amministrazione si riflette fatalmente sui confini del provvedimento amministrativo.

Il problema della qualificazione, comunque, è poco importante, mentre possono porsi delicati problemi di regime giuridico, come quello dell’applicazione a questi atti delle previsioni – o di singole previsioni – della legge n. 241/1990 e quello della loro sindacabilità per eccesso di potere.

 

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