Le risorse pubbliche non sono nella disponibilità arbitraria dei funzionari: questo determina una configurazione diversa, rispetto ai soggetti privati, delle regole di contabilità elaborate dall’economia aziendale. Dalle scienze economiche abbiamo 3 tipi di contabilità: finanziaria(essa esprime l’attività gestionale in termini di entrate-uscite, misurando i flussi di denaro speso o incassato per effetto dell’attività svolta nel periodo considerato),patrimoniale(esprime la ricchezza di un ente in certo momento, consentendo di individuare un aumento o deupaperamento del patrimonio di un soggetto per effetto dell’attività svolta in un periodo considerato), economica(esprime l’attività gestionale in termini di costi-ricavi, indicando quindi qual è il costo sostenuto, in termini di consumo di fattori produttivi, per produrre un certo ricavo per individuare a quale attività dell’ente nel periodo considerato è dovuto un arricchimento o deupaperamento). Rispetto al bilancio effettuato dai soggetti privati(la cui caratteristica è quella di avere funzione conoscitiva), il bilancio pubblico ha un quid pluris: rappresenta il fatto che il dirigente può spendere nei limiti del rispettivo stanziamento del bilancio(c.d. “bilancio preventivo che autorizza la spesa”). Quindi sono legittime solo le spese previste in bilancio, quelle fuori da esso rappresentano eccezione, ammesse solo a certe condizioni. Per le entrate, l’ente può riscuoterle anche se non previste nel bilancio. La contabilità degli enti pubblici è solitamente di tipo finanziario. Il bilancio è di solito annuale, la legge può chiedere cn funzione solo amministrativa un bilancio pluriennale. Alcuni enti devono adottare un bilancio di competenza(in esso si registrano in bilancio le obbligazioni riferendosi al momento della loro esistenza, indipendentemente da quando le relative somme saranno pagate), altri enti un bilancio di cassa(esso registra le obbligazioni Prescindendo dal loro momento genetico, ma facendo riferimento a quando verranno in scadenza). I pagamenti e le riscossioni che l’ente svolge durante l’anno per estinguere le obbligazioni Sono solo un’attività di esecuzione del bilancio preventivo, sottoposte a uno specificico procedimento. Le fasi del procedimento contabile della spesa sono: l’impegno (esso è l’atto con cui il dirigente accerta che un’obbligazione. Passiva a carico dell’ente è sorta, vincolando nelle note di spesa le somme necessarie per estinguere l’obbligazione .), la liquidazione (in essa si quantifica precisamente l’ammontare dell’obbligazione. Da pagare, divenuta liquida), l’ordinazione(con questo atto si impartisce al tesoriere dell’ente l’ordine di pagare, emettendo il c.d. “mandato di pagamento”), il pagamento(esso è la materiale erogazione della somma). Le fasi del procedimento contabile di entrata sono: l’accertamento (è atto cn cui il dirigente accerta la nascita di un’obbligazione. Attiva verso l’ente, individuando il soggetto debitore), la riscossione (è atto cn cui le somme dovute dall’ente sono riscosse da parte del soggetto incaricato alla riscossione, che libera il debitore. Verso l’amministrazione), il versamento (con esso l’incaricato alla riscossione fa affluire le somme riscosse presso il tesoriere dell’ente, che farà i pagamenti). Non tutti gli enti pubblici redigono un bilancio preventivo: società pubbliche, enti pubblici economici in quanto sono sottoposti alle regole del c.c. in quanto imprese. Tuttavia abbiamo ex legge es. aziende ospedaliere e sanitarie che devono fare il bilancio, anche le aziende pubbliche di assistenza alle persone. I vincoli imposti dal bilancio preventivo incidono sulla funzionalità dell’attività amministrativa, tanto che la disciplina è da sempre sospesa tra polo della garanzia (quindi attività amministrativa più rigida) e polo dell’efficienza (quindi maggiore elasticità dell’attività). Fino agli anni ’90 ha prevalso l’esigenza di garanzia, ma le riforme legate alla logica del risultato di quegli anni hanno creato modelli dotati di un più elevato grado di elasticità. Si è adottata fra l’altro, accanto alla contabilità finanziaria, la contabilità di tipo economico, + idonea a verificare i risultati raggiunti e individuare eventuali responsabilità dirigenziali. Questo ha richiesto una riforma della struttura del bilancio pubblico (l.297/1999): si è distinto il bilancio politico (gestito dall’organo assembleare dell’ente) e il bilancio amministrativo (gestito dagli organi di Governo .). ciò ha portato maggiore elasticità. Il bilancio amministrativo è stato poi differentemente congegnato rispetto al passato, per consentire all’organo politico di conoscere i costi dell’attività e verificare i risultati raggiunti dai dirigenti rispetto agli obiettivi/risorse assegnate. Esso è redatto secondo una contabilità di tipo economica, al cui interno è stato introdotto il c.d. “budget personale”, a disposizione del dirigente per il raggiungimento degli obiettivi assegnati. A seguito dei vari interventi legislativi, possiamo però dire che il regime contabile che ogni ente deve adottare è oggi indicato nella normativa contabile che lo riguarda. Il nuovo titolo V Cost. ha riconosciuto allo Stato la competenza esclusiva a disciplinare solo il suo sistema contabile, quindi le regioni possono fare più normative. Tutto ciò ha provocato regimi contabili non uniformi, che pongono il problema dell’armonizzazione dei bilanci pubblici. In questa direzione va la l.196/2009 che delega il governo ad adottare uno o più d.lgs. per armonizzare sistemi contabili e schemi di bilancio delle amministrazioni pubbliche, escludendo regioni ed enti locali.

A questo punto importate è anche analizzare i vincoli ai bilanci pubblici.

I bilanci pubblici sono sempre più sottoposti a limitazioni nella quantità di risorse a disposizione e nella decisione di come spenderle. Incidono significativamente sulle decisioni di bilancio i limiti derivanti dall’adesione all’UE: l’Euro è, infatti, incompatibile con un deficit eccessivo del bilancio che trasferirebbe l’onere sul sistema economico degli altri paesi. L’equilibrio della finanza pubblica degli stati membri rappresenta un obiettivo primario della normativa UE perché contribuisce a garantire stabilità dei prezzi e determina condizioni favorevoli alla crescita economica. Il 126 dell’ex TCE (ora “Trattato sul funzionamento dell’UE) prevede che gli stati membri devono evitare disavanzi pubblici eccessivi; che il rapporto deficit/PIL non può superare il 3%, anche se la crisi ha reso il vincolo meno stringente, che il rapporto debito pubblico/PIL può essere max 60%. La disciplina di dettaglio è fissata dal c.d. “Patto di stabilità e crescita”. L’UE individua i soggetti compresi nel settore amministrazioni pubbliche, quando i ricavi provenienti dalla vendita di beni e servizi coprano più del 50% dei costi di produzione. Il soggetto in quel caso entra nell’aggregato definito come “SEC” (Sistema UE dei conti nazionali e regionali della Comunità). L’ISTAT decide quali enti vi entrano e quali no. Commissione UE e Consiglio valutano evoluzione dei bilanci e debito pubblico degli stati: se c’è disavanzo eccessivo, lo Stato può esser soggetto a sanzione non superiore al 5% del PIL. Quindi ora lo stato non ha piena autonomia in ordine alle decisioni di spesa. Riguardo a regioni, provincie, comuni, città metropolitane. la Costituzione sancisce la loro autonomia finanziaria di entrata e di spesa.

Lo Stato però impone vincoli di spesa per le regioni, provincie, comuni, città Met. Ci si chiede come sia conciliabile ciò con l’espressa previsione ex 119 Cost. della loro autonomia patrimoniale. La risposta è stata ricercata da corte Cost. ex s.417/2005 nella distribuzione delle competenze tra stato e regioni, per verificare l’esistenza del titolo di legittimazione dell’intervento statale nell’imposizione dei vincoli. La legittimazione è stata trovata nel 117 3°, che dà allo stato competenza del”coordinamento della finanza pubblica e dell’armonizzazione dei bilanci”. E’ però una competenza concorrente: Stato fissa i principi, regioni le norme di dettaglio. Ex corte Cost. i vincoli sono legittimi solo se generali e se incidono complessivamente sul saldo e non invece sulla singola voce di spesa. Questa giurisprudenza è servita per creare il c.d.”Patto di stabilità interno” (dal 2000): con esso si indica l’insieme dei vincoli alla spesa individuati con legge statale in capo a regioni, comuni ecc. per evitare una spesa pubblica fuori controllo e le relative conseguenze in sede UE. Gli enti che rispettano il patto sono considerati virtuosi e di solito sottoposti a misure di premialità. Oggi il premio è una sorta di abbuono sul reale saldo di bilancio usato per l’anno successivo ai fini del rispetto del patto: in pratica gli enti virtuosi avranno maggior capacità di spesa.

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