Queste di cui abbiamo parlato finora sono posizioni giuridiche dei soggetti definiti dai loro reciproci rapporti e nell’ambito di questi.

Ma i soggetti non si trovano soltanto in rapporto tra di loro, bensì, anche in rapporto con l’ordinamento giuridico ed in relazione ad esso possono trovarsi in varie situazioni.

Quando un soggetto ha la possibilità di usare di un potere per soddisfare un proprio interesse e cioè per determinare un proprio comportamento, egli si trova in relazione a questo potere e rispetto agli altri soggetti in una situazione di supremazia. Egli può nel proprio interesse usare del potere mentre gli altri soggetti non possono che essere destinatari di quel potere: e si trovano perciò in una situazione di soggezione.

Se si pensa al campo del diritto pubblico non è difficile vedere come l’amministrazione si trovi in relazione ai poteri in situazione di supremazia mentre i cittadini sono in situazione di soggezione.

Non che tale soggezione implichi una condizione di sfavore: il provvedimento può anche essere favorevole per il cittadino ma questi è solo destinatario del comando giuridico e non può che sottostare a quel comando.

Questa impostazione non è destinata a venir meno nei casi di partecipazione del cittadino all’esercizio dei poteri amministrativi perché si tratta pur sempre dell’esercizio di un potere d’impero anche se all’uso di quel potere concorre il cittadino che ne è destinatario.

Anche nel diritto privato vi sono situazioni di questo genere ma esse si rendono evidenti soprattutto nei rapporti giuridici relativi.

Queste situazioni che si radicano in un rapporto relativo sia privato che pubblico si chiamano di supremazia o di soggezione speciale e si contrappongono alle altre, che si chiamano di supremazia o di soggezione generale.

Dal punto di vista di colui che si trova in situazione di supremazia, osserviamo che se talvolta egli è libero di usare o meno del potere, altre volte egli non può non usare del potere: ciò dipende dalle caratteristiche stesse del potere. Quando la norma non precisa le condizioni per l’esercizio del potere ma si rimette in qualche modo al soggetto, si parla di potere libero.

Ma se invece la norma precisa in maniera vincolante quando occorre esercitare quel potere che essa stessa contiene si parla di potere vincolato o di dovere.

Il dovere dunque è un modo di essere del potere e perciò è soltanto una specie di quell’elemento giuridico obbiettivo che è il potere.

Dal punto di vista di colui che si trova in una situazione di soggezione, osserviamo come questa soggezione si accompagni sempre all’aspettativa che il potere sarà esercitato in modo legittimato o perfino opportuno. È però da notare però che non sempre l’ordinamento giuridico da rilievo ad una tale aspettativa la quale resta perciò un semplice interesse come tale sprovvisto di ogni tutela immediata e perfino mediata.

Nel diritto amministrativo questa aspettativa trova una precisa tutela giuridica e non rimane un puro interesse semplice ma assume una rilevanza esterna che le consente una vita autonoma rispetto al diritto soggettivo.

Anche se l’amministrazione viola o sopprime un diritto soggettivo del cittadino, permane in capo a quest’ultimo il potere di azione derivante dalla tutela, garantitagli dall’ordinamento, della sua pretesa al buon uso dei potere da parte della stessa.

Le cose dette fin qui pongono in evidenza tre punti:

  1. in primo luogo che l’esistenza dell’interesse legittimo è sempre condizionata alla preesistenza di un diritto soggettivo
  2. in secondo luogo che l’interesse legittimo è una vera e propria situazione soggettiva e non una mera posizione processuale
  3. infine che la tutela di una siffatta situazione giuridica soggettiva è affidata ad una giurisdizione di diritto soggettivo, escludendosi così che essa dia luogo ad una giurisdizione di diritto oggettivo.

Ritenendo che l’interesse legittimo avesse una mera rilevanza processuale e cioè fosse il riconoscimento di un diritto a ricorrere per la tutela di un diritto oggettivo alla validità degli atti amministrativi, si negò da parte di una dottrina affermatasi verso la metà del secolo che l’interesse legittimo esistesse come categoria definente una situazione nell’ambito di un rapporto giuridico tra cittadino e amministrazione, mettendo così in risalto un supposto interesse pubblico alla legittimità degli atti amministrativi la cui soddisfazione sarebbe stata occasionalmente affidata all’iniziativa spontanea del cittadino.

Una siffatta concezione ben si collocava nell’ambito della più generale condizione di un ordinamento giuridico nel quale al cittadino veniva riconosciuta bensì la qualità di soggetto avente diritto alla tutela della propria libertà passiva ma non anche quella di soggetto avente diritto ad una libertà attiva.

Si ritenne di individuare una categoria di norme definite norme di azione che avevano per destinatario esclusivamente la Pubblica Amministrazione e si differenziavamo dalla categoria delle norme, chiamate di relazione, che avevano per destinatari sia l’amministrazione che il cittadino.

La critica di base a questa concezione si fondava sulla negazione della possibilità di una siffatta distinzione nell’ambito delle norme giuridiche, dovendosi riconoscere che esse danno sempre luogo ad un rapporto e così essendo sempre norme di relazione.

Scalzata alla base l’individuazione delle supposte norme di azione, ne deriva la necessità di individuare, nell’ambito delle norme di relazione, da un lato le posizioni di diritto soggettivo e dall’altro quelle di interesse legittimo, considerato come un elemento dello stesso diritto soggettivo degno di tutela e avente vita propria anche nell’ambito di una soppressione del diritto soggettivo.

Tale critica e la conseguente individuazione dell’interesse legittimo come pretesa tutelata nell’ambito del rapporto tra amministrazione e cittadino si fondavano su una concezione dell’ordinamento costituito sempre da norme di relazione e cioè norme fondative di posizioni giuridiche reciproche tra amministrazione e singolo.

Oggi una tale concezione è avvalorata dalla posizione che deve essere riconosciuta al cittadino nei confronti dell’amministrazione. Egli non può più essere concepito come mero destinatario degli atti amministrativi in una relazione di sostanziali e necessaria subordinazione: la concezione paritaria del diritto amministrativo rende ragione del riconoscimento nell’interesse legittimo di un valore di carattere sostanziale e non soltanto processuale. Il cittadino quando ricorre sulla base di un proprio interesse legittimo tutela una situazione sostanziale riconosciutagli dall’ordinamento giuridico e cioè la pretesa insita in ogni diritto soggettivo alla legittimità dell’attività amministrativa.

Mentre la supremazia è una situazione attiva, la soggezione è una situazione passiva: intese queste espressioni a dire che mentre nel primo caso il soggetto si determina all’uso dei poteri, nel secondo vi soggiace. Ma tali qualifiche possono in parte attenuarsi quando rispetto alle prime, ci si trovi di fronte anziché ad un potere ad un dovere e quando, rispetto alle secondo, accanto alla soggezione l’ordinamento giuridico tuteli direttamente la situazione di aspettativa del soggetto.

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