L’istruzione è l’attività del giudice diretta a conoscere i fatti rilevanti per il giudizio. L’attività del giudice comporta, oltre alla valutazione dei termini di diritto della controversia anche e soprattutto la conoscenza della vicenda o della situazione in termini di fatto. Ciò non significa necessariamente che una particolare indagine debba essere svolta sempre, la necessità di un’indagine è, ad esempio, esclusa quando i fatti non siano controversi.

Si distingue un’istruttoria preparatoria, concernente, genericamente, l’impostazione del giudizio, da una probatoria, diretta ad accertare gli elementi di fatto della controversia.

La regola, nel processo amministrativo, è che l’attività istruttoria si svolga senza soluzioni di continuità, nel corso della trattazione della controversia davanti all’organo decidente.

Nell’istruttoria l’aspetto più importante è quello della prova visto che si deve ricostruire un fatto controverso. Il principio anche nel processo amministrativo è quello che l’onere della prova spetta a chi compie l’affermazione, ma poiché la posizione delle parti è diversa rispetto ad altri tipi di processo (il ricorrente è infatti un privato e l’altra parte è l’amministrazione) per ovviare alla situazione di disparità del ricorrente rispetto all’autorità pubblica è stato coniato il concetto di principio di prova dove si chiede solo un inizio di dimostrazione della fondatezza della propria pretesa e dove se l’amministrazione intimata non ottempera alle disposizioni istruttorie, in relazione agli elementi forniti dal ricorrente, il giudice può trarre da tale omissione conseguenze sfavorevoli all’amministrazione e utili a corroborare i dati probatori forniti dal ricorrente.

Nel procedimento amministrativo si rilevano tre aspetti legati alla fase istruttoria:

Individuazione dei fatti che possono essere allegati solo dalle parti.

E’ fondamentale perché, alle manchevolezze delle parti non può supplire un intervento d’ufficio del giudice. Essi si identificano con i c.d. fatti principali, vale a dire i fatti materiali su cui si fonda la pretesa di annullamento dell’atto impugnato, che sono i fatti costitutivo del vizio dedotto in giudizio. E’ un’applicazione del c.d. principio della domanda ( o principio dispositivo ) in forza del quale spetta alle parti e soltanto ad esse allegare i fatti su cui fondare la propria domanda.

Dal punto di vista del giudice, in buona sostanza, esso comporta che il giudizio in ogni sua fase, dall’istruttoria alla decisione, dovrà rigidamente attenersi al c.d. petitum, vale a dire a quanto la parte chiede nel ricorso, basandosi solo sui fatti principali dedotti dalla parte ricorrente. Vale il principio che regola il rito civilistico in base al quale il giudice deve pronunciare si tutta la domanda e non oltre i limiti di essa ( art. 101 p.c. ).

Prova dei fatti. Vale il principio generale dell’articolo 2697 c.c. sull’onere della prova che comporta, fra l’altro, che la parte che contesta la legittimità di un provvedimento debba fornire la prova dei fatti posti a fondamento della sua contestazione e che la regola di giudizio, nel caso di incertezza su un fatto, è contraria alla parte che avrebbe dovuto fornire la prova di quel fatto. La mancanza della prova determina la soccombenza.

Libero apprezzamento del giudice. Le prove raccolte nel giudizio sono rimesse, quanto alla loro valutazione, al prudente apprezzamento del giudice. Questo principio comporta l’esclusione delle prove legali quali il giuramento e la confessione. Fa eccezione la disciplina dell’atto pubblico, che anche nel processo amministrativo ha l’efficacia prevista dall’art. 2700 c.c. vale a dire che fa piena prova ( o prova legale ) e che, quindi, si sottrae al libero apprezzamento del giudice in forza dell’efficacia generale che possiede sul piano del diritto sostanziale, prima che processuale.

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