Il contraddittorio

Come è stato detto in precedenza, anche nel processo amministrativo trova applicazione l’ art. 111 Cost., ad avviso del quale il processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti ad un giudice terzo ed imparziale. Ciò significa, quindi, che tra le parti sopra indicate (vale a dire: ricorrente, amministrazione resistente e controinteressato) occorre instaurare un contraddittorio; a tal fine, però, è necessario che il ricorrente notifichi il ricorso alle altre parti, perché solo la notifica, che deve essere effettuata a mezzo di ufficiale giudiziario, consente alle parti, contro le quali il ricorso è diretto, di conoscere l’ esistenza del processo e, quindi, di difendersi.

L’ atto impugnato

Il ricorso giurisdizionale, nella maggior parte dei casi è diretto contro atti o provvedimenti di un’ autorità amministrativa (vi sono, tuttavia, delle eccezioni: si pensi, ad es., al ricorso contro il silenzio, ove l’ atto, in effetti, manca del tutto). Ora, premesso che il ricorso è diretto contro un atto o contro un provvedimento amministrativo, dobbiamo porci due quesiti fondamentali: di che atto si tratta? E soprattutto, come si distingue l’ atto amministrativo impugnabile da quello non impugnabile? Alla ricerca di una risposta a questa domanda, la giurisprudenza amministrativa, elaborando la distinzione tra mero atto amministrativo e provvedimento amministrativo, ha ritenuto suscettibile di impugnazione soltanto il provvedimento: ciò significa, in altri termini, che è impugnabile l’ atto conclusivo di un procedimento, perché è questo che produce la lesione di una situazione giuridica soggettiva; non sono impugnabili, invece, gli atti preparatori del procedimento (vale a dire, gli atti che precedono il provvedimento conclusivo); in relazione a questi ultimi, infatti, manca l’ interesse a ricorrere perché il procedimento potrebbe anche avere una conclusione diversa da quella che essi sembrano preannunciare.

Va anche detto, però, che la regola su esposta conosce determinate eccezioni, dal momento che l’ atto endoprocedimentale è impugnabile:

• qualora si tratti di atti di natura vincolata (idonei, come tali, ad imprimere un indirizzo obbligato alla determinazione finale);

• qualora si tratti di atti interlocutori che arrestano il procedimento (in tal caso, l’ istante non vede soddisfatto il suo interesse);

• qualora si tratti di atti soprassessori, che rinviano, cioè, ad un evento futuro ed incerto il soddisfacimento dell’ interesse e, quindi, bloccano il procedimento a tempo indeterminato.

Diversa dalla questione dell’ atto impugnabile è, invece, la questione dell’ atto del procedimento viziato, la cui invalidità si ripercuote sul provvedimento finale, viziandolo a sua volta: si pensi, ad es., al parere espresso da un collegio in composizione irregolare, la cui illegittimità si ripercuote sul provvedimento che lo fa proprio (in tal caso, è sufficiente impugnare l’ atto conclusivo, denunciando l’ illegittimità derivata dall’ atto preparatorio).

Un ultimo accenno occorre dedicarlo al cd. ricorso cumulativo: cioè, al ricorso diretto contro più provvedimenti (si pensi, ad es., al regolamento che viene impugnato insieme all’ atto che ne fa applicazione).

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