I Provvedimenti Ablatori sono quelli con i quali l’amministrazione sacrifica l’interesse di un privato, obbligandolo a fare (ordini), a non fare (divieti) o a dare (atti di imposizione tributaria) o privandolo di un bene (espropriazione, requisizione, sequestro amministrativo e imposizione di servitù pubbliche).

A differenza delle autorizzazioni, dove il conflitto tra interesse pubblico e interesse privato è solo potenziale e può essere composto con un controllo sull’attività privata, in queste ipotesi il contrasto è insanabile e deve risolversi con il sacrificio dell’interesse che l’ordinamento ritiene meno meritevole di tutela, cioè quello privato.

L’attribuzione del potere ablatorio all’amministrazione, dunque, implica una definizione dell’assetto di interessi da parte del legislatore, che ritiene prevalente l’interesse pubblico su quello privato. Ma ciò non vuol dire che il sacrificio di quest’ultimo sia dovuto a una valutazione negativa o a un intento punitivo: al contrario, esso è a sua volta tutelato dalle norme, anche costituzionali, che si preoccupano in vari modi di evitare sacrifici non necessari o sproporzionati.

I procedimenti ablatori sono a iniziativa d’ufficio. La loro articolazione riflette le esigenze di garanzia del privato: si applicano le norme della legge n. 241/1990 (come quelle sulla comunicazione di avvio e quelle sulla partecipazione al procedimento), alle quali le leggi speciali ne aggiungono ulteriori.

Spesso il provvedimento ablatorio deve essere emanato entro un termine perentorio, che decorre dall’inizio del procedimento o da un atto intermedio, oltre il quale il potere amministrativo viene meno e, quindi, il provvedimento non può più essere emanato: per esempio, il termine fissato dalla dichiarazione di pubblica utilità o dalla legge per l’emanazione del decreto di espropriazione per pubblica utilità.

Nei casi di espropriazione per pubblica utilità, l’art. 42 Cost. pone tre distinte garanzie per il proprietario:

– la riserva di legge (la proprietà privata può essere espropriata solo ”nei casi preveduti dalla legge”);

– l’indennizzo (“salvo indennizzo”);

– la sussistenza di un pubblico interesse (“per motivi d’interesse generale”).

La disciplina legislativa dei procedimenti di espropriazione (ora inclusa nel testo unico di dPR n. 327/2001) specifica tali garanzie e pone ulteriori adempimenti e garanzie a favore dell’espropriato.

 

Le sanzioni amministrative

Le sanzioni amministrative possono essere:

– interdittive, che impediscono l’esercizio di un diritto (ordine di chiusura di un esercizio commerciale o la sospensione della patente di guida).

– pecuniarie (le più frequenti, determinano il sorgere di un’obbligazione pecuniaria);

– ripristinatone.

Le sanzioni disciplinari previste per i pubblici dipendenti si fondano su un particolare status o qualifica del destinatario, che lo assoggetta appunto a responsabilità disciplinare.

A seguito della contrattualizzazione del rapporto di lavoro, tali sanzioni sono assimilate a quelle previste per i lavoratori privati: illeciti e sanzioni disciplinari rispecchiano, infatti, più ancora che l’inserimento nel sistema amministrativo, l’esigenza del corretto adempimento della prestazione lavorativa.

Il procedimento di irrogazione delle sanzioni amministrative, è a iniziativa d’ufficio.

La disciplina è ispirata al principio del giusto procedimento: quindi, si svolge in contraddittorio con l’interessato, che è garantito da previsioni come quelle dell’obbligo di contestazione degli addebiti e del diritto di essere sentito. Vale, naturalmente, l’obbligo di motivazione. Generalmente, le norme prevedono un termine perentorio per l’irrogazione dei provvedimenti sanzionatori, i quali sono di regola impugnabili dinanzi al giudice ordinario, in base a una previsione generale (art. 22, legge n. 689/1981) e a previsioni speciali (relative, per esempio, a sanzioni irrogate a banche ed a intermediari finanziari).

 

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