L’art. 21 octies co. 1, statuisce che il provvedimento amministrativo è annullabile:

  • se adottato in violazione di legge, vizio questo al quale si riconosce un significato residuale, ricomprendendovi tutte le illegittimità degli atti non inquadrabili negli altri due vizi. Alla violazione di legge, in particolare, si riconduce la violazione del principio di tipicità o delle regole relative alla forma o al procedimento. Non tutte le violazioni di legge producono annullabilità degli atti: in alcuni casi, infatti, si parla più semplicemente di irregolarità;
  • se viziato da eccesso di potere, vizio questo che in passato veniva riscontrato quando un atto amministrativo invadeva un potere altrui (c.d. straripamento di potere). Il giudice italiano, tuttavia, ha attribuito un significato diverso a tale vizio, quello di sviamento di potere, ossia di violazione del principio per cui l’amministrazione deve perseguire gli obiettivi che le sono prefissi con gli atti di indirizzo.

La giurisprudenza ha individuato certi tipi di anomalie (es. contraddittorietà interna ad un provvedimento, contraddittorietà tra provvedimenti, travisamento dei fatti, insufficienza di motivazione, ingiustizia manifesta, disparità di trattamento, violazione di un legittimo affidamento) come figure sintomatiche dello sviamento di potere, e questo con due scopi:

  • agevolare il sindacato sull’esercizio delle discrezionalità mediante la formazione di un catalogo aperto di fattispecie non conformi al diritto;
  • poter ricondurre ad uno dei vizi tipici talune situazioni che a prima vista non apparivano ad essi riconducibili;
  • se viziato da incompetenza, che si ha quando un atto è emanato da un organo che esercita competenze spettanti ad un altro organo della stessa branca o dello stesso sistema amministrativo (c.d. incompetenza relativa). L’incompetenza deve essere interpretata in senso rigoroso quando si riferisce a poteri di tipo autoritario (competenza come tipicità), ma in generale deve tener conto delle esigenze di buon andamento.

L’annullabilità è definita in termini del tutto disomogenei rispetto a quelli codicistici, facendosi piuttosto riferimento alle circostanze che ne determinano la c.d. illegittimità, che consiste nella situazione tradizionalmente ricondotta ai tre vizi indicati dalla l. n. 5992 del 1889, la quale, istituendo la IV sezione del Consiglio di Stato, le ha attribuito la competenza a decidere i ricorsi per incompetenza, per eccesso di potere o per violazione di legge . In sostanza, quindi, è come se l’art. 21 octies della LPA disponesse che il provvedimento amministrativo illegittimo è annullabile. L’atto annullabile, comunque, diversamente da quello nullo:

  • ha un’efficacia precaria, rimanendo giuridicamente efficace fintanto che tale efficacia non sia eliminata o sospesa;
  • può essere richiesto soltanto al giudice amministrativo, che deve annullare l’atto con una sentenza costitutiva (non dichiarativa);
  • può essere impugnato entro un breve termine di decadenza (sessanta giorni).

Per gli atti emanati nell’esercizio della funzione di amministrazione indiretta comunitaria, la non conformità al diritto comunitario comporta il vizio di violazione di legge, a prescindere tal fatto che tali atti siano conformi ad una legge statale contrastante con quest’ultimo. Anche le direttive comunitarie non direttamente applicabili e non ancora attuate possono essere rilevanti agli effetti dell’illegittimità degli atti: la Corte di giustizia, infatti, ha affermato (sent. Marleasing C-106/89) che ne deriva comunque un obbligo di dare un’interpretazione del diritto statale vigente conforme alle direttive stesse.

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