Il diritto dell’ambiente comprende tutte le normative entrate in vigore per tutelare l’ambiente. Non è una materia vera e propria perché si basa su strumenti di diritto amministrativo e di diritto penale; non sono chiari i confini di questo diritto neanche per quanto riguarda il legislatore dato che non si prodiga in nessun luogo di dare una definizione specifica di ambiente (in realtà adesso c’è una norma che cita una specie di definizione). Fino alla riforma costituzionale del 2001 non si era parlato di ambiente nella Costituzione e, per quanto riguarda la divisione delle competenze fra Stato ed Enti Locali, l’interpretazione maggioritaria le riteneva concorrenti.

Nel 2001 si è iniziato a parlare chiaramente di ambiente anche in Costituzione con l’introduzione del termine nell’art 117: la materia sarebbe di competenza esclusivamente statale, secondo il legislatore costituzionale; a rigore, quindi, le Regioni ne sarebbero totalmente escluse. Nel 2002, però, interviene la Corte Costituzionale stravolgendo la suddetta impostazione: nella sent. n. 407/2002, i giudici della Corte affermano che sì esiste una materia denominata “Tutela dell’ambiente” e che tale materia è di competenza esclusivamente statale, però è come se una materia di questo genere non esistesse perché, di fatto, è difficile trovare una materia specifica sull’ambiente.

Più precisamente, al suo interno ritroviamo una pluralità di materie, tra cui anche, per esempio, la Tutela della salute e il Governo del territorio, due temi inseriti nel terzo comma del 117, e quindi intese come materia di competenza concorrente fra Stato e Regioni. Quindi, in definitiva, anche per questa materia c’è la possibilità di intervento da parte delle Regioni.

Il programma che andremo ad affrontare si sviluppa, a grandi linee, basandosi sui tre settori fondamentali del diritto dell’ambiente: il tema dei rifiuti, la tutela delle acque e gestione degli scarichi e la tutela della’ria dall’inquinamento atmosferico. Per quanto riguarda il tema dei rifiuti, bisogna dimenticarsi i concetti tipici del linguaggio comune. Il concetto di rifiuto è stato qui “inventato” per assoggettare ad un regime di controllo specifico i materiali di cui un soggetto si disfa.

In realtà si è sviluppata una diatriba non indifferente, nata dallo scontro di due finalità poco conciliabili: una è quella di evitare che i materiali possano essere gestiti da organi fuori controllo (nel momento stesso in cui un materiale viene abbandonato diventa rifiuto, e come tale entra in un meccanismo di controllo); la seconda esigenza è quella di non avere troppi vincoli e controlli perché questi inevitabilmente comportano un aumento dei costi. La Corte di Cassazione ha, in una sua sentenza, definito di carattere generale la normativa in materia di rifiuti, sancendo quindi la sua applicabilità ogni qualvolta non si possa applicare una normativa più specifica.

Altro tema importante è quello della tutela delle acque e gestione degli scarichi (lo scarico sarà il concetto cardine dell’argomento). Nel caso in cui il rilascio di sostanze non possa essere qualificato come scarico, e quindi non si possa applicare la relativa materia, bisogna applicare la normativa generale sui rifiuti: dal punto di vista giuridico, quindi, uno stesso materiale può essere considerato in due modi diversi. Terza e ultima tematica fondamentale del diritto dell’ambiente è quella della tutela dell’aria.

Si fa risalire la nascita del diritto dell’ambiente al 1941, in un lodo fra Stati Uniti e Canada.

Ci sono anche altri settori, oltre a quelli precedentemente nominati, sviluppatisi nel corso del tempo e che riguardano altre forma di inquinamento (per esempio, l’inquinamento acustico o quello elettromagnetico). Altra caratteristica del diritto dell’ambiente è quella del suo sviluppo in materia settoriale: si tratta, quindi, di normative molto spalmate nei vari decenni.

A partire dalla fine degli anni ’80 l’Unione Europea ha acquisito competenze in questa materia: le norme in Italia derivano proprio principalmente da lì.

Accanto alle normative settoriali esistono anche strumenti trasversali, per esempio la Valutazione di Impatto Ambientale, che considera in un unico contesto tutti gli elementi senza prenderli separatamente. I due strumenti che si ritrovano sono da un lato le autorizzazioni e i limiti o valori limite (o standard): per quanto riguarda le prime, il concetto fondamentale è quello che prevede che un’attività inquinante non può essere intrapresa senza un’autorizzazione; per quanto riguarda il secondo elemento, il legislatore ha dovuto individuare dei criteri per decidere se un attività è lecita o no, criteri al di là dei quali l’inquinamento è illecito (per esempio, se il limite di sostanze inquinanti da rilasciare in un fiume è di 10 mg/l, il mio scarico di 11 mg/l è illecito, quello di 9 mg/l invece no, seppur vi sia comunque inquinamento).

Ultimamente, però, il legislatore si orienta verso strumenti più flessibili: per esempio, la normativa sulle bonifiche prevedeva che un suolo è inquinato se si trovavano, ad esempio, 1 mg di idrocarburi in una determinata superficie di terreno. Tale valore, però, è stato più o meno rilevante in relazione al caso concreto, tanto che la nuova normativa prevede controlli caso per caso.

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