La nascita e la crescita delle scuole di diritto romano sono andate di pari passo con la maturazione degli ordinamenti cittadini. La città appare il miglior palcoscenico dei mutamenti che la vita spirituale e materiale sperimenta dopo il Mille. Il tardo Medioevo è stato qualificato come l’età comunale proprio per questo sorgere nell’Italia centro-settentrionale di città che si comportavano come staterelli, fervide di attività economiche, culturali e artistiche. Il Comune porta la possibilità di moltissime opere in queste città e ha chiamato i cittadini alla politica innestando comunque quelle faziosità di partiti. sono state fatte alcune teorie sulla nascita del Comune: la prima è che il Comune nacque dalla lotta vs il vecchio feudo ma ciò in realtà non è pienamente esatto perchè il Comune ha investito anche territori romanici scarsamente feudalizzati come l’Istria. Un’altra tesi poi sosteneva che gli ordinamenti comunali fossero scaturiti da quelli municipali dell’antichità romana per cui c’era stata una continuità storica: questa sarebbe parzialmente condivisibile ma non risponderebbe però al quesito di come la città sia diventata fonte di poteri normativi creando un’autonomia che neppure Barbarossa è riuscito a soffocare. Altre teorie hanno cercato l’origine del Comune nel governo vescovile ma ciò è negato dal fatto che molti luoghi non conobbero il governo vescovile come es. Bologna, Padova

La teoria del Calasso. Essa vede il fenomeno culturale come un portato di quella vasta ondata di spirito associativo che pervase la vita sociale dopo il Mille. Queste associazioni avevano valenza tecnico-giuridica assicurata da quegli statuti associativi che nascevano da patti ed erano sanzionati da un solenne giuramento collettivo o coniuratio. Uno dei casi più famosi di questo giuramento è quello della Compagna genovese. Barbarossa nella dieta di Roncaglia del 1158 condannò i coniuratio in quanto da ciò scaturivano autonomie che spesso si sottraevano al suo controllo. Dopo le istituzioni comunali vi erano altre associazioni come per esempio le societates di arti e mestieri o corporazioni che organizzavano attività economiche e facevano anche però ghetti d’interesse particolaristici. Il fenomeno associativo creò poi la cosiddetta consorteria cioè un tipo di associazione gentilizia. Esse avevano vari nomi a seconda dei luoghi e vi si accedeva per nascita o per matrimonio e l’ordinamento interno era assicurato da patti spesso giurati dai capi dei vari ceppi patrizi e questi patti divenivano gli statuti del consorzio; spesso erano governate da rector o con sul assistiti da un gruppo di sapientes o consiliarii. Tutto questo spirito associativo genera quindi la frammentazione dei gruppi in circoli più o meno chiusi e gelosi di un’autonomia che li trasforma in istituzioni, dà loro assetti normativi e giurisdizionali facendone quindi veri e propri ordinamenti giuridici.

Università degli scolari. Essa è una forma corporativa molto particolare che rappresentava l’esito di un moto associativo compiuto dalla massa studentesca verso la fine del XII secolo per cui gli scolari che venivano spesso da fuori e si sentivano stranieri e isolati da Comune e popolazione di Bologna si erano riuniti in una universitas scholarium (non università degli studi come oggi in quanto racchiudeva solo studenti e non si identificava con la scuola che fino al titolo di Studio generale non fu neppure un’istituzione) in cui si davano regole, eleggevano un rettore e propri rappresentanti per fronteggiare meglio le difficoltà della vita quotidiana e per regolare soddisfacentemente i rapporti con i propri maestri. Questo moto associativo interruppe il formarsi di una corporazione scolastica modellata su quella di mestiere e quindi retta dai prof . Tuttavia un qualche conato in tal senso esiste, come ad esempio la qualifica di socii che i maestri continuarono per secoli a dare ai propri alunni e ciò scaturisce dall’imitazione del rapporto scolastico con quello delle corporazioni di mestiere che venivano chiamate societates; oltre a ciò il fatto del titolo di dominus assegnato dai ragazzi ai docenti è lo stesso che gli apprendisti attribuivano al padrone di bottega. Giovanni Bassiano poi arriverà a dire che le università degli scolari non potevano eleggere i propri rettori e troverà logico che le nomine venissero fatte dai professori e Azzone dirà che sia per le professioni che per la scuola il modello applicabile è lo stesso: quello delle associazioni di mestiere. Il vincolo tra professori e discepoli era però stato rinsaldato da una costituzione del Barbarossa con cui si comminavano sanzioni a chi molestava maestri e allievi nei viaggi intrapresi per arrivare alle città degli studi e concedeva agli studenti di esser giudicati a scelta o dal maestro o dal vescovo e da essi si potevano aspettare sicuramente più benevolenza che dai giudici comunali (ciò contribuì a fare della scuola un ordinamento giuridico a sè stante)

Reazione imperiale al fenomeno comunale. Barbarossa subito dopo le prime esperienze di lotta con i Comuni nominò a governarli suoi uomini di fiducia ( i podestà) che furono guardati in Italia come intollerabili strumenti di oppressione. I Comuni nel 1164 cacciarono i podestà quasi ovunque e nel 1167 fu stretta la Lega lombarda che sconfisse nella battaglia di Legnano del 1176 le forze imperiali e finalmente nel 1183 ci fu la pace di Costanza che sancì la sottomissione formale dei Comuni all’Impero ma sancì anche il riconoscimento imperiale delle consuetudini ossia le ampie autonomie che le città avevano usurpate: nasceva il fenomeno delle autonomie locali. L’impero ritenne però che il testo della pace fosse una legge speciale che vigesse solo per le città espressamente nominate e inoltre pretendeva l’efficacia della pace condizionata dal rispetto della fedeltà del re per cui ogni atto d’infedeltà avrebbe reso “ribelle” la città con la conseguenza del decadimento dei privilegi imperiali (anche la stessa pace di Costanza, essendo un privilegio, era revocabile). I Comuni diedero poco peso a questa interpretazione riduttiva e sbandierò Costanza come la Magna Charta delle proprie libertà dandole una valenza generale in quanto la inserì nel Corpus iuris.

I Comuni dopo Costanza. Essi cominciarono ad affidarsi a podestà scelti non tra i cittadini ma tra i forestieri e ciò venne fatto per salvaguardare l’imparzialità del governo assicurandone l’estraneità alle beghe locali. Tuttavia ciò non bastò a fermare i pericolosi fermenti che andavano divampando all’interno delle città: gli odi tra le consorterie nobiliari e fazioni dette “popolari” e l’incapacità di questi ultimi di raggiungere accordi con il ceto dominante che li aveva esclusi dalle corporazioni maggiori e dal potere, li stimolarono a darsi proprie strutture e statuti, al cui vertice posero un Capitano del popolo (prendendo in prestito nel nome il capitaneus che Federico II aveva affiancato al podestà dopo la vittoria riportata vs la seconda lega lombarda). Si creò allora una situazione in cui il capitano era affiancato da un’assemblea di anziani e rappresentava i popolari, il podestà con il consiglio restando espressione del vecchio ceto dirigente dei “magnati”. Tuttavia alla scomparsa della dinastia sveva ci fu la crisi dell’impero, i guelfi (per il papa) trionfarono sui ghibellini e ogni equilibrio cittadino esplose: il ceto popolare si scagliò verso il vecchio ceto patrizio ghibellino e ci furono una serie di leggi antimagnatizie (gli Ordinamenti sacrati e sacratissimi)

Il diritto nel momento di confusione. In quel periodo il processo inquisitorio trionfò sull’accusatorio e videro la luce importanti trattazioni di diritto e procedura penale. Alberto Gandino fu un giudice che ricoprì anche incarichi pubblici come podestà e assessore e intorno al 1300 compose il De Maleficifis che è un’opera che contiene una serie di quaestiones non sue ma attinte da quelle dibattute nelle scuole di Odofredo e Guido di Suzzara.Nello stesso periodo venne alla luce anche uno scritto di un altro giudice mantovano, Bonifacio Antelmi. Entrambi fanno capire che il trionfo del processo inquisitorio risiede proprio nelle turbolenze politico-sociali di quel periodo. Nell’alto medioevo il rito accusatorio aveva trionfato, logica conseguenza dell’idea barbarica che il reato generasse un rapporto di tipo privatistico tra offeso e offensore (per cui il primo aveva l’onere della prova e dall’accusa); il processo inquisitorio invece presupponeva un interesse pubblico alla repressione in quanto il giudice informato di un delitto aveva il dir/dovere di indagare, conseguire la prova (anche mediante la tortura e infatti in Gandino si leggono molte questioni sulla tortura la quale comunque era lecita solo in presenza di indizi chiari di colpevolezza. non potevano esser torturati uomini di stato, alti gradi militari, nobili, ecclesiastici e doctores) e processare/condannare l’accusato. L’imputato era però poco tutelato dal fatto che giudice inquirente e giudice giudicante potevano esser la stessa persona quindi con diminuzione delle garanzie per l’imputato. Appartenere a un ceto sociale voleva dire render riconoscibile ciò all’esterno, si doveva garantire la propria buona fama contro l’infamia. Ciò era fondamentale: chi era di buona fama aveva qualche possibilità quando cadeva nelle mani dei giudici di sfuggire alle torture, cosa impossibile per chi godeva di cattiva fama. Si creava allora una sorta di giudizio sommario sulle apparenze per cui un ladro accertato poteva esser arrestato torturato terribilmente per estorcer una confessione e subito impiccato negandogli il diritto a difendersi. Si diffuse poi l’idea del bando che nel mondo comunale significava l’espulsione dalla città con eventuale confisca dei beni in genere per ragioni politiche ma comunque il bandito poteva andare dove voleva basta che se ne andasse dalla città.

La fine del Comune. Essa fu generata dalla riscossa dei guelfi tra le macerie dell’Impero svevo e l’intensificarsi delle lotte cittadine e tutto ciò spalancò le porte alle signorie. C’erano già state però esperienze signorili fino dalla seconda metà del duecento in quanto nobili avventurieri ghibellini si erano impadroniti dei massimi uffici comunali di città venete e lombarde e li avevano gestiti fuori dalle regole statutarie e dai limiti temporali normativamente stabiliti (esempio: la signoria di Ezzelino da Romano su Verona nel 1226). Successivamente ci sarà poi il passaggio da signoria a principato: ciò avviene quando coloro che sono nominati signori di città libere sfoggiano dignità e autorità quasi sovrane come se fossero dignitari vicariali o regi e ciò consentiva loro la plenitudo potestatis (o absolutio legibus). In Italia i principati anche se costituiti con infeudazioni che li rendevano subordinati al papa o all’imperatore almeno dalla fine del 1300 o dal 1400 usavano la plenitudo potestas senza che nessuno dicesse nulla. Dell’accostamento poi tra signoria e tirannia parla Bartolo quando sostiene ce tiranni erano i signori che si impadronivano del comando senza aver nessun titolo per esercitarlo oppure anche se lo avevano esorbitavano dalle competenze connesse con la carica o dai limiti imposti dalle leggi.

Le repubbliche marinare La loro presenza causò anche problemi sul piano giuridico per gli studiosi in quanto Baldo si chiese se un popolo in assenza dell’imperatore potesse nominare autonomamente duces (prima lo fece Venezia poi anche Genova): per lui in linea di diritto i dogi erano da considerare insediati de iure senza la conferma del monarca ma tuttavia era possibile desumere per consuetudine il suo tacito consenso. La grande fonte di ricchezza delle repubbliche marinare era il commercio specie quello marittimo che inizialmente doveva esser nelle mani dell’ordo mercatorum cioè un’organizzazione che alla prima comparsa non aveva natura corporativa vera e propria in quanto nata alle dipendenze del Comune; tuttavia esso aveva poi acquisito autonomia alla fine del XII secol a seguito di una rivolta antinobiliare che aveva segnato la fine del dominio dell’oligarchia patrizia sul commercio terrestre, ma non su quello marittimo. Fu infatti creato l’ordo maris che ebbe i suoi consoli che si diedero l’abitudine di un Breve giurato cioè un codice di regole ed ebbe un organo giudiziario, la Curia maris

Venezia. Parlare poi di Venezia vuol dire non ricollocarla in realtà in un contesto comunale perchè aveva più in comune sicuramente con un’idea di monarchia. Il doge era infatti un organo elettivo ma a vita con poteri pressoché assoluti. Tuttavia Venezia tra il 1142/43 e il 1172 si era ristrutturata in senso comunale quindi in questo senso il confronto con le vicende delle altre città di Italia non stona. Venezia divenne una repubblica aristocratica in cui governo a commercio erano affidati a un certo numero di famiglie riunite nel Maggior Consiglio il quale aveva tutti i poteri legislativi/esecutivi nonché la nomina del doge. Esso era un organo chiuso e nel 1297 fu pubblicata una legge con cui ci fu un impedimento drastico all’entrata di nuove famiglie consacrando quindi la nascita di un corpo sovrano ereditario. Il doge Tiepolo nel 1242 fece redigere il corpo degli statuti veneziani che si arricchì presto di glosse, pratiche e riti dei tribunali veneti (esempio: lo Splendor consuetidinum civitatis Venetorum di Bertaldo, che fra l’altro ci informa che i giudici veneziani dovevano attenersi agli statuti generali considerati leggi e in oro mancanza alle consuetudini eventualmente da provare come fatti mediante testimoni degni di fede)

Genova (accomunata a Venezia dalla vocazione imperiale ordinate al commercio)Essa non rinnegò la dipendenza dall’Impero e fino al 1300 svolse infatti la propria organizzazione in senso comunale alla pari delle altre città del centro nord. La particolarità era che la Compagna (già vista) era considerata l’organismo dominante della città al punto di identificarsi col Comune. Genova ebbe un podestà dal 1190 che si alternava con i consoli. L’ordinamento genovese si ricava oggi principalmente da qualche frammento del primo Trecento specie dal Magnum volumen Peyre che passa per la formazione della colonia di Pera ma che in realtà contiene un complesso per la maggior parte destinato alla madrepatria. Anche a Genova ci furono rivolte popolari che sfociarono nella nomina di un Capitano del popolo nel 1257 e nel 1339 la normale svolta signorile in funzione antinobiliare assunse forma atipica e la plebe elesse primo doge a vita Simone Boccanegra affiancato da un ristretto consiglio (caso di signoria elettiva).

Pisa. Essa seguì le tappe consuete della storia dei Comuni ma fu precocissima, già a metà dell’XI secolo. Infatti poco dopo quel momento comparvero i primi consoli e intorno al 1150 il primo podestà, scoppiando poi le antimagnatizie duecentesche che introdussero capitani del popolo; si passò poi ai signori per chiudere nel 1406 l’autonomia con l’assoggettamento a Firenze. Lo statuto è sono da annoverare tra le codificazioni cittadine più considerevoli; entrò in vigore nel 1160 e i manoscritti ce la tramandano diviso in 2 tronconi: Constitutum legis (formato dalle deliberazioni assembleari) e Constitutum usus (formato dalle consuetudini) e ciò corrispondeva allo sdoppiamento dei tribunali nella Curia legis e nella Curia usus.

Amalfi. Essa fu ancora più precoce di Pisa ed aveva già intensi scambi commerciali con Bisanzio e l’Oriente che risalivano al per sec. Fu una repubblica marinara fiorente fino all’incorporazione nei domini normanni nel 1073 ma anche dopo conservò privilegi commerciali. Notissima è la sua Tabula Amalphae o Tabula Prothontina cioè la sua legislazione marittima. Ritrovata nel 1843, essa consiste in realtà non di statuti ma di massime giurisprudenziali cioè 66 capitoletti. Il pregio sta nel descrivere alcuni contratti singolari: quello di colonna adoperato per il traffico costiero instaurava rapporto tra il capitalista, l’armatore e i marinai, l’accomanda cioè un prestito di capitali da impiegare in operazioni di commercio e da restituire alla scadenza con l’aggiunta di una parte dei lucri.

Anche Valenza e Maiorca furono centri di irradiazione di pratiche commerciali; Barcellona redisse i suoi usi nel Libro del consolato del mare tradotto in varie lingue che divenne il codice del diritto comune marittimo del mediterraneo.

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