Fratture e continuità nel momento rivoluzionario

Entrambe le tendenze della monarchia francese all’epoca dei Borboni, rivolta l’una all’accentramento del potere amministrativo nella burocrazia governativa e l’altra alla riformulazione del diritto mediante leggi, non si esplicarono appieno perché nella fase di Luigi XV e XVI la monarchia ebbe timore di allearsi con ceti emergenti e lo fece con la nobiltà feudale, esprimendo interessi contrari alla modernizzazione del paese. Ciò crea frustrazione nei ceti borghesi del terzo stato e dà inizio al rinnovamento totale. In realtà l’accentramento giacobino e la demolizione dei parlamenti furono il proseguimento di un disegno monarchico, solo l’impeto usato fu rivoluzionario.

Alcuni fattori della rivoluzione francese:

Radicalità impressa alle riforme dal movimento rivoluzionario che contribuì a dotare il modello francese di compattezza

Movimento politico di rifondazione dello Stato su valori universali.

I valori universali racchiusi nella dichiarazione di diritto dell’uomo e del cittadino del 1789 dovettero convivere con una visione fortemente condizionata dalle esperienze pregresse.

Il nuovo ordine francese

L’ordine nuovo che si venne costituendo muoveva da una visione del duplice rapporto tra governanti e governati e tra governati tra loro, quindi 2 aspetti:

Rapporto tra Stato e società civile → lo strumento più efficace per modernizzare l’amministrazione e unificare le strutture era l’apparato burocratico centralizzato che era vincolato al suo interno a procedere secondo modelli d’azione ma era invece dotato di discrezionalità al suo esterno (è stata poi la giurisprudenza del Conseil d’Etat a creare le figure giuridiche adatte a limitare la discrezionalità riportandola al principio di legalità)

Rapporto nella società civile → ci si orientò verso principi di legalità essendo coerenti alla richiesta del terzo stato. Una volta posto il diritto amministrativo e quindi l’azione del governo al riparo da vincoli legali troppo rigidi, si poteva finalmente disboscare l’intrico delle fonti perciò diritto comune, consuetudini, fonti dottrinali, statuti locali dovevano essere aboliti perché incompatibili con il nuovo ordine costituzionale. La drastica riduzione delle fonti voleva anche ridisegnare in forme più semplici il diritto.

L’affermazione del principio di legalità esigeva però un apparato amministrativo adeguato: si scelse il modello dell’organizzazione burocratica amministrativa. Il giudice diviene un pubblico funzionario e la magistratura viene organizzata in gerarchie. Una rete di piccoli tribunali monocratici erano competenti a livello nazionale per le questioni meno rilevanti. I tribunali d’istanza erano per quelle più rilevanti. Al vertice c’era il tribunale di cassazione che giudicava in terza istanza e vigilava sull’interpretazione uniforme delle leggi. Il disegno di equiparare il diritto alla legge fu seguito con rigore.

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