Diritto comune

Il diritto comune è un grande corpo normativo che si sviluppa in Europa a partire dal 1100 ca. e che permane fino all’epoca delle codificazioni del XIX secolo. Tale diritto, avendo come base il diritto romano, viene ampliato e sviluppato dall’opera di vari intellettuali che svolgono la loro attività in seno a determinati centri culturali (es. università di Bologna). Esso rappresenta un’esperienza giuridica che non presenta una fonte chiara di riferimento. Il diritto comune non aveva un limite territoriale, in quanto veniva presupposto come vigente. Nel diritto privato, in particolare, il diritto comune raggiunse la sua perfezione: la cultura giuridica romanistica, infatti, si era particolarmente sviluppata nell’ambito privatistico (es. contratti).

Il diritto comune fa riferimento ad una fase storica caratterizzata da un forte universalismo, avente come comune denominatore il latino. Questo periodo risulta anche particolarmente frammentario (v. incipit Dei delitti e delle pene), essendo caratterizzato dalla coesistenza di molteplici fonti.

Ritardo della comparazione penalistica

Ai nostri fini possiamo dire che l’epoca caratterizzata dal diritto comune rappresenta il contesto comparatistico per antonomasia. Il diritto penale, tuttavia, non partecipa a questo periodo di splendore comparatistico in maniera rilevante, risentendo più di altre branche del diritto della contingenza dei tempi: il diritto penale è troppo rilevante per essere applicato sulla scorta del diritto romano antico. Dal punto di vista dei detentori del potere politico, ad esempio, è molto difficile rinunciare al diritto penale come strumento di orientamento delle condotte dei cittadini: il diritto penale non prescinde mai dal potere politico.

In generale possiamo riflettere sul fatto che il principio democratico e il principio di legalità contrastano con la propensione comparatistica del diritto. Da oltre un secolo, in particolare, si ritiene che soltanto il Parlamento, legittimato politicamente, possa decidere che cosa sia giusto e che cosa sia sbagliato e, in quanto tale, punito. Questa tensione viene confermata e sottolineata se facciamo riferimento alla fase storica delle codificazioni. Il Code Napoleon, ad esempio, sistematizzando il diritto francese, porta ad una chiusura del diritto nazionale e ad un conseguente rigetto di qualsiasi spinta universalistica propria del diritto comune.

Le principali cause di ritardo, comunque, possono essere considerate tre:

  • cause antiche: nel contesto dello ius comuneil diritto penale non assunse mai la dimensione universalistica propria del diritto civile, e questo principalmente a causa:
    • dell’assenza di ascendenze penalistiche romanistiche: il Corpus iuris civilis, infatti, trattava prevalentemente materie civilistiche;
    • della necessita ontologica del diritto penale di avere uno stretto legame con il potere politico e con i territorialismi (legislazione penalistica locale).

Occorre comunque considerare che il diritto penale condivide la struttura di fondo dell’intero movimento di ius comune, caratterizzato da una straordinaria articolazione di fonti e dal peculiare metodo di interpretazione utilizzato (v. incipit <<dei delitti e delle pene>> di Beccaria). La delimitazione localistica, quindi, non impedì al diritto penale di condividere alcuni contrassegni del diritto comune. Sotto certi aspetti, peraltro, la parte generale (non la parte speciale) del diritto penale ha manifestato una certa tendenza universalistica, essendo sorretta da una dottrina comune all’intero continente europeo;

  • cause recenti: parallelamente allo sviluppo storico del pensiero illuminista, si svilupparono nuovi motivi di ritardo per la comparazione in materia penale:
    • il pensiero illuminista universalista non è stato spesso oggetto di concretizzazioni (es. Code Napoleon come compromesso con la politica). Sin dai primi decenni del XIX secolo, peraltro, si sviluppò una decisa reazione nazionalistica anti-illuminista;
    • il principio di legalità (riserva di legge) contrasta con il pensiero illuminista: secondo tale principio, infatti, la norma penale non scaturisce dall’ordine naturale delle cose o da astratte ragioni di verità, ma deve promanare unicamente dal legislatore. Da qui una generale perdita di interesse per tutto quello che sta fuori dalla legge nazionale e un parallelo aumento di rilevanza delle codificazioni penalistiche, manifestazioni nazionalistiche del potere sovrano.

Nel rapporto con il diritto penale, peraltro, è proprio il cittadino a chiedere la responsabilità politica delle scelte di criminalizzazione. Risulta quindi politicamente inaccettabile l’idea di un diritto penale universale o anche solo sovranazionale;

  • cause intrinseche: nel XIX secolo, la propensione comparatistica era animata dall’esigenza di riforma (codice Zanardelli (1889) che unifica il codice sardo e il codice dell’ex Granducato di Toscana) e dalla scuola positiva di Cesare Lombroso, fonte di sviluppo di molteplici opere di carattere comparatistico (es. <<Rivista penale>>, <<Enciclopedia del diritto penale>>). La comparazione ottocentesca denota sicuramente un’attenzione per i sistemi stranieri, ma come anticipato non sempre le ricognizioni del diritto forestiero possono essere additate quali esempi di autentica e feconda analisi comparatistica:
    • la dottrina italiana si presenta estranea alla mole di informazioni da essa riportate: il diritto straniero, infatti, viene riferito da giuristi stranieri, senza che vi sia un autentico dibattito successivo all’import delle informazioni;
    • i comparatistici si limitano ad un contributo informativo (elencazione): la disciplina dei vari istituti stranieri viene raffrontata senza avere consapevolezza di quanto poco significhino le singole soluzioni normative se sganciate dal resto del sistema. Il comparatista ottocentesco, in particolare, invece di approfondire la complessità dei singoli istituti, preferisce passare in rassegna un vasto campionario di soluzioni.

Quanto alla vocazione universalistica (primo market rilevatore), se esiste indubbiamente una dottrina che procede alla costruzione della teoria del reato prescindendo dalla disciplina positiva vigente, nondimeno l’impostazione di tale dottrina è più di stampo idealistico-giusnaturalista che autenticamente comparatistica (non si cercano le radici comuni). In altri casi, peraltro, la prospettiva universalistica risulta eclissata dalla priorità accordata alla finalità de iure condendo. Quanto alla propensione ad utilizzare diversi sistemi giuridici (secondo market rilevatore), si può rilevare come siano distanti da tale prospettiva le analisi di diritto straniero meramente informative o volte unicamente ad estrapolare formule da trasferire da un sistema ad un altro.

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