Il codice non detta regola apposite circa il modo in cui le parti dovranno determinare il contenuto del contratto. Delle regole possono però essere stabilite in ordine ai requisiti, si tratta di regole di validità, e il codice disciplina tali requisiti a proposito dell’oggetto del contratto dando così a vedere che solo tale oggetto debba rivestire i requisiti richiesti. Per ragioni di esemplificazione il codice ha parlato di oggetto, quando in realtà le regole e i criteri ad esso introdotti debbono essere riferiti all’intero corpo delle pattuizioni contrattuali. I requisiti stabiliti dalla legge sono quelli della possibilità, liceità, determinatezza e/o determinabilità dell’oggetto. Per possibilità si intende la possibilità materiale ma anche quella giuridica. L’impegnarsi ad es. alla costruzione di qualcosa che non è oggettivamente possibile è impegnarsi a fare qualcosa di materialmente impossibile. Altro sarebbe se detto impegno potesse essere realizzabile ma il contraente non dispone dei mezzi oggettivi e/o soggettivi per realizzarlo. Ove invece si decida di compravendere una res extra commercium si incorrerà in un’impossibilità di carattere giuridico. La parte che così si impegna non viene a violare nessun dovere giuridico, può sorgere però responsabilità se sia stata consapevole di assumere un obbligo a priori non eseguibile. Ove invece si tratti di impossibilità sopravvenuta non imputabile alla parte obbligata al conseguenza sarà al risoluzione del contratto. L’art. 147 stabilisce che “Il contratto sottoposto a condizione sospensiva o a termine è valido, se la prestazione inizialmente impossibile diviene possibile prima dell’avveramento della condizione o della scadenza del termine.” È infatti principio che “La prestazione di cose future può essere dedotta in contratto, salvi i particolari divieti della legge” (art. 1348) In tali casi non potrà dirsi che il contratto sia incompleto, né che esso debba essere equiparato ad un contratto sospensivamente condizionato.

Sarà solo l’efficacia reale del contratto ad essere condizionata all’avvenuta esistenza della cosa.

Quando invece si parla liceità (dell’oggetto) del contratto si ha riguardo ai divieti posti da norme di legge o da principi di ordine pubblico o di buon costume, tuttavia, è da sottolineare che la cosa non è mai di per sé illecita quanto piuttosto lo è la deduzione di essa in contratto. Con riferimento alla liceità dell’oggetto, dovrò aversi riguardo al momento della conclusione del contratto. Alla regola sulla liceità dell’oggetto, stenta a differenziarsi dall’analoga regola sulla liceità della causa “La causa è illecita quando è contraria a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume” (art. 1343) Potrà difendersi questo confine ove si sottolinei che si intende avere riguardo solo all’aspetto oggettivo della contrarietà alla legge di quella singola prestazione. Altro requisito dell’oggetto del contratto è la sua determinatezza o determinabilità. Criteri convenzionali di determinazione sono quelli stabiliti dalle parti. Tipico esempio è quello della determinazione affidata all’arbitrio di un terzo o del rinvio a fonti esterne al contratto. Si tende ad escludere che tale determinazione possa essere affidata ad una delle parti. Una possibile eccezione è riconosciuta quando la legge affida la scelta della prestazione da eseguire allo stesso debitore. Criteri legali di determinazione sono quelli offerti ad es. dal prezzo normalmente praticato dal venditore o dal prezzo desunto dai listini. Limiti al potere delle parti di affidare a fonti esterne la determinazione dell’oggetto del contratto si riscontrano nei contratti formali nei quali la forma è destinata a rivestire la volontà delle parti. La ratio legis è di esigere che il contenuto essenziale del contratto risulti rivestito dalla forma prescritta. Con il requisito di forma è sufficiente che sia in regola l’identificazione dl bene compravenduto. Solo le omissioni riguardanti l’identificazione dell’immobile provocheranno la nullità del contratto. Regole apposite sono dettate per la determinazione rimessa all’opera del terzo. Le arti possono attribuire a questo il potere di procedere con equo apprezzamento, con il quale deve intendersi un apprezzamento ispirato a criteri di ragionevolezza e nella considerazione di tutte le circostanze del caso. Se il terzo deve procedere con equi apprezzamento è il giudice che può sostituirsi ad esso ove la determinazione sia iniqua o erronea. Lo stesso vale se manca la determinazione del terzo. Analogo principio è stabilito con riferimento al prezzo e/o alla clausola manifestamente irragionevole. L’iniquità e l’erroneità devono essere tuttavia manifeste per consentire l’impugnazione. Se invece le parti si siano affidate al mero arbitrio del terzo, e cioè alla sua valutazione individuale, esse non potranno impugnare la determinazione di esso se non provando la sua malafede. E comunque, se manca la determinazione e le parti non sia accordano per sostituirlo, il contratto è nullo. La dottrina si è adoperata per esaminare la natura dell’atto di determinazione del terzo, se negoziale o meno. Contro la natura negoziale si è obbiettato che il terzo non esprime alcuna volontà negoziale, limitandosi a concretizzare un elemento del rapporto. Altro è dire che l’attività del terzo è anche oggetto dell’incarico ricevuto e quindi fonte di responsabilità ove il terzo non esegua l’incarico o lo esegua in modo manifestamente iniquo o errato. Si è soliti far seguire la differenza fra il terzo arbitratore e il terzo arbitro. Quest’ultimo è chiamato a decidere una controversia insorta fra le parti.

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