Il TUIR non fornisce una nozione giuridica del reddito, ma si limita ad enunciare il presupposto di fatto dell’IRPEF e dell’IRES che consiste nel possesso di redditi in denaro o in natura che rientrano nelle categorie indicate dal medesimo Testo (redditi fondiari, di capitale, di lavoro indipendente, di lavoro autonomo, di impresa, e diversi). Pertanto è necessario capire cosa si intende per reddito. Spesso il concetto di reddito si contrappone a quello di patrimonio: quest’ultimo indica la ricchezza nel suo aspetto statico (quindi indica ciò che si possiede in un dato momento storico); mentre il reddito qualifica la dinamica temporale della formazione della ricchezza (quindi indica quel che si guadagna, o si perde, in un certo arco di tempo). Nell’ambito del reddito sono state elaborate tre grandi teoria, e precisamente la teoria del ed. reddito prodotto, del ed. reddito consumo e del ed. reddito entrato.

La prima teoria, quella del reddito prodotto (alla base delle imposte sul reddito agli inizi dell’unità d’Italia) identifica il reddito esclusivamente nella ricchezza novella derivante da una fonte produttiva, e che a sua volta possa esser reinvestita e generare nuova ricchezza. La caratteristica principale di questa concezione di reddito sta nel fatto che viene sottolineata la distinzione tra fonte produttivo e il prodotto che ne deriva. Da ciò derivano due effetti molto importanti:

  • Il primo consiste nella negazione della natura reddituale di tutte le vicende positive e negative che direttamente riguardano le fonti produttive stesse (alienazione, perdita distruzione del bene produttivo, ecc.), in quanto incidono sul patrimonio e non sul reddito;
  • Il secondo effetto, invece, consiste nella negazione della natura reddituale degli arricchimenti derivanti da liberalità e da atti a titolo gratuito, in quanto si tratta di eventi anch’essi di natura patrimoniale, e comunque consistono in trasferimenti di ricchezza che dovrebbe avere già scontato l’imposizione in capo al soggetto che l’aveva prodotta.

La seconda teoria, quella del reddito consumo invece, differisce da quella del reddito prodotto dalla tassabilità solo della parte del reddito prodotto che viene destinata al consumo; mentre non è soggetta a tassazione la parte del reddito destinata al risparmio, appunto perché questa assumerebbe per la sua posizione natura patrimoniale. Infatti, si osservava che tassando prima l’interno reddito prodotto, e poi successivamente quello prodotto dal reinvestimento della parte risparmiata, non si faceva altro che praticare una doppia tassazione sulla parte risparmiata del reddito prodotto.

Infine, la terza teoria, quella del reddito entrata si concentra sull’identificazione del reddito sulla base delle variazioni positive o negative che si sono verificate nella situazione patrimoniale del contribuente. Quindi in questa teoria viene abbandonata l’esigenza della derivazione della ricchezza da una fonte produttiva, e viene riconosciuta natura reddituale anche alle liberalità e agli incrementi di natura strettamente patrimoniale (arricchimento a seguito di trasformazione di un terreno da agricolo in edificabile). Detto questo, possiamo tranquillamente dire che il nostro sistema tributario è ancora ancorato alla nozione di reddito prodotto. Infatti, nel nostro sistema i singoli redditi vengono individuati e regolati in virtù delle loro diverse fonti produttive. Inoltre non viene di solito riconosciuta natura reddituale agli eventi modificativi degli aspetti patrimoniali (acquisti e vendite di beni, ecc.). Però bisogna aggiungere che questa idea nel nostro sistema non viene sempre seguita in maniera coerente, in quanto vi sono norme che contengono diverse aperture alla nozione di reddito entrata, in particolar modo per quanto riguarda il campo dei premi e delle vincite.

Nel nostro sistema tributario vigono diverse regole generali strettamente connesse alla nozione di reddito prodotto. La prima regola riguarda / proventi sostitutivi di redditi, in base alla quale i proventi conseguiti in sostituzione di redditi e le indennità ricevute per il risarcimento di danni consistenti nella perdita di redditi, costituiscono redditi della stessa categoria di quelli sostituiti o perduti. Pertanto, secondo questa regola, viene riconosciuta natura reddituale anche ai proventi di natura patrimoniale, solo se alla loro base sta un fenomeno di sostituzione di un reddito (ad esempio il caso del professionista che cede a terzi il credito professionale, e viene quindi di fatto pagato da soggetto diverso dal cliente), o in ipotesi di indennizzo per perdita di redditi (ad esempio il danno derivante dalla perdita di occasioni lavorative, ed. lucro cessante).

Altra regola generale dispone che gli interessi moratori e gli interessi per dilazione di pagamento costituiscono redditi della stessa categoria di quelli da cui derivano i crediti sui quali tali interessi sono maturati.

Infine, ultima regola riguarda i proventi illeciti. Questa regola dispone che devono ritenersi compresi nelle categorie reddituali i proventi derivanti da fatti, atti o attività qualificabili come illecito civile, penale o amministrativo se non sono sottoposti a sequestro o a confisca penale. Quindi i proventi illeciti non sempre tassabili, e sarà necessario verificare caso per caso a quale categoria reddituale rientrano.

Da un punto di vista soggettivo, la legge indirizza l’IRPEF e l’IRES ai possessori del reddito. Per possesso del reddito non si intende la disponibilità materiale della ricchezza soggetta a tassazione, bensì il possesso in questo caso viene determinato in base ai criteri di imputazione soggettiva stabiliti all’interno delle discipline dei singoli redditi. Ad esempio, i redditi dei beni immobili si considerano posseduti dal soggetto che ne è titolare anche quando i beni sono sottoposti a procedure concorsuali ed i relativi frutti vanno a vantaggio economico dei creditori. Addirittura vi sono casi in cui il reddito viene fiscalmente imputato a soggetti diversi da quelli che lo hanno prodotto. Ciò accade, ad esempio, nel caso dei redditi delle società di persone, che vengono imputati, per trasparenza, direttamente ai soci.

Da un punto di vista qualitativo, vengono equiparati dalla legge i redditi in denaro e quelli in natura. Quest’ultimi soprattutto si hanno nelle molteplici ipotesi di compensi per attività lavorativa corrisposti sotto forma di beni e servizi. In questi casi, è previsto che l’ammontare dei proventi viene quantificato sulla base del valore normale dei beni e servizi dai quali sono costituiti (per valore normale si intende il prezzo mediamente praticato per i beni e i servizi della stessa specie, in condizioni di libera concorrenza).

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