Essa è il comportamento del contribuente diretto ad ottenere una riduzione del debito d’imposta o comunque un vantaggio fiscale (ricorrendo ad una regolamentazione civilistica della fattispecie diversa da quella normale e non giustificata se non dall’interesse ad un trattamento fiscale altrimenti non spettante). Non è quindi una forma di evasione fiscale. Con questa formula si giunge alla corretta applicazione della norma tributaria relativamente ad un fatto correttamente rappresentato nella sua dimensione fattuale, ma tale qualificazione giuridica si fonda su una base civilistica che potrebbe definirsi “forzata” in quanto non appropriata rispetto all’espressione di autonomia privata che è alla base della manifestazione di capacità contributiva.

Ora, il ricorso a manovre elusive finiva però per minare alle fondamenta la serietà del sistema impositivo, costituendo una violazione del dovere Costituzione di concorso alle pubbliche spese. All’affermazione di carattere generale dell’illiceità dell’elusione tributaria si opponeva però la struttura giuridica su cui si fonda il sistema impositivo italiano (che vede nella descrizione legale dell’area della rilevanza tributaria la delimitazione stessa dell’intervento amministrativo).

La crescente attenzione per il fenomeno dell’elusione tributaria ha portato una serie di interventi legislativi diretti ad individuare fattispecie tipiche di elusione tributaria da ritenersi sindacabili in sede amministrativa: il 37 bis DPR n.600/1973 (introdotto con il 7 d.lgs. 358/1997) ha previsto l’inopponibilità all’amministrazione finanziaria di atti, fatti e negozi (anche collegati tra loro) privi di valide ragioni economiche e diretti ad aggirare obblighi/divieti previsti dall’ordinamento tributario ed a ottenere riduzioni d’imposta o rimborsi altrimenti indebiti.

Questa norma è destinata ad operare solo in presenza di alcune operazioni societarie o finanziarie, elencate nel 37bis 3°, consentendo all’amministrazione il recupero delle maggiori imposte sottratte per effetto del comportamento elusivo oggetto di disconoscimento ai fini fiscali.

Questa disposizione conferma la non praticabilità di strumenti interpretativi ai fini del contrasto dell’elusione tributaria e la tassatività delle fattispecie normative di sindacato amministrativo sulla validità economica delle scelte negoziali dei contribuenti, confermando la centralità del principio di legalità nella disciplina dell’imposizione tributaria. Il legislatore potrà allora determinare le fattispecie sintomatiche di elusione.

Ora, la Cassazione ha teorizzato la figura dell’abuso del diritto, fondato sull’importazione nel nostro ordinamento di un istituto proprio della disciplina comunitaria e presupposto da una serie di norme in materia di imposizione indiretta e ha trovato un affinamento con un’interpretazione costituzionalmente orientata del sistema delle imposte sui redditi, nell’ambito di cui si è trovata una base nei principi di capacità contributiva e di progressività dell’imposizione alla possibilità di svalutare la formalizzazione della condotta abusiva del contribuente, per riallineare l’imposizione all’effettiva sostanza economica del fatto fiscalmente rilevante.

Secondo dottrina e Tinelli però non si può rinvenire uno spazio applicativo per questo istituto nella materia tributaria (in quanto la natura di norma speciale che si deve dare all’elusione, porta questa norma a superare la possibile applicabilità della regola generale: non può esservi abuso quando una norma speciale prevale su quella generale).

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