La costruzione casistica del sistema mediante regole prudenziali ha trovato espressione nella tecnica d’astrazione dei responsi propria della giurisprudenza romana classica. Ora c’è il discorso sul D.50.17.1 di Paolo già visto al VI capitolo per spiegare il procedimento di formazione della “regola casistica” e la sua “funzione”.

Le “massime” sui cui spesso si fonda la giurisprudenza di civil sono il risultato di un procedimento di semplificazione condotto da un 3° (talvolta inesperto) che identifica il principio giuridico usato con la norma del caso enunciata nel dispositivo della sentenza (senza tener conto della struttura specifica dei fatti cui si riferisce la decisione): tutto ciò comporta l’utilizzazione meccanica di un principio (spesso addirittura contrastante con la vera ratio decidendi del caso deciso) che porta a replicare soluzioni in casi apparentemente analoghi ma in realtà del tutto differentemente qualificati.

Il fatto è che sembra estranea alla formazione del giurista continentale la tecnica di utilizzazione razionale delle soluzioni precedenti intese nel loro carattere essenziale di collegamento del diritto al caso concreto; come è noto ai giuristi di common, in un sistema in cui l’ “interpretazione giudiziale” operi veramente come fonte, è il principio giuridico sottostante che applicato ai fatti ha determinato quella certa soluzione a far si che questa divenga fonte. L’individuazione della ratio decidendi è poi anche un’operazione euristica di tipo induttivo in quanto il principio giuridico va estratto dal rapporto tra decisione e fatti concreti selezionati come qualificanti ai fini della decisione o chiamata a usare il precedente e solo compiuta questa operazione si potrà applicare il principio di diritto alla nuova fattispecie.La Corte è chiamata a stabilire se i fatti caratterizzanti la nuova fattispecie sono analoghi ai fatti caratterizzanti i fatti già decisi e solo se i fatti sono ritenuti analoghi la precedente sentenza costituirà precedente vincolante.

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