Giuliano quindi sembra ribadire con insistenza il ruolo decisivo e prevalente degli interpreti (che sono chiamati ad esplicitare e ad integrare il contenuto delle norme legislative). Questo si scontra con la “concezione normativa” che impone al magistrato e al giurista un’applicazione letterale o esclusivamente analogica delle leggi.

C’è però da notare che lo stesso Imperatore, nei suoi rescripta, a volte crea azioni nuove non previste dall’editto, altre volte ricorre ad interpretazione analogica, estendendo la disciplina e la tutela processuale di un certo istituto ad altre fattispecie, considerando esigenze di benignitas, umanitas. Per far ciò introduce “formule utili”, “fictio”, “ad exemplum”, ossia gli strumenti propri della iurisdictio praetoria. In questo modo di procedere c’è l’evidente influsso dei giuristi della cancelleria (che continuano a usare gli strumenti propri del loro metodo), d’altra parte però è l’Imperatore a interpretare, per cui il magistrato dovrà applicare norma + interpretazione imperiale + interpretazione promanante dal parere concorde dei giuristi (che per Adriano ha valore normativo).

Tuttavia i giuristi adrianei e posadrianei non si considerano vincolati alla lettera delle norme legislative né alla necessità d’una loro applicazione analogica: la regola è un “modello” da tener in conto, ma la determinazione concreta della sua applicazione è “caso per caso” competenza dei giuristi o dell’Imperatore (situazione simile al passato). Questa determinazione può avvenire indifferentemente con un’operazione analogica (il caso da decidere è reputato simile a quelli espressamente disciplinati o già decisi in un certo senso d’applicazione della norma stessa) ovvero con un’operazione estensiva (la ratio generale della norma, individuata dal giurista, impone che altri casi non previsti siano disciplinati ugualmente) ovvero meramente esegetico della norma stessa (cioè si analizza il suo tenore testuale per individuare le situazioni che si possono ritener comprese nella sua previsione). Allo stesso modo, la trasformazione dell’editto in norma definitiva imponeva effettivamente ai giuristi di usare rispetto alle sue clausole lo stesso atteggiamento esegetico e gli stessi strumenti ermeneutici che contrassegnavano l’interpretazione delle leggi ed i senatoconsulti; in certi casi era lo stesso editto del pretore a contenere una “clausola di apertura”: ad esempio nell’editto sulla restitutio in integrum il pretore si riservava di concederla “quando ricorreva una giusta causa”, da riscontrare mediante l’interpretatio della cancelleria imperiale e della giurisprudenza. Quindi l’accentramento adrianeo può incidere sui meccanismi di produzione delle norme autoritative, ma non può incidere su ambito e meccanismi interni dell’interpretatio (la cui “creatività” deriva dalla capacità tecnica dei giudici di raccordare nelle proprie soluzioni scientifiche ogni elemento presente nell’ordinamento, anche selezionando nell’ambito del ius controversum le soluzioni “più giuste”, cioè più eque ed utili, fino a fornire con l’interpretatio la rappresentazione stessa dell’ordinemanto).

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