Premessa. In questa fase assistiamo ad un accentramento nelle mani del Principe del potere, specie con le oratio principis e le constitutio imperiali.

Filippo Gallo (in “Nozione formazione interpretazione del diritto dall’età romana alle esperienze moderne. Ricerche dedicate al Prof Filippo Gallo, 1997), propone il giurista Salvo Giuliano (115-148: epoca adrianea) e Adriano come protagonisti di una “svolta” nella concezione dei modi di produzione del dir, nei rapporti norme-interpretatio, fra Imperatore e giuristi. C’è da dire, opinione di Gallo e Guarino, che dopo Adriano si esaurisce l’attività produttiva del diritto ad opera dei pretori, in quanto il testo dell’editto da qui in poi è norma definitiva (oggetto di interpretatio). Secondo Gallo, appaiono in testi di Giuliano (che fu redattore del testo definitivo dell’Editto nonché consigliere di Adriano). Le prime tracce di una teorizzazione in materia di lacune delle fonti normative e dell’analogia. Adriano, da quanto si riferisce alla costituzione “Dedoken”, aveva imposto il ricorso all’analogia nel caso di lacune dell’editto: ciò poteva costituire un limite di grande rilevanza all’attività del magistrato giusdicente (infatti Gallo scrive che nel sistema allora vigente il magistrato giusdicente controllava il diritto). E’ palese, come anche dice Gallo, che nella formulazione delle costituzioni giustinianee il pensiero di Giuliano è travisato totalmente: nella costituzione “Tanta” (la costituzione con cui Giustiniano promulga il Digesto) si verifica che per Giustiniano le lacune che si rilevino nel sistema normativo per la necessaria imperfezione delle cose umane non possono essere colmate con analogia (perchè ci sarebbe un margine d’interpretazione creativa dell’interprete), bensì da interventi dello stesso Imperatore (per il quale ovviamente non esiste il limite dell’analogia). Successivamente Gallo sottolinea che la stabilizzazione dell’editto, eliminato il potere del pretore di creare nuove azioni, aveva riflessi sull’attività interpretativa dei giuristi: veniva eliminata la loro discrezionalità, limitando anche gli strumenti da loro usabili per operare all’interno dell’ordinamento positivo. Tuttavia Gallo osserva che da Adriano in poi i prudentes tennero conto dell’analogia (esempio: le estensioni utili dell’actio ex lege Aquilia). La normalizzazione dell’editto comunque vada eliminava il potere discrezionale del magistrato giusdicente e riduceva autonomia dei giuristi (nel riconoscimento di situazioni in precedenza non contemplate). Vacca vuole verificare come si possa ritenere questa limitazione della creatività dell’interpretatio giurisprudenziale, nonché se la clausola della costituzione Dedoken abbia avuto effettiva risonanza anche sui criteri usati dai giuristi classici nell’interpretazione normativa.

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