La cognitio extra ordinem trovò piena e definitiva affermazione nell’epoca della monarchia assoluta. L’espansione di tale procedura fu soprattutto favorita dal nuovo ordinamento dello Stato. La giurisdizione venne attribuita ai capi delle varie circoscrizioni nelle quali era stato suddiviso il territorio dell’impero. L’ordinamento giudiziario venne per conseguenza a confondersi con la gerarchia amministrativa generale.

Il carattere burocratico della nuova amministrazione comportò la burocratizzazione della funzione giudiziaria. Il magistero punitivo fu affidato a persone che ricavavano la loro posizione esclusivamente dall’imperatore e che erano ordinate gerarchicamente; si generalizzò l’iniziativa d’ufficio; prese sempre più campo l’obbligo di pagare speciali diritti ai funzionari che sbrigavano le varie pratiche.

Larghissimo sviluppo e dell’istituto dell’appello: la subordinazione gerarchica delle diverse categorie di funzionari rese infatti possibile l’esperimento di una serie di ricorsi dal basso all’alto della scala amministrativa, basati sul principio che il funzionario superiore può sempre riformare i provvedimenti del funzionario inferiore. Contro le decisioni dei funzionari più elevati l’ultima istanza fu il tribunale dell’imperatore.

La giurisdizione di primo grado fu affidata ai governatori delle province. Per alcune categorie di persone vigevano principi speciali, nel senso che in considerazione della loro particolare qualità si ritenne opportuno sottrarle alla giurisdizione regolare e istituire il loro favore dei tribunali privilegiati.

Il nuovo regime dava luogo nella pratica a vari inconvenienti; difatti non sempre i governatori erano forniti di un’adeguata preparazione giuridica e dovevano avvalersi del consiglio di esperti di leggi, solitamente scelti entro la cerchia degli advocati. Questi consiglieri esercitavano di fatto una grande influenza sui giudicanti, e talora si rendevano responsabili di veri e propri abusi.

Per rimediare alla situazione, gli imperatori dovettero stabilire che gli adsessores, una volta deposto l’ufficio, rimanessero per 50 giorni nella provincia, così da poter essere chiamati in caso di eventuali illeciti commessi nell’esercizio delle loro funzioni.

I governatori potevano anche delegare l’esercizio della repressione criminale a funzionari di grado inferiore. Le delegazioni ai subordinati screditavano l’autorità dei tribunali governatoriali. Diocleziano riformò l’istituto, autorizzando la delega di poteri solo laddove i governatori non riuscissero a provvedere di persona a causa degli impegni pubblici e del gran numero di giudizi pendenti.

In seguito all’amministrazione della giustizia fu accentrata nel praetorium del capoluogo, ove avevano sede degli uffici imperiali. I governatori continuavano tuttavia a compiere occasionali viaggi per le città della provincia a scopo di vigilanza e di controllo, in esecuzione delle ripetute ordinanze degli imperatori.

I governatori non solo erano competenti a conoscere di tutti i più gravi reati commessi nel loro territorio, ma erano altresì giudici d’appello avverso le sentenze emanate dai magistrati municipali. A questa generale competenza erano in origine sottratti i membri dell’ordine senatorio, i quali avevano diritto di essere giudicati nel luogo della propria residenza; tale foro privilegiato fu però abolito da Costantino nel 316.

Valentiniano I determinò un inasprimento di tale regime, rimettendo al tribunale imperiale il giudizio sui più gravi reati commessi dai membri dell’ordo.

Nel 376 Graziano stabilì che i provinciales iudices dovessero limitarsi a istruire la causa e quindi trasmettere gli atti per la decisione all’imperatore, al prefetto cittadino o al prefetto del pretorio a seconda delle competenze.

Per quanto concerne le pene, il potere governatoriale fu circondato da alcune limitazioni. Contro le sentenze dei governatori si poteva appellare al prefetto del pretorio che era a capo della circoscrizione o al vicario della diocesi di cui la provincia faceva parte, a seconda che fosse più vicina la sede della prefettura o quella del vicariato. Solo eccezionalmente prefetti e vicari potevano essere chiamati a giudicare in prima istanza: ciò avveniva soprattutto nel caso di denegazione di giustizia da parte del governatore o di fondati sospetti circa l’imparzialità del medesimo.

I vicari, ufficialmente facenti le veci dei prefetti nell’ambito della diocesi, erano forniti di un potere giudiziario autonomo, non subordinato a questi ultimi: le loro sentenze non potevano essere appellate dinanzi al tribunale prefettizio, ma solo dinanzi al tribunale imperiale.

Al contrario, dalle sentenze dei prefetti non era dato appello al tribunale supremo. L’unica via che restava aperta al condannato era quella di rivolgere una petizione al sovrano affinché invitasse il nuovo prefetto, subentrato a quello che aveva emesso la sentenza, a un riesame della causa.

Roma fu considerato un territorio autonomo, sottratto all’ingerenza dei governatori provinciali. Su di essa e nel tradizionale raggio di 100 miglia conservò la sua competenza il praefectus urbi che non perse le sue funzioni tipiche dell’età del principato. Nominato dall’imperatore e appartenente alla classe degli illustres, l’alto funzionario concentrava in sé tutti i poteri amministrativi e giurisdizionali nell’ambito della circoscrizione alla quale era preposto.

Erano sottoposti alla sua autorità anche il praefectus vigilum, che aveva cognizione delle cause di minor importanza connesse con la sua attività di polizia, e il praefectus annonae, che aveva cognizione dei reati in materia di approvvigionamento o nei quali erano implicati membri delle corporazioni al servizio dell’annona della città.

Il praefectus urbi aveva di fatto nelle sue mani l’intera amministrazione della giustizia:

→ era giudice di prima istanza per tutti i più gravi reati commessi nel suo distretto

→ aveva giurisdizione speciale sui membri delle corporazioni urbane e sulle persone di rango senatorio, che giudicava con l’assistenza di cinque senatori designati dalla sorte

→ era giudice d’appello delle sentenze dei giudici minori a lui subordinati e di quelle dei governatori di alcune province d’Italia e d’oltremare

→ contro le sue decisioni era possibile ricorrere al tribunale imperiale

Un’organizzazione giudiziaria simile a quella di Roma ebbe Costantinopoli ove però non fu istituito il praefectus annonae, la cui giurisdizione venne direttamente attribuita al praefectus urbi. Il praefectus vigilum venne ivi sostituito da un altro funzionario, il praetor plebis affiancato da un quesitor.

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